Un quarto di secolo fa, grazie ad una riforma elettorale a livello locale che concedeva al popolo e non più ai partiti, il potere di eleggere il proprio sindaco, prese piede in Italia quella che passò alla storia come la "stagione dei sindaci".
Una fase inizialmente intensa e piena di speranze, ma rivelatasi piuttosto breve ed oramai tramontata, tra vincoli accentratori, tagli continui ed il ritorno ad un imperante carrierismo politico.
Una stagione inaugurata da personalità provenienti dalla cosiddetta società civile, così come da figure cresciute nei partiti, ma accomunate dall'unica ambizione, nell'amministrare la propria città, di prestare un "servizio" ad un processo generale di riforma dello Stato, tra le ceneri della “prima repubblica” e la crisi irreversibile dei partiti di massa ideologici.
Una spinta in senso federalista che guardava alle autonomie locali e che quindi, "obtorto collo" si ritrovava a puntare su quella che – a nostro avviso – è la vera logica storica “nazionale” italiana: vale a dire l'Italia dei Comuni. Un modello, quest'ultimo, che però non poteva essere ben visto e che sarebbe stato da lì a breve puntualmente avversato, peraltro con successo, dal geocentrismo partitocratico romano.
Ad avviare la stagione dei sindaci a Gela, nel 1994, fu il diessino Franco Gallo (nella foto): primo sindaco, nella storia repubblicana di Gela, eletto dai cittadini gelesi e non più dai partiti. L’avv. Gallo fu riconfermato al vertice apicale cittadino nel 1998. Allora il mandato del primo cittadino durava 4 anni.
A distanza di oltre un quarto di secolo da allora, la figura ed il ruolo esercitato dai sindaci hanno subìto per alcuni una evoluzione in meglio, per molti altri in peggio, tanto nel modo di amministrare, quanto nei rapporti con il consiglio comunale, così come nel relazionarsi con i dirigenti ed i dipendenti, non ultimo nel comunicare ed interagire con l’opinione pubblica.
Da noi contattato, abbiamo chiesto all’avv. Gallo cosa ne pensa in merito: «quella riforma, originata – afferma Gallo – dalla reazione etica alla stagione delle stragi di mafia, è tutt’ora indicata come un modello (maggioritario e presidenziale) da estendere agli altri livelli di governo. Questo modello ha subito per i comuni aggiustamenti solo marginali che non ne hanno modificato l’essenza ed il nucleo fondante che, a mio parere, ha dato buone prove e continua ed essere tutt’ora valido. Qualche deriva demagogico-populista non credo sia addebitabile a quella forma di governo quanto ad un’involuzione complessiva della politica nel nostro paese, a tutti i livelli».
Al riguardo, più che altro per rispetto ad una verità storica, siamo caduti nella tentazione di chiedere quali furono i motivi che lo portarono a dimettersi poco prima della fine del secondo mandato: «Politicamente – ci risponde – sono stato scaricato dal mio partito e, a livello locale, mi colpirono con motivazioni infamanti che, per verità storica, sono state successivamente smentite e tutte risolte con esito negativo: il Comune non fu commissariato ed io con tutti i miei collaboratori, tantissimi in sette anni, siamo a tutt’oggi incensurati. In quelle condizioni sarebbe stata una forzatura continuare, solo per “tirare a campare”.
Avrei solo fatto un danno alla città che non meritava certo di pagare, per attaccamento alla poltrona, il prezzo di un esecutivo politicamente debole e, sul piano personale, avevo comunque valide alternative professionali. Infatti, non ho mai puntato alla politica come carriera ed ho fatto politica con reale spirito di servizio. Basti pensare che, per dedicarmi all’efficace espletamento dell’incarico pubblico, ho chiuso uno degli studi professionali più avviati della città. Dove per chiuso intendo proprio cessato: non continuato in alcun modo da successori, prestanomi, parenti o simili. Nella mia carriera professionale ho avuto svariati ed importanti ruoli, tra cui docente, funzionario di banca, avvocato, dirigente generale della Regione. La sindacatura rientra in questa casistica».
