Il Dpr 616/1977, che ha storicamente delegato la materia urbanistica alle Regioni entrate in vigore 7 anni prima (1970), definisce l'Urbanistica come la «disciplina dell’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo, nonché la protezione dell’ambiente».
Per capirne di più, calandoci nella nostra realtà, abbiamo chiesto lumi ad un professionista di comprovata esperienza nel settore, l’arch. Francesco Salinitro (nel riquadro della foto), peraltro già assessore al ramo nella giunta Messinese.
Ciò che il cittadino gelese conosce della materia è la risposta che riceve dagli uffici comunali nel momento in cui presenta un progetto: e cioè che prima di tutto non deve essere in contrasto con lo strumento urbanistico vigente in ambito locale, vale a dire il “Piano regolatore generale” (Prg) approvato definitivamente nel 2017, dopo decenni di gestazione: «ma – sottolinea l’arch. Salinitro – non è stato perfezionato da atti necessari come il “Piano urbano della mobilità” (Pum) solo recentemente approvato, nonché le “Prescrizioni esecutive” (Pe), che non sono state inserite tra gli elaborati di piano portati in adozione ed in assenza delle quali mezza città è ancora oggi bloccata.
D’altra parte tali prescrizioni non seguono criteri di equità nel trattamento tra i cittadini, per cui l’augurio è che questa amministrazione abbia dato ai progettisti incaricati, indicazioni in tal senso, in linea con i principi della nuova legge urbanistica e della perequazione».
Dopo 42 anni, infatti, la vecchia legge n. 71 del 1978, è stata sostituita dalla legge n. 19 del 2020, modificata in alcune parti dalla successiva L.r. n. 2 del 2021: «il nuovo quadro normativo – precisa – definisce ora tre livelli integrati di pianificazione, quello regionale con carattere strategico generale, quello “provinciale” (che riguarda i consorzi e le città metropolitane) interna alla pianificazione strategica regionale, quello comunale (Pug) in coerenza con la pianificazione consortile e/o metropolitana.
Probabilmente sarebbe il caso che il Prg vigente venga rielaborato ed adeguato subito ai contenuti della nuova legge urbanistica o quantomeno c’è da chiederselo. Sta di fatto, comunque, che l’attuale Prg gelese non è stato concepito per programmare e gestire il futuro della città, ma per definire edificabilità e destinazioni d’uso dei suoli. In sostanza un Prg che non contiene una visione dello sviluppo e perciò non utile per questa finalità cruciale, se non dannoso in taluni casi».
Questo ci porta ad intuire che dagli errori del passato non siamo riusciti a trarne una lezione da imparare, anzi reiteriamo a commetterne altri. Ma il nostro interlocutore è ancor più categorico: «credo che nel passato – osserva - non siano stati commessi “errori”, ma piuttosto perseguiti gli interessi immediati di alcuni attraverso la massima capitalizzazione del valore delle aree agricole, incuranti degli interessi generali, a discapito della bellezza, dei servizi e della vivibilità. Ci fu un tempo in cui le strade di Gela erano ridotte ad acquitrini malsani e costituivano l’unica “concessione” urbanistica alla lottizzazione selvaggia imperante.
All’epoca l’Anic, oggi Eni, ha fatto ciò che ha voluto, ha scelto le sue aree e vi ha costruito un quartiere, distante ed avulso dalla città. A ridosso del porticciolo e su una spiaggia bellissima ha realizzato il deposito di carburanti. Lontano dalla città il centro direzionale. Mattei prese decisioni urbanistiche importanti a fronte di un “non ruolo” che è ancor oggi prerogativa di molta della politica locale attuale, incapace di avere una visione generale e strategica, consentendo la generazione di brutture che ancora oggi viviamo con vergogna e malessere».
Che la costruzione del petrolchimico avrebbe determinato un afflusso considerevole di nuovi cittadini era ampiamente prevedibile, ma la risposta fu nulla, anche se un Prg fu approvato e si racconta pure che Gela fu uno dei primi comuni siciliani a farlo: «il Prg approvato – ci spiega Salinitro – fu sostanzialmente inesistente perché legato a piani particolareggiati che non sono stati mai approvati, o approvati a danno compiuto, con l’aggravante che i piani predisposti non erano neppure concretamente approvabili. Invero, un piano regolatore Gela ha potuto averlo, seppure incompleto e inadeguato, soltanto dal 2017.
