Terreni senz’acqua nonostante tre dighe ed un vasca potenzialmente disponibili ed abbandonate, con trazzere dissestate che rendono impervio l’accesso, illuminazione inesistente o quasi, discariche abusive a “go-go”. La sicurezza? Un eufemismo.
Un quadro desolante che l’agronomo Piero Lo Nigro ci aiuta a focalizzare: «iniziamo col dire – afferma Lo Nigro – che le dighe non operano più neanche a regime ordinario e sono ridotte in condizioni pietose. Qualcuna addirittura non funziona e quindi le interconnessioni tra le dighe non possono essere sfruttate. Tutte le aziende agricole del piano campo sono in assenza di acqua. Non solo rischiano seriamente, ma già sono indebitate in maniera verticale e se questo settore dovesse davvero, per come si paventa, rimanere senza programmazione per i prossimi cinque anni, un migliaio di aziende dovranno chiudere i battenti.
Parzialmente diversa la situazione nel versante est della citta, nelle contrade di Bulala, Mignechi, Feudo nobile, Passo di piazza e via discorrendo. Esse storicamente sono interessate dalla presenza di impianti serricoli, in un contesto che però ha subito nel corso degli anni alcune modifiche di tipo adattivo e la presenza di alcuni vincoli ambientali, accanto altre ragioni, ha visto alcuni agricoltori non adeguarsi.
Ne consegue che non possono più fare queste strutture qualora volessero o fossero costretti in tal senso, perchè è cambiata la dinamica di lavorazione di impatto ambientale, è intervenuta la riduzione della superficie di almeno un terzo in partenza per quanto riguarda il piano di gestione, accanto altri limiti e vincoli di natura paesaggistica e di sovrintendenza più in generale. Il che considerata la natura poderale di questi territori il rischio del collasso è dietro la porta».
Le conseguenze tanto occupazionali quanto economiche sarebbero devastanti: «stiamo parlando – prosegue l’agronomo gelese – di una fetta di economia cittadina che tra "otd" (operai a tempo determinato – ndr) stagionali, “cinquantunisti”, “centunisti” e “centocinquantunisti”, arriviamo ad oltre duemilaseicento, a cui aggiungiamo tutte le attività dirette come imprenditori agricoli e posizioni Inps, ci ritroviamo così di fronte ad un bacino di almeno cinquemila unità lavorative che danno da mangiare ad altrettante famiglie. Rendiamoci conto che si superano abbondantemente oltre i cento milioni di euro di produzione solo nell'orticolo.
Ed il tutto si trova ad affrontare una crisi innanzi alla quale la Regione siciliana continua letteralmente a “babbiare”, mostrandosi negli anni omissiva, superficiale e persino complice dolosa di alcune situazioni che si stanno incancrenendo, assumendomi le responsabilità di quel che affermo.
Sulla sicurezza e sui reati ambientali siamo favorevoli che chi brucia la plastica e/o commette reati venga punito, ma ci sono tanti produttori che fanno il loro lavoro nel pieno dovere, con correttezza, dignità ed in regola. Invito sotto questo profilo a non generalizzare, buttando il bambino con tutta l'acqua sporca. Criminalizzare in maniera indiscriminata, non aiuta nessuno.
Le amministrazioni devono aprire una vertenza con la Regione, grande assente e latitante in questa preoccupante vicenda. Noi saremo al fianco degli agricoltori onesti ed al fianco delle forze dell'ordine – conclude – se e quando dovessero intervenire a reprimere condotte dolose».
Una situazione che si trascina da tanti anni. Non potevamo non rivolgerci ad una memora storica come Totò D’Arma, per anni responsabile della Cia ed assessore comunale al ramo nella stagione crocettiana: «sulla condizione dell'agricoltura - esordisce D'Arma nel risponderci – hanno pesato negativamente, in primis, gli storici ritardi relativamente agli impegni presi, puntualmente rinnovati, ma mai mantenuti sulle infrastrutture e le dighe in particolare.
Basta semplicemente andare a guardare di persona per constatare come quella del "Comunelli" e del "Disueri" siano dighe destinate alla distruzione nonostante le tante promesse fatte. Ma c'è altro, compresa una incapacità complessiva delle aziende agricole a fare sistema, cooperando, per non lasciare la questione commerciale nelle mani degli intermediari. C'è soprattutto – rimarca – una carenza della Regione nell'approntare un piano organico di sviluppo agricolo, a cui si accavalla la lentezza se non il disimpegno delle amministrazioni che si sono succedute negli ultimi venti anni, con tante belle parole spese, ma tradottesi in discussioni sterili e senza alcun aiuto concreto al settore».
