La vita - Istruzioni per l’addio, il nuovo romanzo di Elisa Ferranti, è un’opera di struggente profondità esistenziale, che segue la parabola tragica di Luca Del Moro, uno scrittore autodidatta giunto a cinquant’anni disilluso e in lotta con l’assurdità della vita.
Attraverso una narrazione densa e riflessiva, Ferranti ci conduce nei meandri di una mente tormentata, dove l’amore idealizzato, il fallimento dell’autoeducazione e il disprezzo per la superficialità del mondo borghese, e più in generale della vita stessa come evento trascurabile nell’economia dell’universo, si intrecciano in un percorso inesorabile verso il rifiuto di quest’ultima. Con uno stile lirico e incisivo, Ferranti esplora temi universali come la ricerca del senso, la delusione dell’intelligenza e il confronto con il nulla cosmico. Il titolo suggerisce una resa poetica e consapevole di fronte all’insensatezza dell’esistenza, in una chiave che richiama il Martin Eden di Jack London ma con una sensibilità profondamente contemporanea.
Nella prima sezione (Desiderio) è delineata la figura di Luca Del Moro, un giovane operaio di provincia che scopre la propria vocazione intellettuale dopo aver incontrato Giulia Bassetti, una studentessa di lettere appartenente a una famiglia borghese. Giulia diventa per Luca il simbolo di un mondo ideale, fatto di cultura, bellezza e significato, lontano dalla monotonia e dalla ristrettezza del suo ambiente familiare e lavorativo.
Spinto da questo amore idealizzato, Luca si lancia in un percorso di autoeducazione feroce: legge Baudelaire, Nietzsche, Schopenhauer, Darwin, tentando di colmare il divario sociale e intellettuale che lo separa da Giulia. Attraverso lettere intense e riflessioni appassionate, Luca riesce a conquistarla, ma i primi segnali di un’incompatibilità emergono presto. La relazione tra i due, pur apparentemente intensa, si fonda su un fraintendimento profondo: per Luca, Giulia rappresenta un ideale da raggiungere, mentre per lei, Luca è un progetto affascinante ma incompiuto.
La frattura simbolica si manifesta durante una cena con la famiglia di Giulia, dove Luca si scontra con la superficialità, il conformismo e l’ipocrisia del mondo borghese, sentendosi irrimediabilmente un impostore. La prima parte si chiude con Luca che pubblica il suo primo articolo su una rivista locale, un traguardo che sperava lo avrebbe avvicinato a Giulia e al suo mondo. Ma il commento insulso di Giulia, che lo definisce “idealista”, lo lascia con un senso di attonita disillusione, dal momento che lui percepisce il proprio approccio alla realtà come antitetico rispetto a qualsiasi forma di idealismo. È il preludio alla delusione che segnerà il resto della sua vita.
Nella seconda sezione (Ascesa e caduta) Luca Del Moro raggiunge l’apice del percorso di autoeducazione. Grazie al suo impegno instancabile, inizia a pubblicare articoli su riviste prestigiose e guadagna una certa notorietà nel mondo intellettuale. Tuttavia, il successo non gli porta la soddisfazione sperata: ogni traguardo raggiunto si rivela privo di reale consistenza, incapace di colmare il senso di alienazione che lo tormenta. Parallelamente, la relazione con Giulia inizia a sgretolarsi. Nonostante l’amore che Luca prova, il divario tra i loro mondi si fa sempre più evidente. Per Giulia, la cultura è un piacere estetico e leggero; per Luca, essa è un impegno esistenziale e un’avventura conoscitiva.
Questa differenza si acuisce durante un fine settimana trascorso nella villa di campagna della famiglia di Giulia. L’ambiente borghese, che un tempo rappresentava per Luca un obiettivo da conquistare, ora gli appare sterile e intrinsecamente corrotto. Durante una passeggiata, Giulia cerca di rassicurarlo, ma il suo tono distaccato rivela una frattura insanabile.
La rottura definitiva arriva quando Giulia accusa Luca di essere “troppo intenso” e quindi incapace di godersi la vita. Questo colpo ferisce profondamente Luca, che si rifugia nel lavoro. Pubblica un libro di saggi che riceve ottime recensioni, ma l’ambiente intellettuale lo delude: le relazioni sono dominate dal clentelismo e dal narcisismo, e Luca si sente sempre più estraneo al mondo che aveva tanto desiderato.
A quarant’anni, Luca è solo, disilluso e svuotato. Il successo professionale non ha riempito il vuoto lasciato dalla fine della relazione con Giulia, e il mondo intellettuale gli appare una farsa priva di autenticità. La seconda parte si chiude con Luca che, tornato nella biblioteca della sua giovinezza, guarda con indifferenza i libri che un tempo lo avevano ispirato e motivato. Le parole ora gli appaiono insignificanti, segni vuoti di un mondo che per lui non ha più alcunché di seducente.
