Ritornare a Vaihinger. La rivincita del finzionalismo del filosofo della scienza Silvano Benetti è un saggio agile e informato che esplora il ruolo delle finzioni nella conoscenza umana, dalla filosofia di Friedrich Lange e Hans Vaihinger alle più recenti teorie illusionistiche sulla mente fenomenica e sulla coscienza.
Benetti intreccia filosofia, scienza e neuroscienze per dimostrare come la finzione, lungi dall’essere un inganno, sia uno strumento indispensabile per comprendere la realtà e affrontare le sfide della complessità contemporanea.
Il primo capitolo traccia le radici del finzionalismo attraverso il lavoro di Friedrich Albert Lange e Hans Vaihinger. Lange, nella sua monumentale Storia del materialismo (1866, 1873-1875), evidenziò come molte delle nostre credenze siano utili finzioni che permettono al pensiero umano di andare oltre i limiti della percezione diretta.
Vaihinger sviluppò questa intuizione in La filosofia del come se (1911), proponendo che la scienza, la morale e la religione si basino su costruzioni fittizie, accettate consapevolmente per la loro utilità pratica. Il capitolo distingue tra finzioni consapevoli e illusioni pericolose, mostrando come il finzionalismo di Vaihinger non sia scetticismo, ma un realismo pragmatico. Si sottolinea il coraggio intellettuale di Vaihinger nell’affermare che l’uomo vive e pensa attraverso il “come se”, un modello operativo che rimane fondamentale per la conoscenza moderna.
Il secondo capitolo esplora l’applicazione del finzionalismo nel pensiero scientifico e filosofico del Novecento. In ambito scientifico, si analizzano esempi come i numeri immaginari in matematica, le particelle virtuali in fisica quantistica e i modelli teorici della relatività, che dimostrano come la scienza spesso operi con strumenti concettuali che non rappresentano la realtà ontologica, ma la rendono comprensibile e prevedibile. La filosofia analitica, attraverso figure come Carnap, riconosce il valore delle costruzioni fittizie nella logica e nel linguaggio.
Tuttavia, il finzionalismo subisce anche critiche: per alcuni, esso rischia di confondersi con un relativismo pericoloso. L’autore evidenzia invece come il finzionalismo sia una strategia epistemica che non rifiuta la verità, ma accetta che essa sia spesso mediata da strumenti operativi e convenzioni utili, senza cadere in un totale scetticismo.
Il terzo capitolo collega il finzionalismo alle teorie contemporanee sulla coscienza, esplorando l’idea che il nostro senso di sé e la nostra rappresentazione del mondo siano costruzioni fittizie create dal cervello. Si analizza l’illusionismo sostenuto da quegli studiosi per i quali la coscienza non è altro che un’illusione evolutiva utile per coordinare il comportamento, con particolare riferimento alla raccolta di saggi Illusionism as a theory of consciousness (2017), curata dal filosofo inglese Keith Frankish. Le neuroscienze e le scienze cognitive sembrano offrire un sostegno a questa tesi, mostrando come il cervello operi attraverso modelli predittivi e rappresentazioni che non riflettono fedelmente la realtà, ma la semplificano per fini pratici.
L’autore traccia un parallelismo con Vaihinger, evidenziando come il pensiero finzionale non sia solo un espediente teorico, ma una caratteristica intrinseca della mente umana. Il capitolo si chiude interrogandosi sulla natura dell’esperienza soggettiva: se la coscienza è una finzione, cosa distingue un’illusione produttiva da una distorsione distruttiva?
Il quarto capitolo analizza il ruolo delle finzioni nell’etica e nella politica, mostrando come concetti fondamentali – giustizia, diritti umani, libertà – siano costruzioni finzionali utili per garantire la coesione sociale. L’autore esplora come tali finzioni, benché prive di una base ontologica oggettiva, abbiano una funzione normativa e operativa. Tuttavia, il finzionalismo etico-politico non è privo di rischi: ideologie e religioni hanno spesso sfruttato finzioni per manipolare le masse e legittimare il potere. I
n epoca contemporanea, l’ascesa delle fake news e la crisi della verità mettono in evidenza la linea sottile tra finzioni utili e falsità distruttive. Il capitolo propone che il finzionalismo, se critico e consapevole, possa offrire strumenti per distinguere tra narrazioni che costruiscono società più giuste e quelle che le corrompono, ribadendo la necessità di un’etica del “come se” per affrontare le sfide del presente.
