Gela a tinte fosche, la Città che scambiò Eschilo con Padre Pio

Gela a tinte fosche, la Città che scambiò Eschilo con Padre Pio

Le ragioni di una rubrica settimanale. Con questa nuova rubrica settimanale, "La Biblioteca Invisibile" (alla sua terza uscita), esploriamo un territorio espressivo del tutto inedito: quello dei libri che non esistono.

Ogni settimana recensiamo opere immaginarie che, sebbene non trovino spazio sugli scaffali delle nostre biblioteche, offrono numerose possibilità di riflessione. La nostra missione è duplice: da un lato, rendere omaggio alla creatività umana che Jorge Luis Borges e Italo Calvino hanno celebrato in testi come “La biblioteca di Babele” e “Le città invisibili”; dall'altro, stimolare la mente dei lettori a interrogarsi su temi importanti e universali attraverso la lente di opere letterarie e saggistiche fittizie.

Con questa esplorazione, che si avvale delle risorse dell’IA generativa (è questa la vera novità), non solo esaminiamo le potenzialità della scrittura “artificiale” di immergersi in questioni filosofiche, etiche, scientifiche e sociali, ma invitiamo anche voi, lettori, a partecipare a questo gioco intellettuale, scoprendo insieme le inesplorate geografie del possibile combinatorio e dell'immaginario.

………………………………….

Il Libro Nero di Gela: La città che scambiò Eschilo per Padre Pio è un dattiloscritto di autore anonimo che sta circolando in città condiviso tra i cittadini più consapevoli sia in forma stampata (in una decina di copie) sia, soprattutto, in versione digitale.

Il testo, articolato in quattro capitoli cui segue un’appendice di dati e documenti di taglio giornalistico, dà voce alla crescente preoccupazione per il destino di una città che un tempo, a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, si sperava fosse destinata alla prosperità economica grazie all'industrializzazione forzata fondata sul petrolio.

Il primo capitolo, "Eredità di un fallimento industriale", fa riferimento diretto al vecchio studio sul campo di Eyvind Hytten e Marco Marchioni, Industrializzazione senza sviluppo. Gela: una storia meridionale (Franco Angeli, Milano 1970), ponendolo quale punto di partenza per comprendere come, dopo decenni di promesse mancate e politiche fallimentari, la città di Gela abbia perduto non solo il suo impulso industriale ma anche ogni traccia di sviluppo sostenibile.

Con acutezza critica, l'anonimo autore mostra come la dismissione dello stabilimento petrolchimico Eni abbia lasciato dietro di sé non solo un vuoto economico ma anche una devastazione ambientale e sociale, accentuando una crisi già profonda.

Il capitolo analizza in modo dettagliato le conseguenze dell'abbandono industriale: disoccupazione dilagante, impoverimento della classe lavoratrice e un senso di inerte smarrimento che pervade la cittadinanza. L'autore non si limita a descrivere la situazione attuale, ma indaga le responsabilità storiche, evidenziando come scelte politiche e strategie economiche miopi abbiano preparato il terreno per l'attuale desolazione.

Attraverso statistiche, testimonianze e un'analisi incisiva, questo primo capitolo mette in luce non solo le difficoltà economiche, ma anche l'impatto psicologico e culturale che la deindustrializzazione ha avuto su Gela. Né industrializzazione né sviluppo, dunque: "L'abbandono dello stabilimento Eni non ha solo lasciato una scia di disoccupazione, ma ha eroso il tessuto stesso della nostra comunità, trasformando la promessa di prosperità in un'eredità di disperazione" (p. 23).

Il secondo capitolo, "Il crollo culturale di una città", approfondisce la drammatica trasformazione culturale di Gela, delineando un declino che va ben oltre il semplice crollo economico. L'autore illustra in modo vivido come la città, un tempo fiera delle sue radici antiche e del legame con Eschilo, sia scivolata in una crisi di identità culturale profonda.

Con una narrazione coinvolgente e riflessiva, il capitolo inizia esplorando il culto antico riservato a Eschilo, il grande tragediografo che trovò la morte a Gela nel 456 a.C. e che, come ci informa la Vita anonima pervenutaci, fu molto onorato dalla città, che gli riservò una vera e propria venerazione fatta di sacrifici e recite teatrali davanti alla sua tomba.

Questo legame storico è messo a confronto con la contemporanea venerazione quasi superstiziosa di figure come Padre Pio (definito, in maniera forse un po' troppo irriverente, "l’abusivo delle roratorie"), illustrando un netto spostamento di valori culturali verso una religiosità più emotiva e meno riflessiva.

