A 30 anni, sei volte genitori, fra droga, miseria e carcere

A 30 anni, sei volte genitori, fra droga, miseria e carcere

Il dramma della droga distrugge una famiglia di 8 persone, con il più piccolo dei figli morto di malattia e forse di trascuratezza, i genitori in galera per spaccio di stupefacenti e i restanti cinque figli dichiarati tutti adottabili perché nemmeno i nonni sono in grado di badare a loro.

La penosa vicenda ha come scenario una vecchia casa del popoloso quartiere «Santa Croce» (rione Santa Venera), nel centro storico di Caltanissetta  e come protagonisti un operaio metalmeccanico di 37 anni (che chiameremo convenzionalmente Luigi), una donna di 30 anni, figlia di genitori romeni (che chiameremo Miriam) e sei fratelli di età compresa tra i 12 anni della più grande e i 2 anni del più piccolino. 

Gli avvenimenti disastrosi per questa famiglia precipitano dal momento in cui proprio il minore dei figli muore in ospedale per una serie di complicanze dovute a una malattia che forse andava curata con maggiore tempestività. 

Il tribunale dei minorenni vuole vederci chiaro e la procura della Repubblica avvia una sua indagine. Viene sequestrata la cartella clinica, eseguiti esami autoptici, effettuati sopralluoghi nell'abitazione dove vive la famiglia del piccino  che presenta impressionanti condizioni di miseria e di pessima igiene, in un totale stato di abbandono e di sporcizia, con poco cibo e di cattiva conservazione.

Il padre dei ragazzi, che spesso si recava in trasferta, all'estero, non lavora più da tempo perché si è dato completamente alla droga sia come utilizzatore sia come spacciatore. Con la moglie non va più d'accordo da anni. I due litigano continuamente. Lui la picchierebbe spesso. Lei lo ha denunciato ed è riuscita ad ottenere la misura del divieto di avvicinamento. Luigi, che non potrà vedere la moglie e nemmeno i suoi figli, sprofonda in una cupa crisi esistenziale. 

Ma la droga giorno dopo giorno sta distruggendo pure Miriam, italiana di seconda generazione, che entra ed esce dal carcere. Quando entrambi i coniugi sono detenuti, i figli vengono affidati ai nonni paterni nella cui casa però il clima di scontri e dissapori non cambia e i ragazzi non trovano l'attenzione di cui avrebbero bisogno.

Così i bambini vengono trasferiti in un istituto gestito da suore, dove le condizioni di vita sono ben diverse, con disciplina, pulizia, igiene, istruzione e sana alimentazione.

Conseguentemente, il tribunale dei minori prende la decisione più drastica possibile ed emette il decreto di adottabilità per tutti e cinque i figli della coppia. Tuttavia, adottabilità non significa adozione immediata. Vanno, infatti, rilevati preventivamente i comportamenti caratteriali, soggetto per soggetto, bambino per bambino, per poi individuare le famiglie che meglio possono accoglierli in adozione.

Così il tribunale apre 5 fascicoli di verifica, uno per ogni figlio. I giudici interrogano i genitori ma Miriam non c'è. Si trova in carcere. C'è invece Luigi che dopo l'ennesima detenzione, ha deciso di cambiare vita, di non drogarsi più. E ha iniziato un percorso di riabilitazione con il Sert, avviando nel contempo una piccola attività commerciale che lo rende economicamente autosufficiente. 

Ad difenderlo nel procedimento in cui rischia di perdere la patria potestà viene chiamato un avvocato di Gela, Salvo Macrì, uno dei più apprezzati legali della giurisdizione.

Luigi non vuole perdere i suoi figli, giura che non ha mai pensato di abbandonarli, che se lo ha fatto quando è finito in galera la colpa è stata non sua ma della sua malattia, la tossicodipendenza. Ora però le cose sono cambiate. Lui lavora e non si droga più perciò vuole rivedere i figli e stare con loro.

E qui, come in un romanzo d'appendice, avviene un colpo di scena clamoroso: i cinque ragazzi non sono tutti figli suoi.

Un immigrato di colore, di origini nordafricane, si è fatto avanti con un ricorso ufficiale e rivendica la paternità del quinto bambino, quello di cinque anni, che sarebbe il frutto di una relazione extraconiugale con Miriam e perciò non va affidato in adozione. Caso mai il piccino se lo prende lui che pare abbia un regolare visto di soggiorno e un'attività lavorativa.

In effetti, il ragazzino ha la pelle più scura rispetto ai suoi fratelli ma nessuno ne aveva mai messo in dubbio la paternità. Nemmeno Luigi che lo credeva un capriccio della natura. Anche adesso non smette di dire che quel bambino di 5 anni è suo figlio.

E non si arrabbia nemmeno all'idea di potere essere stato tradito dalla moglie. Vuole solo che lo accerti l'esame del Dna. Poi alla natura e alla verità non ci si può opporre. La vita continua, e al cuor non si comanda.