Martedì 27 scorso a Palazzo dei Normanni, Sala Mattarella, è stato presentato il libro di Salvatore Parlagreco “Eschilo, l’enigma dell’aquila assassina”, per iniziativa dell’Associazione degli ex deputati e dell’Associazione degli ex dipendenti dell’Ars, presenti i presidenti delle due associazioni, Rino La Placa ed Eugenio Consoli, i relatori Luciano Caponetto e Pasquale Hamel, e l’autore. Il testo che pubblichiamo qui di seguito ripropone alcuni brani dell’intervento di Luciano Caponetto
Con il suo libro, l’autore, Salvatore Parlagreco propone un arduo enigma e solleva una lunga serie di ragionati sospetti sulle reali circostanze della scomparsa del grande tragico; il mistero si presenta particolarmente fitto perché l’indagine è remota e di difficile svolgimento dato che gli indizi, gli elementi, le prove e le testimonianze sono molto contraddittorie.
Parlagreco sviluppa un vero e proprio thriller giudiziario, avvincente e affascinante che coinvolge con il suo ritmo incalzante, pieno di suspence e di colpi di scena, tra nuove scoperte, nuove interpretazioni del materiale che ci è stato tramandato. E soprattutto attraverso un’analisi di tutte le prospettive e di tutte le varie letture e le varie ipotesi che è doveroso formulare per condurre un’indagine completa.
L’autore percorre tutte le tracce e le valuta con lucidità, intrecciando tutti gli elementi di prova che ci sono pervenuti, e lo fa con abilità magistrale (in diritto si direbbe che studia il combinato disposto delle prove giudiziarie): vaglia tali elementi, fino a farli corroborare l’uno dall’altro: oracolo-profezia, epitaffio, leggenda della tartaruga, che , grazie allo studio dell’autore, si rivelano nella loro reciproca connessione logica.
Ma non basta: l’indagine si serve di tutte le altre fonti disponibili. In primo luogo la notizia delle sue due incriminazioni per empietà, poi la notizia dei due viaggi (che si possono anche considerare di trasferimento in esilio) e quindi tutte le notizie storiche che su di lui ci sono state tramandate; quindi le tragedie, con i suoi versi avveniristici che denunziano i mali della tirannide oligarchica e lodano l’avvento del nuovo corso democratico; con le sue invettive che destrutturano e sviliscono il potere e la posizione di Zeus, e di conseguenza minacciano anche il potere della casta religiosa, gelosa custode di privilegi smisurati.
Il racconto si snoda con un ritmo incalzante che avvince il lettore, ne suscita ad ogni pagina la curiosità crescente e lo inchioda alla lettura, proprio mentre esamina anche le diverse versioni e le varie interpretazioni che nel tempo sono state date appunto a queste testimonianze che restano su Eschilo. Fino a raggiungere il risultato stringente che dimostra inequivocabilmente la sconcertante esistenza non di un motivo solo, ma addirittura di svariati moventi politici e religiosi che lo hanno reso scomodo alla casta perdente dell’oligarchia e a quella dei religiosi conservatori di Atene, minacciati dalle idee esposte nel teatro: l’indagine accurata rivela tali punti.
Eschilo è infatti sempre avversario dichiarato della tirannide, o anche a volte del pensiero dominante dei democratici ad esempio quando ne I Persiani dice che le guerre sono morti e lutti e compiange le vittime a qualunque campo appartengano; o quando nelle Eumenidi Atena invita a non versare sangue dei cittadini. Ma è un nemico soprattutto quando contrasta il potere religioso, casta gelosissima delle sue ampie prerogative e dei suoi sostanziosi privilegi, lodando nelle Eumenidi la giustizia degli uomini dell’Areopago a scapito dell’esercizio della giustizia da parte della casta religiosa; o quando Prometeo preannunzia la fine di Zeus, dopo averlo ingiuriato.
O quando ancora in Niobe attribuisce la maternità di Artemide a Demetra invece che a Latona. Ma quel che è più grave, probabilmente è il disvelamento dei misteri eleusini in una tragedia che non ci è pervenuta: elemento questo di fondamentale importanza perché ha portato alle incriminazioni per empietà.
L’indagine parte doverosamente da Eleusi, città che dista solo 20 km da Atene, dove il poeta è nato nel 525 a.C., e si espande con ritmo irresistibile nello spazio e nel tempo: si sposta immediatamente ad Atene, dove pulsa il cuore della Grecia che organizza la resistenza contro Dario (vittoria di Maratona 490) e vittoria navale contro Serse (480). Eschilo è valoroso combattente di entrambe queste storiche vittorie che sono ricordate nel suo epitaffio, senza menzionare la sua gloria nella tragediografia.
Nel 472 un giovanissimo Pericle finanzia la rappresentazione dei suoi Persiani, la tragedia che regala il primo lauro al poeta. Nonostante la differenza di età nasce un profondo sodalizio tra i due, e Eschilo nella sua opera sarà profondo ammiratore e divulgatore dell’esperienza democratica di Pericle.
