Uno dei termini maggiormente associato a Gela è “inquinamento”. Non è un caso che Gela sia stata ufficialmente dichiarata e, in quanto tale, perimetrata a partire dal 2000,
“Sito di interesse nazionale” (Sin). Ad oggi, in Italia i Sin sono 42. Si tratta – “ex lege” – di estese porzioni del territorio nazionale, di particolare pregio ambientale e intese nelle diverse matrici ambientali individuati per legge, ai fini della bonifica, in base a caratteristiche di contaminazione e non solo, che comportano un elevato rischio sanitario ed ecologico in ragione della densità della popolazione o dell’estensione del sito stesso, nonché un rilevante impatto socio-economico e un rischio per i beni di interesse storico-culturale. Dei primi tredici Sin individuati attraverso la L. 426/98 (Nuovi interventi in campo ambientale), quello di Gela è il terzo Sin, dopo Porto Marghera e Napoli orientale.
La perimetrazione, ricadente totalmente nel territorio del Comune di Gela, è avvenuta nel 2000 attraverso il decreto del Ministro dell'Ambiente emanato il 10 gennaio di quell'anno. Si tratta di 795 ettari a terra e 4.583 a mare.
All’interno del Sin, nella terraferma, oltre lo stabilimento multisocietario (Eni, Versalis, Enimed, Rage, Ecorigen), ci sono anche alcuni centri oli e discariche. Sono presenti, altresì, le aste fluviali dei fiumi “Gela” e “Acate-Dirillo”, i torrenti “Gattano” e canale “Valle Priolo”, nonché, soprattutto, la “Riserva naturale del Biviere di Gela” (gestita dalla Lipu), che è notoriamente una laguna costiera con acque salmastre, riconosciuta zona umida di importanza internazionale sin dalla “Convenzione di Ramsar” nel 1971.
In totale 331 ettari individuati dalla Regione siciliana come “Sito di importanza comunitaria” (Sic) e “Zona di protezione speciale” (Zps), ai sensi delle direttive comunitarie “Habitat” (Direttiva n. 92/43/Cee) e “uccelli” (Direttiva n. 79/409/Cee). Per quanto concerne i 4.583 ettari dell’area marina, il tratto in questione attraversa lo specchio d’acqua antistante lo stabilimento multisocietario, ma parte da quello antistante il lago Biviere fino al Porto rifugio (compreso il lungomare).
Se da decenni, sul piano dello sviluppo urbanistico ed economico, dobbiamo tener conto dei vincoli Sic, Zps e Sin, il contraltare, cioè le bonifiche, porta con sé le vere note dolenti.
Sullo stato di avanzamento delle stesse, siamo a dir poco in ritardo. L’opera di risanamento ambientale prevede tre fasi tipiche, su cui misurare lo stato di avanzamento: piano di caratterizzazione ambientale; progetto di messa in sicurezza/bonifica del sito; procedimento concluso [aree risultate non contaminate a seguito delle indagini di caratterizzazione (C<CSC – Concentrazione Soglia di Contaminazione) o dell’analisi di rischio sito specifica (C<CSR – Concentrazione Soglia di Rischio), aree con messa in sicurezza operativa o permanente conclusa, aree con certificazione di avvenuta bonifica)].
Sulla base dell’ultimo report ministeriale, del giugno 2021, dopo due decenni possiamo rilevare che lo stato di avanzamento della caratterizzazione ambientale, identificabile con l’insieme delle attività che permettono di ricostruire i fenomeni di contaminazione a carico delle matrici ambientali, in modo da ottenere informazioni di base su cui prendere le decisioni realizzabili e sostenibili per la messa in sicurezza e/o bonifica del sito (3 gli step fondamentali: sondaggio, campionamento del suolo, campionamento e misura di profondità dell’acqua di falda), ha raggiunto la percentuale massima, vale a dire il 100%, sia per quanto riguarda la bonifica dei terreni, sia per quanto riguarda la bonifica dell’acqua di falda.
Molto indietro è invece lo stato di avanzamento del progetto di messa in sicurezza/bonifica approvato, giunto al 54% la bonifica dell’acqua di falda ed ancorato al 13% per la bonifica dei terreni. Va da sé che in ordine alla fase di procedimento concluso siamo fermi allo 0%.
Pesante, dunque, il ritardo relativo al progetto approvato di messa in sicurezza/bonifica dei terreni (solo 13%) laddove, peraltro, il piano di caratterizzazione attuato (100%) su 784 ettari, ha evidenziato solo 4 ettari di aree non contaminate, mentre tutto il resto, vale a dire 780 ettari, è risultato contaminato.
Siamo a metà dell’opera (54%) sotto il profilo del piano approvato di messa in sicurezza/bonifica dell’acqua di falda approvato, su un totale di 409 ettari tutti ricadenti all’interno dello stabilimento. In proposito, è bene specificare che dei 795 ettari di aree a terra perimetrati, circa 17 ettari sono di proprietà Eni e circa 55 ettari gestiti per conto dell’Isaf (Industria siciliana acido fosforico). Le operazioni di risanamento sono in capo ad “Eni Rewind” (ex Sindyal), società ambientale di Eni che opera anche per conto delle società coinsediate, “Versalis”, “Enimed” e “Raffineria di Gela”.
Gli interventi hanno previsto la messa in messa in sicurezza d’emergenza e permanente, la bonifica e il monitoraggio della falda multisocietaria, assieme alla gestione dell’impianto di trattamento delle acque, la bonifica dei suoli e la demolizione di impianti, capannoni ed edifici presenti presso isola 1 (ex impianto clorosoda), isola 2 (ex impianto dicloretano), isola 6 (ex Agricoltura), isola 10 (ex impianto ossido di etilene), isola 17 (ex acrilonitrile) e isola 9 Isaf.
Va infatti ricordato che per la gestione dei siti accertati come contaminati sono previsti dalla normativa tre tipi di interventi: messa in sicurezza operativa o d’emergenza, messa in sicurezza permanente e bonifica vera e propria.
La messa in sicurezza operativa o d’emergenza consiste in interventi eseguiti ed atti a garantire un adeguato livello di sicurezza per le persone e per l'ambiente, in attesa di ulteriori interventi di messa in sicurezza permanente o bonifica da realizzarsi alla cessazione dell'attività.
Comprende inoltre gli interventi di contenimento della contaminazione da mettere in atto in via transitoria fino all'esecuzione della bonifica o della messa in sicurezza permanente, al fine di evitare la diffusione della contaminazione all'interno della stessa matrice o tra matrici differenti.
La messa in sicurezza permanente consiste in interventi atti a isolare in modo definitivo le fonti inquinanti rispetto alle matrici ambientali circostanti e a garantire un elevato e definitivo livello di sicurezza per le persone e per l'ambiente. In tali casi devono essere previsti piani di monitoraggio e controllo e limitazioni d'uso rispetto alle previsioni degli strumenti urbanistici.
La bonifica vera e propria consiste in interventi atti a eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (Csr).
Da quanto detto, prima di poter parlare compiutamente di bonifica, relativamente a questo territorio devastato, in conclusione, di acqua sotto i ponti ne deve passare ancora tanta, anzi tantissima. Anche perché la normativa vigente non prevede il raggiungimento di specifici obiettivi gestionali dei siti contaminati entro determinati limiti temporali.