Per mezzo secolo Gela è stata una delle capitali italiane dell'oro nero, non solo per i tanti pozzi di petrolio presenti nel territorio, ma anche per una capacità di raffinazione dello stabilimento, a ciclo chiuso, tale da poter trattare greggio pesante non solo del luogo, ma anche di altri siti.
Una raffineria capace di tenere altissimo per decenni il livello produttivo, con un surplus economico non indifferente rappresentato dal famigerato pet-coke che da rifiuto veniva trasformato in combustibile, reintrodotto nella catena di produzione, fino ad alimentare la stessa centrale e la produzione di energia elettrica, la cui eccedenza veniva poi venduta ad altri operatori del ramo elettrico che ne facevano richiesta.
Intanto negli anni un'altra risorsa, ancor più essenziale, è diventata tanto preziosa da meritarsi la nomea di oro blu, alla stregua cioè di un bene che non è nella comune disponibilità di tutti e che si rileva sempre più costoso. Ci riferiamo all'acqua, ovviamente. Non quella salata del mediterraneo su cui si affaccia questa città, ma quella delle salatissime bollette recapitate ai cittadini utenti.
L'oramai celebre "acqua potabile ma non bevibile", con i cittadini che la utilizzano per i servizi igienici, mentre per la cucina ricorrono alle casse d'acqua più economiche acquistate ai supermercati e discount, in aggiunta alle casse dell'acqua un po' più cara utilizzata per bere, sempre per chi se lo può permettere. Insomma, l'acqua che sgorga a singhiozzo dai rubinetti, che in molti quartieri arriva ancora la notte con i motorini pronti ad essere accesi e se ne va il mattino dopo, per ritornare qualche giorno dopo, in attesa del quale l'utente usufruisce con parsimonia delle cisterne.
A Gela è pure l'acqua che lascia a secco i cittadini durante ogni estate, man mano che ci si avvicina al ferragosto. Un appuntamento fisso negli anni, che palesa non ammettere deroghe. Ne avremmo fatto a meno in piena pandemia covid, ma tant'è. Anzi, a gran sorpresa, questa estate è toccato pure a Macchitella, con la "green" Rage (Raffineria di Gela) che è dovuta intervenire mettendo a disposizione il prezioso liquido della diga Ragoleto per alimentare le condotte del quartiere dove ancora risiedono diversi dirigenti, quadri ed operai del cane a sei zampe. Ma in altre parti della città non si è stati così fortunati.
Sicché, oltre a pagare bollette esose per un servizio "integrato" non reso a tutti gli effetti (si pensi anche a fognatura e depurazione), per un servizio che non è mai riuscito a diventare “h24”, sicuramente non entro quel termine temporale che era stato scritto nello Statuto dell'Ato idrico nisseno, ma poi letteralmente e misteriosamente scomparso durante la fase di commissariamento dell'Ato stesso, il cittadino gelese si vede costretto a premurarsi di prenotare le autobotti, per poi essere sicuro di potersene avvalere, con lievitazione ulteriori dei costi.
Ma come si è arrivati a tutto questo? Ventidue anni fa (1999) la Sicilia recepì la legge Galli, emanata cinque anni prima (1994). Sulla base della nuova normativa nazionale ai comuni fu imposto di consorziarsi in Autorità d'ambito territoriale ottimale (Aato) e la Regione siciliana decise di sostituire il modello gestionale pubblico dell'Eas, perennemente in perdita, con un sistema misto che vedeva da una parte la componente privata rappresentata dal concessionario regionale, Siciliaque, con accanto i gestori del servizio a livello provinciale (come Caltaqua nell'ex provincia ed attuale libero consorzio di Caltanissetta); mentre dall'altra era prevista una componente pubblica, fondamentalmente di indirizzo e controllo della componente privata, rappresentata a livello regionale dall'Agenzia regionale rifiuti ed acque (Arra) istituita dal governo Cuffaro e a livello provinciale dai sopra menzionati Ato (nell'ex provincia nissena, Ato Cl6).
A livello regionale, opera dunque il concessionario Siciliacque, titolare di una concessione di 40 anni a decorrere dal 2003. Siciliaque ha ereditato dal carrozzone Eas, acquedotti, oltre 1.700 Km di rete di adduzione, impianti di sollevamento, campi pozzi, gruppi sorgenti, impianti di dissalazione di acqua marina (di cui uno era a Gela, gestito Raffineria), invasi artificiali (di cui la diga Disueri di pertinenza del Consorzio Di Bonifica 5 Gela e la diga Ragoleto a cura ancora della Raffineria di Gela, nonchè Ancipa e Prizzi gestiti dalla Enel Green Power). Siciliacque gestisce il servizio di captazione, accumulo, potabilizzazione ed adduzione idrica.
