Nato a Torino il 17 marzo del '38, con una buona percentuale di sangue siciliano nelle vene (il nonno paterno era di Castelbuono, provincia di Palermo), Gianni Minà – scomparso lunedì scorso a Roma) è stato uno dei più popolari e amati giornalisti sportivi della televisione italiana.
Sicuramente il più apprezzato e stimato all'estero. Ma definire Minà solo giornalista sarebbe limitativo, tenuto conto che egli è stato anche un importante scrittore e un eccezionale documentarista. Non a caso nel 2007 vinse il Premio Kamera della Berlinare alla carriera, il più prestigioso premio al mondo per documentaristi.
Fra l'altro realizzò una Storia del jazz in quattro puntate, e fu uno degli autori di una serie televisiva sulla boxe in 14 puntate, intitolata Facce piene di pugni, che ritengo in assoluto il documentario più completo e importante mai girato sul mondo del pugilato. Altri documentari di successo egli li realizzò sulle figure di Nereo Rocco, Diego Armando Maradona, Michel Platini, Ronaldo, Carlos Monzón, Nino Benvenuti, Edwin Moses, Pietro Mennea.
Tifoso del Torino Football Club, Minà iniziò la carriera giornalistica nel 1959 a Tuttosport, di cui fu poi direttore dal 1996 al 1998. Nel 1960 esordì alla Rai come collaboratore dei servizi sportivi per le Olimpiadi di Roma. E in quella veste seguì otto mondiali di calcio e sette olimpiadi. Egli amò molto la boxe, e fu grande tifoso e amico di Muhammad Ali al quale dedicò pure un documentario dal titolo Muhammad Alì, una storia americana.
Nella sua straordinaria carriera di cronista e giornalista egli intervistò personaggi come Fidel Castro, il comandante Marcos e molti uomini e donne che hanno fatto la storia del nostro tempo. D'altronde nessuno come lui riusciva a sedurre i grandi e portarli davanti al suo microfono. E solo Minà aveva la capacità di mettere intorno ad un tavolo di una trattoria romana, tutti insieme, Sergio Leone, Robert de Niro, Gabriel Garcia Marquez e Muhammad Alì.
Nel 2004 realizzò un progetto basato sui diari giovanili di Ernesto Guevara e del suo amico Alberto Granado. Da quel suo lavoro venne poi tratto un film tratto intitolato I diari della motocicletta diretto da Walter Salles e prodotto da Robert Redford, mentre Minà diresse il lungometraggio In viaggio con Che Guevara, ripercorrendo quella mitica avventura condivisa con Granado. L'opera, vinse il Festival di Montrèal e in Italia il Mnastro d'argento e il premio della critica.
Nel 2017, senza quasi rendermene conto, potei conoscere Gianni Minà a Roma, al Salone delle Autorità dello Stadio Olimpico dove, in occasione del Premio “Giuliano Gemma” ero stato invitato per premiare alcune giovani promesse del cinema italiano. Ritrovarmi quella sera accanto a Gianni Minà, anch'egli fra gli ospiti d'onore della serata, per me fu una fortissima emozione.
Fui subito colpito dal suo garbo e la sua disponibilità. Gi chiesi se davvero, nel 1982, anno in cui egli portò Muhammad Alì a Roma, Giovanni Paolo II rinunciò a tutti i suoi impegni pastorali per ricevere il campionissimo della boxe in Vaticano. Lui mi confermò questo aneddoto aggiungendo che papa Wojtyla ammise che mai aveva perduto di vedere un incontro di Alì, anche se trasmesso a tarda notte. E chissà, ora mi viene da pensare che forse lassù Giovanni Paolo II e Gianni Minà, divertiti, ricordano ancora quell'episodio.