Nei dieci anni successivi alla fine dell’ultimo conflitto mondiale Gela si scopre frontiera dell’Europa con lo sbarco degli americani sul suo golfo.
La guerra, fino ad allora lontana, gli piomba addosso, senza sfiorarla. Un miracolo. I gelesi, tuttavia, si sentono vulnerabili, indifesi e incapaci di elaborare un futuro. Vivono il repentino cambiamento, dai federali ai “paisà” in casa, con sentimenti contrastanti. Prevale la rassegnazione, la sudditanza agli eventi. E’ il tempo delle cimici nere e piatte, della malaria, il tracoma e la tubercolosi, nascono tanti bambini e sanno di latte materno.
Ciò che accade è figlio della malasorte o la buona sorte. Si diventa ricchi grazie alle “truvature”, il rinvenimento di tesori: chi scava per farsi una casa può imbattersi in reperti archeologici, monete antiche, e si arricchisce. La povertà genera povertà. La roba arriva con i miracoli. Il mare e la terra regalano una risicata sopravvivenza. Una realtà di struggenti penombre, un prisma che tace sulla fatuità del mondo, piccolo e ingenuo. Nessuno imbraccia fucili, nessuno spara, nessuno scommette sul futuro. L’incognita smarrisce e fa proseliti. I gelesi sono siciliani scontenti, sono insolenti, si sentono traditi senza saperselo spiegare: né demoni né zoppi, sono solo malmessi e senza fiato.
Eppure vivono la vigilia di un’altra storia, la storia del petrolio – ricca e ingannevole – ma non ne sono consapevoli. In questo prologo incerto e, per certi versi, rancoroso, si lasciano avvolgere in una sorta di incantesimo.
E’ in questo mondo chiuso e indifeso, composto, intriso di fatalismo, che compare la bestia, una entità ostile. L’ossessione del mostro libera tabù e paure sopite. E’ il demone che spaventa ed attira a sé, monopolizzando incubi ancestrali. Se le “truvature” sono miracoli, la bestia è una maledizione.
Il nemico invisibile, che abita la mente dei gelesi, non ha un volto. La bestia compie le sue scorribande a suo piacimento, ma nessuno ha mai ascoltato la sua voce, nessuno sa com’è fatto. E’ un uomo, ma non ha niente di umano. Può assumere le sembianze di chiunque: il vicino di casa, il personaggio pubblico, il vecchio amico, per compiere le sue malefatte, per invadere gli incubi dei gelesi. Sulla sua natura circolano poche notizie.
Su una, però, sembrano tutti d’accordo: le sue fattezze umane, che perde, trasformandosi in un essere mostruoso, quando le sue unghia diventano artigli, il volto e le mani si coprono di peluria, gli occhi si dilatano a dismisura, i suoi respiri assomigliano a mugugni. Appare nelle notti di plenilunio, a mezzanotte, si trascina per le strade, con la bava alla bocca, e aggredisce chiunque trovi sul suo cammino.
Sulle sue abitudini le notizie sono contraddittorie, ma tutte contribuiscono a far crescere la sua terribilità. Eppure c’è chi pensa che sia solo un povero cristo che soffra di una patologia psichiatrica, di dolori lancinanti, ed emette a causa di ciò urla spaventose. Un malato del quale avere compassione. Ma sono voci, solo voci, un brusio insistito, che teme di sfidare il silenzio. La temerarietà della bestia atterrisce, si diffonde con cautela. Piuttosto che la veridicità sull’entità immonda, è il brusio insistito su di essa che conta. Non c’è stato alcun avvistamento o brutto incontro, ma ciò non significa nulla. La paura non ha alcun bisogno di vedere o toccare con mano il pericolo.
L’essere che abita le tenebre guadagna un nome. La descrizione delle orribili sembianze e una antica credenza ne fanno un lupo mannaro. La causa della sua trasformazione da umano a bestia è la licantropia, contratta come una sorta di “rabbia”. Ma c’è chi crede in una natura demoniaca; non si spiegherebbe perché, altrimenti, al pari dei vampiri, l’essere immondo morda i malcapitati che s’imbattono sulla sua strada. E una volta morsi, le vittime divengano, a loro volta, lupi mannari.
Qualunque sia l’origine, malattia o potere demoniaco, non cambia niente nell’immaginario collettivo: la paura di incontrare la bestia resta tale. Occorre perciò adottare comportamenti che salvino i disgraziati dal lupo mannaro: rincasare prima dello scoccare della mezzanotte nelle notti di luna piena, e ove ci si trovi al cospetto della bestia, fuggire verso gradinate o incroci. Il lupo mannaro non può salire più di tre gradini, né attraversare gli incroci. Munirsi di strumento di difesa, la croce di Cristo, è essenziale: la croce impedisce all’essere demoniaco di fare un passo avanti.
