Prendere in mano un classico della letteratura greca per chi non ne è obbligato, come uno studente, o non è un addetto ai lavori come un ‘grecista’, non è mai una scelta facile soprattutto durante un periodo vacanziero come questo in cui potrebbe risultare oltremodo impegnativa a fronte dell’agognata leggerezza festaiola.
Eppure, in quanto ‘classico’, si tratta di un testo che non ha mai smesso di dire quello che c’è da sapere, qualcosa di talmente importante che varrebbe lo sforzo della lettura. Nel caso di Eschilo, drammaturgo greco unanimemente considerato l’iniziatore della tragedia greca nella sua forma più alta, ci viene data una straordinaria opportunità visto che è uscito di recente un libro dal particolare punto di vista, l’inchiesta, fatta da un giornalista originario della città di Gela, come Salvatore Parlagreco(nella foto) il quale, utilizzando le proprie straordinarie capacità narrative non disgiunte dal rigore investigativo, trasforma le fonti in persone vive, crea una forte empatia e rende accessibile un approfondimento complesso come il contesto della vita e, soprattutto, della morte di Eschilo.
Non lasciatevi ingannare dalla copertina del libro: non si tratta della sceneggiatura di un cold case inesplorato. Perlomeno non si tratta soltanto dell'impresa impari d'indagare sulla morte di un personaggio enigmatico come Eschilo, poeta tragico già esploratore di enigmi, ma di un viaggio nel tempo ellenico che rimane indimenticabile.
A Gela Eschilo ha vissuto circa tre anni, gli ultimi della sua vita. Nonostante la monumentale letteratura che lo riguarda e le fonti riferiscano che a Gela il poeta sia morto tragicamente, nulla ne testimonia la presenza: né reperti, né scritti, né altro, malgrado le campagne di scavo condotte sul territorio abbiano fatto emergere copiosi resti della polis greca. E' da questo nulla che Parlagreco inizia il viaggio esploratore che lo porterà a indagare sul possibile, e in qualche passaggio, sull'impossibile di una fine narrata esclusivamente da una leggenda denigratoria e beffarda, una trama ambigua che rende, appunto, enigmatica la scomparsa del poeta. Sull’abbandono di Atene da parte di Eschilo si fanno tante ipotesi; la più attendibile pare sia l’accusa di empietà, esébeias, ed il processo che Eschilo subisce per avere rivelato riti misterici, protetti dal segreto iniziatico.
Celebre è l’aneddoto sulla morte di Eschilo: la storiella narra di come un’aquila, afferrata una tartaruga, l’avesse poi lasciata cadere in volo sulla testa del malcapitato tragediografo che si godeva il sole siciliano sulla spiaggia di Gela, scambiando la sua lucida calvizie come una roccia su cui sfracellare e aprire la corazza del rettile per mangiarne le carni. Questo aneddoto è riportato in letteratura per la prima volta da Valerio Massimo tra il I secolo a. C. e il I secolo d. C. nella sua raccolta di notizie memorabili, Factorum et dictorum rerum memorabilium libri novem:
"Va detto che la morte di Eschilo poeta non fu volontaria, allo stesso modo va raccontata per l’eccezionalità del caso. Mentre era in Sicilia egli uscì dalle mura della città dove abitava e si sedette in un luogo soleggiato. Un’aquila sopra questo portando tra gli artigli una tartaruga, ingannata dal riflesso della testa – infatti era privo di capelli – la sbatté allo stesso modo come se fosse una pietra, per potersi cibare delle carni (della tartaruga) sfracellata: con questo colpo venne ucciso l’origine e il principio della tragedia più vigorosa".
L’aneddoto è ripreso da varie altre fonti successive, in relazione alla biografia del tragediografo. Versioni parziali della fabula ridotte a mere stringhe informative sono anche due voci del lessico Suda αι 357 (II 185 Adler) e χ 191 (IV 797 Adler). Anche l’anonima Vita Aeschyli ai paragrafi 10 e 17 riprende l’episodio.
Ma la notizia di questo comportamento delle aquile è presente anche nella trattatistica di scienze naturali e zoologia ed è così che creandosi un cortocircuito, la storiella entra a far parte delle narrazioni sull’etologia degli uccelli rapaci, arricchendo le considerazioni scientifiche con la preziosità del riferimento erudito. In altre parole, l’assurda storia della morte di Eschilo ‘fa testo’ nell’ambito dell’etologia antica.
Lo stesso Plinio, nella classificazione degli uccelli, riporta l’episodio identificando con un tipo particolare di uccello l’aquila assassina del poeta e invocando l’autorità delle mitiche sacerdotesse di Delfi Fenomoe e Boeto, entrambe figlie di Apollo e ritenute autrici di varie opere sugli uccelli e su miti di metamorfosi uomo-uccello.
La vita di Eschilo è fatta delle poche tragedie e frammenti di commedie satiriche giunte fino a noi; l’altra, che comincia dopo la morte, è un labirinto nel quale è facile smarrirsi e lasciarsi trascinare da credenze e pregiudizi così carichi di sapienza da allontanare dal proposito di sapere che cosa nasconda la leggenda dell’aquila assassina, il mitico killer che avrebbe provocato la sua morte. Sull’abbandono di Atene da parte di Eschilo si fanno tante ipotesi; la più attendibile pare sia l’accusa di empietà, esébeias, ed il processo che subisce per avere rivelato riti misterici, protetti dal segreto iniziatico.
Lo storico-investigatore Parlagreco prende le mosse da una “notitia criminis” e cerca nel labirinto-miniera (come definisce nella post fazione Luciano Vullo l’immensità di di informazioni cui Parlagreco attinge) indizi di varia natura: documenti di prima mano, graffiti, pietre, costumi, credenze religiose, culti misterici e interpretazioni che non risultano comunque sufficienti a fornire una prova certa. Una verità appare però incontestabile, cioè quanto la politica condizioni il teatro ma non al punto da competere con il consenso che il poeta tragico guadagna nel popolo. Il teatro di Eschilo porta sulla scena la disumanità del Potere che, da tempo immemore, avversa i poeti. I quali, come lo stesso Eschilo, sollecitano, talvolta in modo velato talaltra in modo esplicito un nuovo pensiero politico e religioso. Come parrebbe urgente agli uomini del terzo decennio del XXI secolo un uomo di tale levatura, conclude Vullo.
A me viene in mente, meditando sul coltissimo viaggio letterario appena concluso, ciò che con grande lungimiranza scrisse Oscar Wilde in un altro (ma non diverso) Tempo:
“Se hai trovato una risposta a tutte le tue domande, vuol dire che le domande che ti sei posto non erano giuste”.
* “Sono nata nel periodo del ‘sacco di Palermo’, ovvero durante gli anni in cui la città veniva devastata dalla lunga mano mafiosa: questo incontro ravvicinato ha determinato in me un profondo senso di ribellione diventata poi disobbedienza civile. Giornalista ‘non’ iscritta all’Ordine, due corsi di laurea, militanza nel partito radicale, già libraia, revisore di testi e lettrice per vocazione con una smodata attenzione al regno animale e al regno vegetale, idealista e non conforme, sogno ancora l’isola di Utopia”.
(Cettina Vivirito)