Si diceva una volta… “se non ti capita non ci credi”.
È proprio vero. Non ci credono, oppure se ne fregano, i cittadini gelesi che hanno avuto la fortuna di non aver dovuto ricorrere a interventi urgenti ospedalieri. Per questi interventi i cittadini gelesi rischiano moltissimo di restarsi secchi.
So di molti professionisti che hanno avuto urgente necessità d’interventi urgenti, e che hanno corso grave pericolo di vita. E che, in ogni caso, hanno subito gli interventi, ritenuti urgenti, con notevole ritardo rispetto a quel che normalmente ci s’impiega in altre zone o Asl della Sicilia e d’Italia.
Qualche anno fa avevo letto di un sinistro occorso a un giovane ventitreenne di Gela, Giuseppe Morello.
“Inizialmente portato all'ospedale “Vittorio Emanuele”, il giovane era stato poi trasferito a Caltanissetta dove è morto. Le condizioni del ragazzo erano apparse subito gravissime e la notte dopo l’incidente il quadro clinico si era ulteriormente complicato. I medici non hanno potuto far nulla per salvargli la vita. Il povero Giuseppe ha avuto un sinistro in motocicletta ed ha atteso l’ambulanza che da Gela l’aveva trasportato al Sant’Elia di Caltanissetta, dove era arrivato in gravissime condizioni. Il giovane è deceduto dopo 24 ore”.
Una mia parente, subìto un infarto a Gela, fu prima trasportata al pronto soccorso Vittorio Emanuele, una volta ospedale, di Gela. Accertate le gravi condizioni, fu trasportata d’urgenza in ambulanza al Sant’Elia di Caltanissetta. Giunse in gravi condizioni, ma se la cavò.
Mi disse ‘quel trasferimento in quelle condi-zioni da Gela a Caltanissetta m’è sembrato che sia durato un secolo. Non credevo di giungere al Sant’Elia ancora viva’
Un altro mio parente ricoverato al pronto soccorso Vittorio Emanuele di Gela, per disturbi cardiaci, dopo un breve ricovero, fu anche lui trasferito in ambulanza al Sant’Elia di Caltanissetta, dove gl’impiantarono degli stents.
Mio fratello Lino Internullo, subì un attacco d’ischemia al cervello o come comunemente si dice un ictus, e svenne senza alcun sintomo che lo precedesse.
Immediatamente la moglie e il figlio chiamarono il pronto soccorso, e giunta l’ambulanza fu portato al Vittorio Emanuele di Gela, dove fu sottoposto d’urgenza ad accertamenti clinici con la diagnosi di ictus cerebrale.
Tutto d’urgenza, senza dubbio, e con le dovute premure dei sanitari gelesi. Fu trasportato in elicottero da Gela all’ospedale Sant’Elia di Caltanissetta.
Mio fratello è stato operato d’urgenza da un’equipe abbastanza brava e competente che non ha potuto salvargli la vita. Dalla sala operatoria è uscito in coma profondo o irreversibile, e dopo due settimane ne è stato accertato il decesso.
So di molti cittadini che hanno corso grave pericolo di vita, per la mancanza di reparti ospedalieri competenti a intervenire senza ritardo presso l’Ospedale Vittorio Emanuele di Gela.
Un calvario diffuso e continuo subìto da una moltitudine di gelesi, anzi da ben 75.000 cittadini, senza considerare città vicine come Niscemi e Butera e Mazzarino.
Si dice calvario come una sofferenza passeggera, e si dimentica nel dire comune che al calvario seguì il supplizio e la morte del Cristo. In tal senso i gelesi sono trattati come Cristo in croce.
L’ischemia, come l’infarto, è un fenomeno che di solito giunge in maniera abbastanza improvvisa e necessita d’intervento urgente, e può costare la vita se l’intervento medico tarda ad arrivare.
In molti casi, grazie ad un tempestivo intervento, è possibile limitare i danni al cervello e tramite una opportuna riabilitazione il soggetto colpito può recuperare tutte le proprie facoltà cerebrali.
Nella situazione attuale, che vede un cosiddetto Ospedale Vittorio Emanuele di Gela, ridotto quasi a un pronto soccorso, quanto meno nei casi urgenti e gravi – ed è quanto basta – con la necessità di far ricorso a un lungo viaggio in ambulanza, d’urgenza o meno, oppure a un elicottero, a parte gli enormi costi, può ritenersi accettabile ai giorni nostri?
In materia di ictus il tempo è cruciale: ogni secondo perso prima di intervenire è un pezzo di cervello che se ne va.
Anche 15 minuti possono fare la differenza. Soccorrere un paziente colpito da ictus con almeno un quarto d’ora d’anticipo, spiega uno studio pubblicato sul Journal of American Medical Association, può davvero salvare vite e prevenire disabilità.
Ne deriva che se Giuseppe Morello e mio fratello dal luogo dell’evento fossero stati trasportati all’Ospedale di Gela e qui immediatamente fossero stati sottoposti a intervento chirurgico, avrebbero perso la vita, oppure si sarebbero salvati, sia pure con qualche postumo? Nei due casi vogliamo considerare che in condizioni diverse sarebbero stati operati con un anticipo di almeno mezz’ora o un’ora? Vi sembra poco?
Il mio è un grido di dolore, non soltanto per il diretto coinvolgimento di un mio caro fratello, ma anche per quanto è costretta a patire la mia città d’origine dall’assoggettamento alla provincia di Caltanissetta e alle strutture da questa derivanti o organizzate. Quelle sanitarie in primis.
Mi rivolgo ai miei concittadini gelesi, a quel-li che contano: politici, professionisti, artigiani, commercianti, industriali, agricoltori, e, perché no, anche agli studenti e ai giovani, perché riflettano su questa ormai intollerabile condizione, perché si ribellino e sollecitino anche con aperte manifestazioni e prese di posizione ufficiali il passaggio, già per legge deliberato dal Consiglio Comunale e dal referendum confermativo, alla Città metropolitana di Catania.
Mi permetto di dire a tutti che occorre avere coraggio e fiducia, e non farsi intimidire dalla constatazione che a Gela non c’è tradizione e cultura mafiosa, e che, se la mafia è cultura, questa può ancora serpeggiare tra i poteri forti della città provincia.
Mi va di considerare che errano coloro i quali vedono solo difficoltà e non valutano le prospettive per tutta la città ed anche per ognuno di loro.
Ormai molti sanno come la penso sul passaggio di Gela alla Città Metropolitana di Catania. A mio giudizio conviene a tutti: avvocati, medici etc. etc.
Prima vi liberate, meglio è. Non perdete tempo.