Non potendo dargli la caccia nelle notti di plenilunio, sarebbe troppo rischioso, si cerca di identificarlo quando assume sembianze umane. I sospetti sono tanti. Nella bocca di tutti ci sono i nomi di brave persone, ignare, perfino di uomini di chiesa. A suscitare il sospetto basta poco: le sue fattezze, anzitutto, un comportamento strano, la peluria eccessiva, l’inspiegabile irascibilità. Presumo che la licantropia, come tante altre malignità, sia usata per gettare discredito, colpire il nemico, quello vero, e indurre repulsione.
I miei ricordi di questo infelice tempo di mezzo – i miei anni dell’infanzia e della fanciullezza – sono scarni. I miei genitori prestano attenzione al giorno ed all’ora del ritorno a casa, ma preferiscono ignorare l’argomento. Il latrato lugubre di un cane nelle ore notturne diventa inevitabilmente, tuttavia, l’ululato di un lupo mannaro. C’è un episodio, che voglio rammentare. In una notte di luna piena, ascoltato l’ululato, trovo il coraggio di affacciarmi al balcone – abitavo al terzo piano – per poterlo vedere. La vista di quell’essere abominevole sopravanza la mia paura. Ma l’incrocio sotto casa mia, resta desolatamente solitario. I cani abbaiano ma nulla di più, fino alle tre del mattino, quando i carretti, centinaia di carretti, si mettono in fila per recarsi in campagna.
Il tempo dei lupi mannari finisce così com’è cominciato, senza una ragione o evento plausibile. Con l’arrivo della buona stagione, l’estate, che allunga le giornate e affolla strade e piazze anche nelle ore notturne, il timore della bestia si attenua e poi scompare. Alla paura viene a mancare l’alleato più fedele, strade e piazze solitarie.
Gela non ha affatto da vergognarsi di questo tempo di lupi, intensamente vissuto. La paura di una entità sconosciuta c’è sempre stata. La leggenda di umani che si tramutano in bestie feroci risale all’età del bronzo. Il lupo mannaro abita gli incubi degli uomini da tempo immemorabile, e ogni volta con nome e sembianze diverse. E’ una paura che sequestra la mente, fa battere il cuore più forte, fa sudare, afflosciare le gambe, urlare o restare senza parole.
Gela ha vissuto la parodia di un antico mito. Ogni età della vita ed ogni tempo della storia elaborano le loro paure. Gli immigrati, a causa della loro diversità, oggi, si affacciano come un’ombra oscura sul nostro presente e sul nostro futuro a causa della demenziale e malevola volontà di chi diffonde pericoli inesistenti. E siccome l’irrazionalità riesce a prevalere, non è tanto la pandemia, ma il vaccino a procurare apprensione, inquietudine, ansia, spavento.
Piuttosto che affidarci alla scienza e alla medicina, la mente si popola di bestie che agiscono nell’ombra contro di noi, moderni lupi mannari che con alambicchi e complotti misteriosi ci attendono al varco per farci del male, senza servirsi delle notti di plenilunio. Negli Stati Uniti, al tempo di Trump, grazie alla setta di Qanon, attiva nell’invasione del Congresso, ha diffuso la voce, ritenuta credibile sui social, che Biden, Obama e Clinton, servendosi della pandemia, avrebbero provocato la morte di tanti bambini per utilizzare il loro sangue, che conteneva uno speciale enzima per allungare la vita. Lupi mannari d’Oltreoceano.
Le paure vengono usate per manipolare la nostra mente, mettere ai margini i pericoli, quelli veri. Si alimentano dell’inconoscibile, la nostra terra straniera. Viviamo così i nostri incubi, elaborati nel sogno, come minaccia reale; essi talvolta, non hanno fine con il risveglio, continuano ad abitare dentro di noi giorno dopo giorno. Se subiamo prove molto dure, il nostro animo, provato, ci fa superare un confine, quello della realtà, e crea mostri famelici ricoperti di peli, con zampe lunghe e artigli.
La metamorfosi dell’uomo in figura diabolica si compie quando la nostra psiche è inquieta, il futuro ci pare oscuro, e la vita si popola di fantasmi e sembra abbandonarci. Occorre solo tener duro, avere pazienza, prima o poi arriva l’estate, e com’è avvenuto a Gela tanti anni or sono, la bestia svanisce.