Enormi sono state le difficoltà sperimentate dalle varie amministrazioni che si sono succedute negli ultimi anni, tanto sui macro servizi come i rifiuti e l'acqua, quanto persino su quegli obbligatori e minimi come la mensa scolastica o il trasporto disabili, per citarne alcuni. A questa inefficienza si è aggiunto il mancato introito di finanziamenti per carenza progettuale. Durante il doppio mandato dell’avv. Gallo i soldini arrivavano eccome, ci furono esperienze progettuali, come Gela sviluppo. «Nella mia sindacatura – conferma – siamo riusciti a fare confluire sull’economia cittadina una mole di finanziamenti pubblici senza precedenti.
Due contratti d’area, patto territoriale sul turismo, patto territoriale dell’agricoltura, sovvenzione globale comunitaria, zona d’elezione per la 488, risanamento ambientale gestito da un Comitato inter-istituzionale, cioè nazionale, regionale e locale, con sede e regia presso il comune. Pur non avendo avuto la manna del Patto per il Sud, che è forse l’unico concreto beneficio cittadino della gestione regionale di Crocetta, le ultime opere pubbliche rilevanti nella città risalgono tutte, ancora, dopo venti anni, alla mia amministrazione. Ad esempio cito quelle meno percepibili ed apprezzabili, vale a dire tutte le scuole e tutti i piani di urbanizzazione primaria, ossia piani di recupero, a nord di via Venezia. Temo che queste esperienze siano difficilmente riproducibili non tanto per demerito degli attuali amministratori, quanto per le mutate – e peggiorate – condizioni finanziarie a tutti i livelli. Ma proprio per questa ragione bisognerebbe sfruttare al meglio le risorse ancora disponibili cercando di non perdere nulla».
E tra le ataviche problematiche comunali continua ad esserci ancora quella relativa alla gestione della partecipata, la Ghelas multiservizi, di cui l’avv. Gallo è stato a capo per un certo periodo.
«In cinque mesi e nonostante la brevità dell’incarico – replica – ho lasciato agli atti del comune e della società la mia “diagnosi e prognosi”. E’ un materiale ufficiale e protocollato. Il primo piano industriale, sino ad allora sconosciuto anche lessicalmente. Un progetto esecutivo di manutenzione straordinaria dell’impianto di illuminazione pubblica cittadina, così approfondito e completo che di sola copisteria è costato alla società circa mille euro. Ed il tutto realizzato gratuitamente solo con risorse interne, come del resto gratuitamente ho svolto anch’io l’incarico. Semplicemente, si potrebbe ripartire da lì».
Sebbene la politica non sia stata mai esente da critiche, quella che si propugnava in quella fase storica che vide protagonista l’allora sindaco Gallo, era comunque una "politica dei fatti", sempre più soppiantata col passare degli anni da una "politica del nulla", perché sembra proprio assistere a beghe continue sul nulla, in quanto i servizi non vengono assicurati e di soldi non si vede l’ombra. Ne deriva l’opinione diffusa secondo cui “si litigherebbe solo per la poltrona”. Tale condizione – a nostro avviso - è solo il frutto di una deriva populista che oltre gli slogan non sa andare e che i partiti non stati in grado di arginare perché incapaci di rispondere ad alcune esigenze ed aspettative che il popolo considerava urgenti e non più procrastinabili.
«Sono d’accordo, siamo dentro – afferma – una gravissima deriva demagogico-populista. E’ questa l’unica risposta della politica all’aggravarsi della crisi a tutti i livelli. La riduzione delle risorse disponibili e la conseguente difficoltà a costruire risposte complesse e spinose ha fatto imboccare al ceto politico, di tutti i colori e di tutte le latitudini, questa pericolosa scorciatoia che, per definizione, è di brevissimo periodo, di cortissimo respiro, asmatica.
Un paradosso per tutti? Qualcuno rivendica – continua – il rifiuto degli ingenti aiuti comunitari solo perché ci imporrebbero di fare le riforme, le liberalizzazioni ed un maggiore utilizzo in conto capitale, ossia gli investimenti. Ma questo è proprio quello che dovremmo fare spontaneamente ed, ormai, per impellente necessità. Altro che dik-tat della troika! Ma i nostri politici, avendo solo bisogno di risposte immediate – corte quanto il loro spessore e ciclo di sopravvivenza politica – prediligono la spesa corrente assistenziale, clientelare ed a pioggia! Come quella, se vogliamo stare sul pezzo, anticovid! Ma così – conclude – non andiamo da nessuna parte ed abbiamo poco futuro».