Sono passati due anni e mezzo ed ecco che la Gela che sposò la logica antipartitocratica portata avanti dal movimento grillino
eleggendo sindaco tal Domenico Messinese (nella foto con il vicesindaco Siciliano) un perfetto sconosciuto ai tanti, già non esiste più. Espulso dai pentastellati dopo appena un semestre di mandato, Messinese ha sfruttato la legge che lo metteva al riparo per il primo biennio, limitandosi però a navigare a vista.
E riuscendo, semmai, nell'impresa di mettere d'accordo un'intero consiglio comunale, composto da ben 30 consiglieri, tutti all'opposizione.
Sopravvissuto, senza infamia e senza lode, all'aborto di una prima mozione di sfiducia, in rottura con gli stessi ex grillini che erano rimasti al suo fianco attraverso “Sviluppo democratico”, il Sindaco è rimasto solo, con pochi fedelissimi ad avvinghiarlo, innanzi ad una seconda mozione di sfiducia destinata, stavolta, a decretarne inesorabilmente la palese sconfitta, qualsivoglia esito tale mozione partorisca.
Si scrive per tanti motivi. Chi scrive queste righe lo fa solo in ragione di quel che pensa. Sempre. A volte, però, capita di scrivere qualcosa che non piace. Questa è una di quelle occasioni. Il sindaco Messinese, politicamente nato il 15 giugno 2015, è stato semplicemente sconfitto. Non ci piace scriverlo, ma è quel che pensiamo. Non ci piace, perché ciò rappresenta il “reset” del voto di due anni e mezzo fa e, quindi, il fallimento - purtroppo l'ennesimo - di una città che continua ad aggrapparsi disperatamente al sogno di un cambiamento, di un'inversione di rotta, ancora una volta invano.
La sterzata, la svolta promessa da Messinese, non c'è stata e quel voto di due anni e mezzo fa verrà definitivamente cancellato da qualunque degli esiti possibili a cui approderà questa mozione di sfiducia. Il principiante e neofita Messinese, che ha debuttato in politica due anni e mezzo fa, ha manifestamente fallito pagando dazio per la sua inesperienza politica e per la troppa, spudorata, spavalderia di chi lo ha metaforicamente stretto troppo forte nella morsa, immobilizzandolo.
Qualcuno sarà pure disposto a giurare che il Messinese di due anni e mezzo fa non sia mai, in concreto e di fatto, esistito. Un ordigno a cui è saltata la miccia, dal fragore che è rimasto solo allo stato potenziale. Potrà anche darsi, ma di certo quel “progetto di rottura” di tarda primavera 2015, non potrà sottrarsi al giudizio storico di un fallimento, il cui culmine è una sfiducia che sembra davvero alle porte.
Se ai 12 firmatari del centrodestra, aggiungiamo infatti i 4 consiglieri grillini ed i 5 componenti del gruppo consiliare del Pd, ai quali la direzione comunale dei dem riunitasi questo mercoledì ha suggerito di votare la sfiducia a Messinese, ne contiamo già 21 e cioè 1 in più rispetto alla maggioranza dei 2/3 del civico consesso, vale a dire 20 voti favorevoli, richiesta dalla legge affinché la mozione possa ritenersi validamente approvata.
Ma sarebbe un fallimento anche in caso di una soluzione di “non sfiducia”, dovuta a tentennamenti e riposizionamenti dell'ultima ora, frutto delle iniziative di questo o quel singolo consigliere comunale, atta quindi a mantenere l'attuale “status quo”, con un sindaco avulso dal civico consesso, salvatosi con tanto di poltrona – e tutti a quel punto sarebbero legittimamente autorizzati a pensarlo davvero e non più solo a sospettarlo - giusto per consentire a 30 consiglieri comunali di garantirsi una rendita mensile di circa mille euro per un intero mandato di 5 anni.
Figuriamoci in caso di una non sfiducia che coincidesse con l'allestimento di una nuova compagine di governo che tiri fino alla naturale scadenza del mandato, sostenuto direttamente (dentro la giunta) o indirettamente (attraverso la formula dell'appoggio esterno), da forze nel frattempo ravvedutesi, tanto di quel centrodestra che in blocco hanno appena firmato la mozione, quanto di quel centrosinistra con il Pd in testa, che hanno governato per un ventennio e che la città, proprio nella corsa a sindaco, ha sonoramente bocciato due anni e mezzo fa. Come definire altrimenti tali eventualità, se non apici incoerenti di un vero e proprio fallimento?
Un certo Paulo Coelho scrisse che “soltanto una cosa rende impossibile un sogno: la paura di fallire”. Gela deve perciò continuare a crederci ed a provarci, comunque ed in ogni caso, nonostante tutto, perché peggio del fallimento è il non tentare. Ed allora auguri di Buon Natale a Gela ed alla sua comunità e che sia un 2018 più illuminato nelle teste di chi è stato e sarà delegato dai gelesi a prendere decisioni nell'interesse comune, magari realizzando una volta per tutte che l'ambizione personale nel fare politica, non si esaurisce necessariamente ed esclusivamente nell'egoismo e nel tornaconto individuale.