L'autore, raccogliendo una diceria rivelatrice, si addentra nella descrizione di come alcuni cittadini, nella loro ricerca di conforto spirituale, abbiano iniziato a deporre fiori ai piedi della statua di Eschilo posta davanti al museo, scambiandola per quella di Padre Pio, un gesto che simboleggia la perdita di consapevolezza storica e culturale, soprattutto se si pensa, nota amaramente l’Anonimo, che il santo di Pietralcina gode della fama di impostore e truffatore presso almeno due papi (Pio XI e Giovanni XXIII), un prete-scienziato (Agostino Gemelli), un giornalista scrittore (Mario Guarino, Santo impostore, Kaos Edizioni, Milano 2003) e uno storico (Sergio Luzzatto,  Padre Pio.

Miracoli e politica nell’Italia del Novecento, Einaudi, Torino 2007): "Una città che un tempo celebrava Eschilo, oggi depone fiori ai piedi di una statua a lui dedicata scambiata per Padre Pio, segno tangibile della nostra amnesia culturale" (p. 54). Questa confusione viene presentata non solo come un aneddoto curioso ma come un sintomo allarmante della "povertà culturale" che ha preso piede in città, dove il valore della storia e dell'istruzione cede il passo a una forma di religiosità immediata e meno impegnativa.

Il capitolo procede analizzando come questo cambiamento abbia alterato il tessuto sociale di Gela, influenzando negativamente l'educazione, le arti e il discorso pubblico. L'anonimo autore utilizza il concetto gramsciano di cattolicesimo "lazzaronesco" per descrivere la crescente influenzabilità e passività culturale che favorisce il dominio di una religiosità superficiale, la quale a sua volta facilita la manipolazione politica e sociale. 

Nel terzo capitolo, "La politica del malaffare", l'autore analizza la disfunzionale sfera politica di Gela, caratterizzata da una classe dirigente poco qualificata e spesso corrotta. Il focus è sugli imminenti scenari delle elezioni comunali del 2024, dove la corsa al potere sembra essere motivata più dalla disperazione economica che da un genuino desiderio di servire la comunità.

L'analisi inizia con una disamina dei candidati alle elezioni, descritti come un gruppo eterogeneo di opportunisti, molti dei quali senza alcuna esperienza politica significativa o formazione adeguata, che sfruttano il disagio socio-economico di molti elettori: "Nelle nostre elezioni, non è la competenza a guidare i votanti, ma la disperazione economica e la speranza di vantaggi personali" (p. 89).

Questi individui - elettori e talvolta persino candidati - sono ritratti come marionette nelle mani di poteri forti locali e interessi imprenditoriali, il cui unico scopo sembra essere il mantenimento dello status quo che favorisce il malaffare anziché il bene pubblico.

L'autore denuncia così il fatto che la politica locale sia diventata per molti un mezzo per sbarcare il lunario piuttosto che un'arena per il vero servizio civico. La narrazione evidenzia casi in cui decisioni politiche sono state chiaramente influenzate da legami con imprese locali, portando a scelte amministrative che hanno favorito pochi a discapito della maggioranza.

Il capitolo chiude sottolineando la mancanza di un vero cambiamento nella leadership politica di Gela, con un ciclo apparentemente infinito di figure mediocri dall’oratoria traballante che si alternano al potere senza apportare miglioramenti significativi alla qualità della vita della città o alla sua struttura economica.

Il quarto e ultimo capitolo, "Echi di un disfacimento morale", traccia dei parallelismi tra la situazione di Gela e le tematiche universali di degrado morale e culturale, facendo in particolare un opportuno riferimento al romanzo incompiuto Petrolio di Pier Paolo Pasolini: "Come nell'ultimo romanzo di Pasolini, Gela è diventata teatro di una lotta tra il potere e il popolo, dove il primo si nutre dell'indifferenza e del consumismo del secondo, deteriorando l'integrità di ciò che resta" (p. 127).

Qui l'anonimo autore esplora il malaffare politico e imprenditoriale, intrecciato con una più ampia crisi di valori alimentata da un consumismo sfrenato e da una cultura sempre più superficiale. Questo capitolo discute del profondo impatto della corruzione non solo sul tessuto economico ma anche su quello sociale e culturale di Gela. L'autore utilizza il concetto di "degrado antropologico" per descrivere come il consumismo e la ricerca incessante del profitto abbiano eroso i valori comunitari e l'integrità personale, riducendo le relazioni umane a semplici transazioni.

La discussione si estende al ruolo dei media e delle istituzioni culturali locali, spesso complici o inermi di fronte alla diffusione di una mentalità equivoca che privilegia il benessere economico immediato rispetto a valori più duraturi come l'educazione e l'etica. Il capitolo si conclude con una riflessione sulla difficile lotta contro questo declino morale, e l'autore suggerisce che, senza un rinnovato impegno per l'educazione e per la valorizzazione della cultura e della morale pubblica, Gela rischia di rimanere intrappolata in un ciclo di degrado che potrebbe compromettere irrimediabilmente il suo futuro.