Insomma, il nulla rispetto al lavoro fatto dall'assessorato retto dallo stesso D'Arma durante la sindacatura Crocetta: «premesso che – ricorda – avevo anche altre deleghe pesanti ed impegnative, in effetti ho un po' ravvivato una delega altrimenti morta.
Mi sono inventato i "Pit" per portare il gas nelle serre, iniziative per l'etnocultura, mille chilometri di strade rurali grazie alla terra mista, le sagre per incentivare le nostre produzioni, un piano dedicato alle zone locali per il cerasuolo, il libretto di pascolo per la pastorizia con tanto di accordo con gli agricoltori, le prove a “Montelungo” per l'utilizzo delle reflue, in Sicilia e forse anche in Italia abbiamo fatto il primo disciplinare per la produzione dei carciofi non andato avanti per una mancanza di fiducia complessiva, che abbiamo invece – continua – cercato di sollecitare con iniziative come quella che ha portato il primo vino gelese presente al “Vinitaly” ed altre ideate per inserire alcune produzioni locali in un contesto di produzioni appetibili dal punto di vista della qualità. Come ad esempio nel caso della produzione dei pomodorini di pachino, il migliore ciliegino di pachino, infatti, ce l'abbiamo noi».
Quindi le amministrazioni possono fare ed incidere con la loro azione: «le amministrazioni – precisa D’Arma – devono essere le prime interessate al problema ed assumere l'iniziativa di amalgamare tutti gli elementi del settore, dagli uomini agli strumenti disponibili e le tecnologie in uso, aggredendo le criticità pur non avendo la soluzione a portata di mano. Il settore va aiutato con un'operazione sinergica che ridia la giusta dignità ad un settore che dev'essere visto e considerato come un trainante per l'economia cittadina, quantomeno parimenti ad altri.
Questa mancanza di visione sinergica e di unità d'intenti che dovrebbe attraversare l'intero tessuto della città, intesa proprio come una comunità, è stata la principale causa del fallimento del progetto agrofotovoltaico, ad esempio, che avrebbe impegnato diversi protagonisti del settore, creato posti di lavoro, una filiera commerciale diretta e quindi sarebbe cambiato decisamente il volto agricolo della città.
Probabilmente avremmo potuto fare di più nei miei anni di assessore al ramo, però debbo onestamente osservare che almeno abbiamo fatto parlare di agricoltura in città, cosa che non sento più, purtroppo, da due decenni. Il che – conclude con una certa amarezza – mi dispiace, non poco perché le condizioni per portare avanti ciò che avevamo intrapreso, c'erano tutte».
Il nulla è anche quello che l’attuale assessore, Cristian Malluzzo, dice di aver trovato in eredità: «onestamente – chiarisce immediatamente – quando mi sono insediato non ho trovato un settore, ma un solo ufficio, dedicato esclusivamente al rilascio dei patentini per la caccia e la pesca. Non siamo rimasti con le mani in tasca ed abbiamo cercato di creare un collegamento con il Consorzio di bonifica e l'ex ufficio dighe, oggi ufficio di bacino, all'interno del dipartimento regionale incardinato nell'assessorato regionale all'energia.
Abbiamo avuto diverse interlocuzioni con l'ing. Foti, l'ex assessore Pierobon ed adesso l'attuale assessore Baglieri. In qualche modo siamo riusciti a tamponare l'emergenza idrica nel periodo estivo con ulteriori prelievi di acqua sempre rispettando i livelli minimi consentiti ed in più a breve verrà istituito un tavolo tecnico permanente a cui oltre al comune, parteciperanno rappresentanti del comparto agricolo di Niscemi e del comparto agricolo di Gela, il consorzio di bonifica, un agronomo e l'ufficio regionale di bacino competente, al fine di capire come risolvere nell'immediato il problema dell'interconnessione tra la diga “Cimia” e la “Disueri”, ovvero tra una delle due e la vasca “Maroglio” e più in generale per capire come prepararci a situazioni critiche che si ripresenteranno nelle stagioni successiva, specie la prossima estate.
Il tutto in vista dello sblocco dei finanziamenti ed investimenti in capo alle tre dighe, “Cimia”, “Comunelli” e “Disueri”. Sul versante delle strade dissestate, le discariche abusive e la sicurezza il discorso si fa più complicato dove c'è un intreccio di competenze, specie per la sicurezza in merito alla quale la cosa migliore da fare – chiosa Malluzzo – rimane quella di assicurare un raccordo efficiente ed efficace tra forze dell'ordine, polizia municipale e vigilanza privata».