Nella terza e ultima sezione (Rifiuto) il protagonista, ormai cinquantenne, prende la decisione di abbandonare la vita. La disillusione che ha accumulato negli anni si è trasformata in una convinzione definitiva: i processi biotici sono un meccanismo cieco, una suppurazione accidentale dell’inorganico, e non c’è possibilità di trovarvi un qualche significato. Luca si prepara meticolosamente al suo addio. Distrugge i suoi manoscritti incompiuti, scrive lettere ai pochi amici rimasti e rilegge i suoi diari, ripercorrendo i momenti cruciali della sua esistenza.
Rivive l’amore per Giulia, il fallimento nel colmare la distanza tra loro e il senso di alienazione provato tanto nei circoli borghesi quanto in quelli intellettuali. Ma queste riletture non suscitano più emozioni: sforzandosi di coltivare una sorta di paradossale ars oblivionalis per raschiare la pergamena della sua mente e ritornare alla tabula rasa, i ricordi gli appaiono ora come frammenti sempre più illanguiditi di una storia priva di coerenza, come il racconto di un idiota. La scena finale si svolge davanti al mare, luogo che rappresenta per Luca sia la nostalgia della giovinezza sia il simbolo del piattume cosmico che ora accetta come destino universale.
Portando con sé una copia di Martin Eden, entra nell’acqua e si lascia trasportare dalle onde. Luca si abbandona al mare con un sorriso amaro, consapevole che il suo gesto non è un grido di disperazione, ma una dipartita razionale e definitiva. L’ultima immagine del romanzo è quella del mare che si richiude su di lui, indifferente e immenso, come a suggellare l’insignificanza della vita stessa di fronte all’universo. La narrazione qui è sobria e meditativa, con un lirismo che sottolinea il senso di rassegnazione ma anche di lucidità del protagonista.
Non c’è traccia di melodramma: il gesto finale di Luca viene descritto come l’atto consapevole di un uomo che ha trovato nella morte l’unica risposta coerente al proprio nichilismo. Niente bagliori di luce nel cervello, dunque, né estremi guizzi di conoscenza, che cessano di apparire nell’istante stesso in cui affiorano alla coscienza, diretti verso l’oscurità intorno. La morte di Luca è colta solo come lo stato di una macchina biologica che smette di respirare.
La vita - Istruzioni per l’addio si pone nei confronti del Martin Eden di Jack London come il Don Chisciotte di del Pierre Menard di Borges rispetto all’originale di Cervantes: un’opera che, pur riprendendo una struttura narrativa già nota, ne altera il contesto e il significato alla luce di una sensibilità radicalmente diversa. Tuttavia, l’aspetto più sorprendente è che questa rilettura della parabola esistenziale e fallimentare di un uomo sia stata scritta da una giovane donna, Elisa Ferranti, che riesce a sondare con lucidità le fragilità e i conflitti dell’universo maschile senza mai cadere in stereotipi o facili moralismi.
Il romanzo, lungi dall’essere un mero esercizio di empatia o un’analisi psicologica, appare come un atto di decostruzione intellettuale e culturale. Ferranti si appropria di un modello canonico – quello dell’uomo autodidatta che tenta di elevarsi al di sopra della propria condizione – per evidenziare non solo la tragedia di Luca Del Moro, ma anche l’impasse strutturale di un’intera visione del mondo.
La sua scrittura, così intima e chirurgica, sembra suggerire che il fallimento di Luca non è solo il prodotto delle sue scelte, ma il risultato inevitabile di un sistema di valori che continua a premiare la finta competizione e nasconde la rapacità delle consorterie familistiche e clientelari, a discapito delle relazioni autentiche. Che sia una donna a scrivere questa storia non è solo un dettaglio biografico: è un elemento che trasforma radicalmente la prospettiva del romanzo. Ferranti non si limita a osservare Luca dall’interno; al contrario, il suo sguardo è capace di restituire un’immagine stratificata, dove il protagonista è al contempo vittima del proprio isolamento e artefice della propria rovina.
Attraverso il filtro femminile, il percorso di Luca assume sfumature nuove: non è più solo un viaggio verso il fallimento personale, ma una critica sottile a un modo di essere uomini che si alimenta di competizione tossica, solitudine e disprezzo per ciò che è “altro”. Il titolo stesso sembra riflettere una visione che smonta la supposta universalità della narrazione maschile: non ci sono eroismi né grandi conquiste, solo un cammino che conduce, lucidamente e tragicamente, verso il livellamento metafisico verso il nulla simboleggiato dalla piatta uniformità del mare (aequor, ricorda la voce narrante richiamando Lucrezio).
Ferranti, come Menard, riscrive un classico per il nostro tempo, ma con una consapevolezza che sfida i confini del genere e della tradizione. In questo, il romanzo diventa non solo una meditazione sul nichilismo, ma anche una riflessione potente sul privilegio e sulla vulnerabilità dell’essere umano, raccontata con l’intelligenza e la sensibilità di una voce femminile contemporanea.