Il quinto capitolo affronta il delicato confine tra le finzioni che arricchiscono la conoscenza e le falsità che degradano il pensiero. L’autore distingue tra costruzioni che ampliano la comprensione del mondo, come i modelli scientifici o le narrazioni simboliche, e quelle che ingannano intenzionalmente per manipolare. Si analizzano casi limite, come le teorie del complotto, che utilizzano strutture simili alle finzioni epistemiche ma producono effetti distruttivi. Il capitolo riflette su come il finzionalismo possa essere frainteso e utilizzato per giustificare un relativismo pericoloso.
Per contrastare tale deriva, l’autore propone un “finzionalismo critico”, capace di valorizzare le costruzioni utili senza rinunciare a una verifica etica e pragmatica delle loro conseguenze. Infine, si sottolinea che il valore di una finzione non risiede nella sua verità ontologica, ma nella sua capacità di migliorare la nostra relazione con il mondo e con gli altri.
L’ultimo capitolo propone una sintesi del percorso tracciato, immaginando un futuro per il finzionalismo come chiave interpretativa e pratica per le sfide del mondo contemporaneo. L’autore sviluppa l’idea di un finzionalismo critico, un approccio che accetta la finzione come parte intrinseca della conoscenza umana, ma che ne valuta attentamente le implicazioni etiche e sociali.
Si esplora come il finzionalismo possa applicarsi non solo alle scienze e alla filosofia, ma anche all’intelligenza artificiale e alla costruzione di modelli complessi per affrontare problemi globali. L’autore conclude che abbracciare il finzionalismo non significa rinunciare alla verità, ma riconoscere la sua natura operativa e relazionale. In un’epoca di crisi della verità, il finzionalismo critico offre un modo per costruire significati condivisi e affrontare la complessità senza cadere nel nichilismo o nel dogmatismo.
Il percorso tracciato in Ritornare a Vaihinger rivela come l’idea di finzione, lungi dall’essere un mero espediente filosofico, sia un principio epistemologico fondamentale che attraversa secoli di pensiero, trovando le sue radici nell’influenza di due giganti del XIX secolo: Nietzsche e Darwin.
Vaihinger, nell’ultima parte de La filosofia del “come se”, cita esplicitamente Nietzsche e il suo scritto giovanile Verità e menzogna in senso extramorale, riconoscendone l’importanza per una concezione della verità non come scoperta di un fondamento assoluto, ma come creazione umana funzionale alla sopravvivenza. Nietzsche, in questo testo, demolisce il valore intrinseco della verità, definendola una serie di metafore e antropomorfismi che si sono solidificati nel tempo. Questa prospettiva prefigura il finzionalismo di Vaihinger, che considera le finzioni strumenti indispensabili per navigare un mondo complesso e inaccessibile nella sua essenza ultima.
La verità, in senso nietzscheano e finzionale, è una costruzione che risponde a bisogni pratici, non a una realtà oggettiva.Parallelamente, l’impronta darwiniana attraversa tutto il finzionalismo, dalle intuizioni di Lange e Vaihinger fino agli illusionisti contemporanei come Frankish. Vaihinger, in particolare, profondamente influenzato dal darwinismo, vede nelle finzioni un adattamento cognitivo che garantisce la sopravvivenza: la mente umana non cerca il vero, ma ciò che funziona. Questo implica che la scienza stessa non mira a descrivere la realtà ultima, ma a costruire modelli utili per prevedere e controllare i fenomeni.
Oggi, gli illusionisti proseguono questa tradizione darwiniana, considerando in particolare la coscienza un’illusione evolutiva, una finzione elaborata dal cervello per ottimizzare le interazioni con l’ambiente. La continuità tra il finzionalismo classico e queste teorie moderne non è solo intellettuale, ma radicata in una comune accettazione del principio evolutivo: ciò che conta non è la corrispondenza con una realtà assoluta, ma l’efficacia nel garantire la sopravvivenza e l’adattamento.
In questo senso, Nietzsche e Darwin non sono solo fonti d’ispirazione per il finzionalismo: rappresentano i poli di una riflessione che unisce la decostruzione della verità come valore assoluto alla valorizzazione della finzione come strumento pratico.
Questa sintesi permette al finzionalismo di affrontare le sfide del presente, offrendo una prospettiva che abbraccia la complessità senza cadere nella disperazione nichilista o nell’illusione dogmatica. La verità, come direbbe Nietzsche, non è un idolo da adorare, ma una maschera che possiamo scegliere di indossare, consapevoli della sua natura finzionale e della sua potenza trasformativa.