Giovedì 28 si è tenuto presso l'aula Moscato del Tribunale l'incontro con gli studenti di Gela e Niscemi, sul tema "Costituzione Italiana: i diritti e i doveri".
Lo stesso Presidente del Tribunale di Gela, dott. Paolo Fiore, ha portato il saluto al convegno la cui introduzione ai lavori è stata affidata al Procuratore Capo della Repubblica presso il Tribunale di Gela, dott. Fernando Asaro.
Diversi gli interventi moderati dal Giudice del Tribunale di Gela, dott. Calogero Cammarata. A relazionare sull'art. 104 della Costituzione, relativo all'Autonomia ed Indipendenza della Magistratura è stato il Consigliere del Csm, dott. Giuseppe Cascini. Un altro consigliere del Csm, il dott. Mario Surano, ha invece relazionato sull'art. 13 della Costituzione relativo alle Libertà Personali mentre a chiudere gli interventi ci ha pensato la dott.ssa Lia Sava, Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Caltanissetta, che ha relazionato su "Donne, Mafia ed Antimafia", traendo spunto dagli artt. 3, 29 e 30 della Costituzione.
Prima della conclusione dei lavori ad opera della dott.ssa Maria Grazia Vagliasindi, Presidente della Corte d'Appello di Caltanissetta, si è aperto un dibattito alimentato dalle domande di alcuni studenti degli istituti Liceo Scientifico e Itis di Gela, nonchè del Liceo Scientifico di Niscemi, assistiti dall'avv. Loredana Zisa che ha curato l'organizzazione dell'evento in rappresentanza di Area Democratica per la Giustizia di Caltanissetta.
In risposta ai quesiti posti, è stato spiegato che il “ritardo” con cui è avvenuta una significativa presenza anche delle donne nei ruoli apicali è stato frutto di un processo graduale che ha visto la preesistente realtà culturale italiana adeguarsi lentamente alla realtà istituzionale. La Costituzione del '48, ad esempio, nello stabilire la parità di genere anticipò la successiva legislazione laddove tale parità non era ancora stata raggiunta.
Altresì, alla mafia “rurale”, quella con la “coppola e la lupara” che resiste ancora in alcune forme nell'entroterra, si è affiancata ed è diventata più pericolosa una mafia “liquida”, con i boss che investono sui figli, nipoti, figliocci e fedelissimi, per farli studiare fino ai massimi livelli, professionalizzandoli in settori strategici come il diritto commerciale, l'informatica ed altro ancora. Senza dimenticare la mafia che da “imprenditrice” è riuscita in alcuni frangenti a trasformarsi essa stessa in antimafia penetrando nell'antiracket.
Infine, una cosa è il procuratore antimafia, altro è il giudice antimafia. Il primo indaga, il secondo giudica e non può essere di parte. Il giudice non è un guerriero, è un idealista. Un giudice non combatte. A combattere la mafia dovrebbe essere la politica.