A prescindere dall’esito dell’indagine che Parlagreco conduce, il suo scritto si distingue per il modo in cui affronta la tematica della tragedia nell’antica Atene di Pericle, la Atene – ricordiamolo – del massimo splendore politico, egemonico, e di pensiero costituzionale democratico, letterario e filosofico.
Nella maggior parte dei casi le interpretazioni che si sono date, e che si danno tuttora delle letterature classiche sono rivolte allo studio poetico dell’opera, considerando la stessa opera come immersa in una dimensione asettica, intatta, e cristallizzata, cioè in una dimensione completamente avulsa dallo spazio e dal tempo: invece questo libro ci propone e ci offre una prospettiva che non si limita ad esaltare la sublime poesia, il suo indiscusso e grandioso valore poetico, o la melodia dei suoi versi, o ancora la sua eccezionale capacità di approfondire lo studio psicologico dei personaggi.
Salvatore Parlagreco avrebbe potuto benissimo limitarsi a fare onore alla sua terra regalandoci un compendio letterario della poesia e della tragediografia di Eschilo, invece ha ritenuto – in accordo con la sua propria esperienza professionale vissuta dentro la politica attiva – di spingersi audacemente anche e soprattutto, ad esaminare aspetti di fondamentale importanza, come i rapporti dell’arte, della tragedia e del poeta stesso con la realtà sociale e i modi in cui essa non solo influisce sull’arte letteraria, ma ancora sui modi con cui l’arte della tragedia influisce sulla stessa vita sociale: la tragedia affronta i rapporti tra il divino e l’umano o i momenti che fondano la persona nelle sue relazioni con la famiglia, con la società civile, con la polis, con la religione, con la casta dei sacerdoti, con il mito, con le divinità, con lo stato, con la politica estera, e con la politica di guerra; o ancora in generale quando la tragedia si pronunzia in modo coinvolgente e destabilizzante sui valori umani. I testi classici sono determinati da società che hanno vissuto e determinano al tempo stesso la vita e i cambiamenti della stessa società.
Eschilo è temuto: se la politica condiziona il teatro, tuttavia non ha la capacità di competere con il successo popolare del tragediografo e il carisma (sono ancora parole dell’autore) di Eschilo: l’arte non affianca il potere, lo contrasta, lo destruttura lo scompone. Il destruttura la politica, la società, il mito, il rapporto tra uomini e divinità. Eschilo porta sulla scena la disumanità del potere che perciò avversa i poeti, i quali a loro volta sollecitano, velatamente o esplicitamente, un altro pensiero politico e religioso. Eschilo, discendente da un ghenos nobile, fonda il teatro tragico e non resta nella torre eburnea della poesia, ma partecipa intensamente e in modo assolutamente determinante a tutta la vita e l’esperienza della polis di Atene, influenzando pesantemente tutti gli ambiti elencati sopra, cominciando dallo sviluppo democratico della polis.
Ed è proprio per questo che, come dice Parlagreco, la sua opera artistica lo espone pericolosamente in prima linea, trasformandolo in un facile bersaglio dell’avversione politica vetero-oligarchica e religiosa. Quindi risulta chiaro che molti potrebbero aver avuto interesse non solo ad eliminarlo, ammantando la sua fine sotto l’aspetto di una condanna divina, ma anche a far sì che la sua scomparsa fosse un monito divino agli altri artisti: una sorta di strategia della deterrenza.
Il carisma di Eschilo fa paura.
La colpa di Eschilo che non tace sui misteri eleusini e di Prometeo che rubò il fuoco agli dei per farne dono agli umani è suscitata dalla stessa sensibilità. Eschilo porta i culti al popolo, democratizza la religione, Prometeo porta aglio uomini la tecné, cioè la tecnologia (“diedi agli uomini pensiero e coscienza”). La tecnologia ha aiutato l’umanità promuovendo il suo benessere, ma ha portato anche armi letali ed oggi ha realizzato l’intelligenza artificiale: l’oracolo informatico o l’arte di Frankenstein soppianta il cervello umano con gli algoritmi? Interrogativo che in qualche modo Eschilo si era posto.
Eschilo è sempre avversario dichiarato della tirannide, ma non accoglie il pensiero dominante dei democratici sedotti dall’imperialismo: ne I Persiani il poeta ricorda che le guerre sono morti e lutti e compiange le vittime a qualunque campo appartengano. Gli argomenti di palpitante attualità sono tanti nonostante i 25 secoli che c i separano dall’Atene di Eschilo: nelle Supplici è esaltato e glorificato il valore dell’accoglienza per le 50 fanciulle Danaidi che fuggono dall’Egitto per non dovere sposare i mariti che sono stati loro assegnati in obbedienza ad una tradizione, a costo di inimicarsi quella regione. Da Eschilo ci giunge un richiamo alla problematica della migrazione nel Mediterraneo, e al tema parallelo della concessione del diritto di cittadinanza. Allora il riferimento era ai meteci: oggi appare di una attualità sconcertante, soprattutto per quel che riguarda i figli degli immigrati nati in Italia.
Luciano Caporetto