Le licenze edilizie, pur in presenza di molte richieste, non vennero mai rilasciate giacché mancavano i piani particolareggiati, ma l’afflusso di nuovi cittadini in città continuò incessante. La “Legge Ponte” (1967) accrebbe ulteriormente la pressione edilizia in città fino a che il primo trasgressore iniziò a costruire in assenza di licenza, rimanendo impunito ed aprendo il varco ad una valanga inarrestabile che determinò un’espansione disordinata.
Da allora l’abuso edilizio divenne ben presto “modus operandi”, in una città sempre più diversa da quella che era stata fino ad allora. Ancora oggi, la comunità gelese è un crogiuolo di provenienze non amalgamate che postulano un carattere cittadino indefinito sfociante per lo più in un atteggiamento auto-denigratorio che i suoi stessi abitanti praticano, illudendosi attraverso una critica strabordante, di essere altro dalla città che vivono».
Sicché, guardando al presente, se volessimo delineare il quadro attuale delle criticità più evidenti ed urgenti «è esiziale inquadrarle nella definizione – osserva l’ex assessore all’urbanistica - delle caratteristiche salienti di questo territorio, nella convinzione di volerle potenziare e sviluppare. Caratteristiche fisiche, ma anche non visibili ed altrettanto determinanti sul comportamento economico, sociale e culturale di questa città.
Mi riferisco all’assenza di servizi alla persona e alle attività economiche; ad un capoluogo di provincia che per sopravvivere assorbe servizi di cui la città più popolosa ed economicamente più importante viene spogliata, con annessi onerosi spostamenti verso il capoluogo; ad una città dove s’incontrano quattro province siciliane, il che rende complicata la tessitura dei rapporti con le città vicine, aumentando l’isolamento di Gela e del suo territorio che potrebbero dispiegare una forza economica straordinaria e trainante, ma che non riescono a farlo; alla portualità turistica e peschereccia con un porto in disuso da troppi anni, un lasso di tempo sufficiente a distruggere qualsiasi economia di qualsiasi regione e nazione; alla possibile grande portualità marittima che potrebbe capovolgere i destini economici non solo di Gela, ma anche della Sicilia e persino del “Meridione”, mentre tutto rimane invece dormiente e inattivo; all’agricoltura che deve inseguire l’acqua e i servizi connessi con la produzione e la commercializza-
zione dei prodotti; alle straordinarie testimonianze storiche, monumentali, ambientali e paesaggistiche, le cui potenzialità vengono vanificate dal deficit in termini di servizi, dalla cattiva gestione dei rifiuti e dall’assenza di vision di amministratori e cittadini».
Appaiono chiare, per questa via, quali siano le direttrici future di programmazione e pianificazione: «è necessario – puntualizza – che la città, tutta decida cosa fare delle criticità citate. Se intende risolverle e trasformarle in opportunità, oppure se intende conviverci e subirle così come sono. Se intende perseguire la via dello sviluppo o della rassegnazione inattiva. La pianificazione territoriale prima e urbanistica poi non possono non tenere conto di tutto questo.
La governance locale deve partecipare attivamente alla elaborazione dei piani sovraordinati, per dire la propria sin dall’inizio in ambito regionale ed elaborare un Pug (Piano urbanistico generale) ai sensi della nuova legge urbanistica, programmando i luoghi per i servizi alle imprese, per la logistica, per la portualità e il retroporto, per l’agricoltura, per i collegamenti fra la zona a mare e la pianura e le località di sbocco delle attività programmate.
Non può non prevedere i luoghi della ricettività lungo la costa e spostare l’edilizia popolare e residenziale verso l’interno, lasciando il posto agli alberghi. Non può non prevedere processi di recupero urbano e dotazioni di servizi nelle aree degradate. Il tutto – chiosa l’architetto – con il coinvolgimento dei cittadini all’interno di un processo di revisione e di progettazione urbanistica istituzionalizzato, nella consapevolezza che oggi è già tardi e che per provare a recuperare, non abbiamo altra alternativa che rimboccarci le maniche».
In conclusione possiamo asserire che di spunti per un dibattito su questo argomento essenziale per lo sviluppo gelese, che in questa città manca da troppo tempo, ne abbiamo tratto in abbondanza. Per quel che ci riguarda, rimane la disponibilità a dare spazio ad ulteriori contributi.