A suo carico c'è anche la manutenzione e riparazione delle condotte ma per questi lavori a pagare è la Regione siciliana, pur essendo quest’ultima detentrice di una quota azionaria del 25% di Siciliacque, mentre il 75% restante è in capo ai privati e fondamentalmente in mano ai francesi di Veolia (ex gruppo Vivendi): un colosso internazionale del ramo. A fronte di ciò non è un'eresia asserire che ci troviamo di fronte ad una situazione in cui, nel concreto e senza troppi fronzoli, privati gestiscono soldi della Regione e, quindi, pubblici.
Ciò, a maggior ragione quando è venuto a mancare l'interlocutore pubblico di Siciliacque, vale a dire l'Arra che, nata nel 2005, scompare solo cinque anni dopo, nel 2010, per volontà dell'Ars che la vedeva come una sorta di «longa manus» del Governatore di turno (che poteva nominare il Presidente e 4 membri del consiglio d'amministrazione) con tanto di autonomia senza precedenti.
Nell'ex provincia nissena, opera invece Acque di Caltanissetta Spa., meglio conosciuta come Caltaqua, in cui azionista di maggioranza è la spagnola Aqualia, altro colosso internazionale del ramo. Caltaqua si occupa della gestione del Servizio idrico integrato (Sii): ossia i servizi idrici di acquedotto, fognatura e depurazione, sulla base di una convenzione trentennale a decorrere dal 2006 (siamo dunque a metà del percorso). Accanto la Convenzione, ci sono altri documenti, come una Carta del Servizio, un Regolamento generale, ad esempio, sottoscritti dall'Ato e che l'Ato avrebbe dovuto far rispettare.
La stessa compagine societaria di Caltaqua non è quella del raggruppamento originario che ottenne il servizio in via residuale, per esclusione dell'altro raggruppamento. Quest'ultimo fece ricorso ma poi abbandonò, perché due società importanti di quel raggruppamento passarono nell'Ati (associazione temporanea d'imprese) di Caltaqua, attraverso cessioni di rami d'azienda ed altre operazioni alquanto articolate, veri e propri escamotage innanzi ai quali l'Ato (cioè la provincia ed i 22 comuni soci) si limitò ad una semplice e pura presa d'atto. In aggiunta ad un ruolo morbido dell'Ato nel controllare ed indirizzare il gestore privato, è intervenuto poi il commissariato dei vari Ato idrici provinciali e quindi, almeno di fatto, anche a livello provinciale è venuta a mancare la componente pubblica di una gestione complessiva che, da mista si è tradotta sempre più col tempo in una gestione privata o, comunque, caratterizzata da una forte valenza privatistico-aziendale.
Lungo questo ventennio è maturata, dunque, una situazione in cui il bene acqua è diventato un bene economico a tutti gli effetti, ma il cui prezzo non è dettato dal mercato ed il cui servizio non si è rivelato efficiente, come normalmente avviene laddove non c’è e – dobbiamo riconoscerlo – non può esserci, libera concorrenza. In sintesi, se la proprietà del bene è rimasta alla Regione, a fissare il prezzo all’ingrosso è però una Spa, Siciliacque, controllata dai francesi di Veolia, operante in condizione di monopolio. Il costo al dettaglio, poi, attraverso un piano tariffario tra i più alti d’Italia, viene ribaltato nelle bollette e riversato sulle spalle dei cittadini, consumatori finali, da un’altra Spa, Caltaqua, controllata dagli spagnoli di Aqualia.
Un ventennio in cui di acqua sotto i ponti ne è passata. Dalla non potabilità e sconto in bolletta del 50%, a Caltaqua che non ne voleva sapere nel momento in cui la comprava al 100% da Siciliaque. Dallo stacco dei contatori alla formula sopra ricordata dell’acqua potabile ma non bevibile. Dal Referendum alla L.r. 19/2015. Dalla denuncia della commissione tecnica sulle inadempienze del gestore, all’Ati che si insedia fortemente in ritardo e che non si assume le proprie responsabilità politiche.
Un ventennio in cui a battagliare con i cittadini c’è stato un avvocato locale, Lucio Greco, eletto sindaco di Gela alle ultime amministrative ed attualmente in carica. Dal suo inizio di mandato in cui urlava al telefono al dirigente di Caltaqua, chiedendo lumi sulla sua assenza nel luogo del guasto e conseguente riparazione della condotta, al giorno in cui è uscito dal suo ufficio a braccetto con quel dirigente, complimentandosi per il lavoro fatto, sono passati due anni, ma è parso un attimo. Forse aveva proprio ragione Eraclito nel dire che “nessun uomo entra mai due volte nello stesso fiume, perché il fiume non è mai lo stesso, ed egli non è lo stesso uomo”.