Gino Cervi, nato a Bologna il 3 maggio 1901, da Angela Dall'Alpi e dal giornalista Antonio Cervi, critico teatrale de Il Resto del Carlino, è stato sicuramente uno dei più grandi e versatili attori italiani del Novecento.
Giovane inquieto e passionario, nel 1922, a soli 21 anni prese parte convintamente alla Marcia su Roma, ma la sua simpatia per il Fascismo sarebbe in seguito cambiata, anche perché presto si dedicò al teatro che fu certo la sua più grande passione. Un predestinato, se si pensa, che già nel 1925 ad appena 24 anni Luigi Pirandello lo volle nella sua compagnia “Teatro d' arte di Roma” per essere uno degli interpreti di “Sei Personaggi in cerca d'autore”, accanto a Ruggero Ruggeri e Marta Abba. In seguito fu un eccezionale protagonista dei classici, da Goldoni a Sofocle, da Dostoevskij sino a Shakespeare di cui divenne eccelso interprete, memorabile soprattutto nei panni di Otello. Fra l'altro, doppiò Laurence Olivier nel film “Amleto” girato dal grande attore regista inglese...nel.
Da lì a poco, anche il Cinema si interessò a Cervi, quando Alessandro Blasetti lo volle protagonista di una serie di film storici come “Ettore Fieramosca”(1938), “Un'avventura di Salvator Rosa”(1939) e “La corona di ferro” (1941). Sempre diretto da Blasetti fu nel '42 il protagonista del bellissimo e delicato “Quattro passi fra le nuove”, un vero capolavoro del cinema italiano, precursore del Neorealismo, che andrebbe riscoperto e rivalutato.
Ma se Cervi fu sempre attore stimato e amato per il suo inarrivabile talento, certo il successo più grande e la più vasta popolarità la ottenne nella serie “Don Camillo”, (nella foto Cervi e Fernandel nei panni di Peppone e Don Camillo) tratta dai racconti di Giovanni Guareschi, in cui si confrontò con Fernandel che interpretava un arcigno prete di campagna, parroco nella cittadina di Brescello, in provincia di Reggio Emilia. Egli invece impersonava Giovanni Bottazzi detto “Peppone”, sindaco comunista acerrimo rivale del sacerdote. Una conflittualità che però non impediva ai due personaggi di scoprirsi amici solidali, quando uno dei due si trovava in difficoltà e necessitava dell'aiuto dell'altro.
Fernandel e Cervi interpretarono 5 film della fortunatissima saga, e ne venne cominciato un sesto che però venne interrotto per l'improvvisa morte di Fernandel. A quel punto Cervi, che era divenuto fraterno amico dell'attore francese, si rifiutò di proseguire le riprese.
Egli quindi, abbandonata la maschera di “Peppone”, proseguì la sua fortunata carriera in altri film brillanti della commedia all'italiana, mentre nel 1960 tornò ad un ruolo drammatico nel film di Florestano Vancini ne “La lunga notte del '43”, dove interpretò “Sciagura”, un cinico e violento gerarca fascista che solo nel finale del racconto rivela pure una sfumatura di umanità che solo in parte ne riscatta la tetra figura.
Dal 1964 al 1972, Cervi fu protagonista per la televisione della serie poliziesca “Le inchieste del commissario Maigret”, ispirata ai romanzi dello scrittore Georges Simenon. Al suo fianco Andreina Pagnani, da sempre sua compagna d'arte. L'interpretazione di Cervi fu ancora una volta impeccabile, e il successo straordinario, non a caso quella serie è stata una delle più replicate in tutta la storia della Rai.
Sempre di quegli anni è la pubblicità di un liquore su carosello, che finiva sempre con l'ormai famosa battuta di Cervi che diceva :«Vecchia Romagna etichetta nera, il brandy che crea un'atmosfera». Caroselli che andarono in onda fino a pochi giorni prima della sua morte, mentre altri già girati e programmati, furono sostituiti dall'azienda bolognese per rispetto della dell’attore e della sua famiglia.
Gino Cervi morì nel '74 a seguito di un edema polmonare, quando già da due anni aveva abbandonato le scene. Le sue spoglie riposano a Roma nel Cimitero Flaminio, insieme alla moglie Ninì, e il figlio Tonino, che fu anche regista e produttore cinematografico.