Cosa abbiamo in comune io e Giuseppe Tornatore? Sia io che lui siamo del segno dei Gemelli.
Lui è nato il 27 maggio del 1956, io sono nato il 24 maggio del 1957. Ed è questo essere quasi coetanei, che ci ha portato a vivere da ragazzini gli stessi sogni che il Cinema degli Anni'60 sapeva ancora regalare. Tutto ciò che Tornatore descrive magistralmente in Nuovo Cinema Paradiso, attraverso la figura autobiografica del piccolo Totò Cascio (interpretato da Salvatore de Vita) è il frutto di fatti ed episodi che il regista ha vissuto in prima persona a Bagheria. Gli stessi che ho vissuto io a Gela in quegli stessi anni.
Perché se il proiezionista Alfredo (interpretato da Philippe Noiret) era colui che portava “Peppuccio-Totò” in cabina facendolo innamorare sempre più della Settima Arte, allo stesso modo io che vivevo a piazza san Francesco, mi rifugiavo un giorno sì e l'altro pure al Cinema Mastrosimone, e grazie all'amico di famiglia Pino Lionti (storico proiezionista di quella sala) potevo vedere in cabina tutti i film che volevo.
Ed è proprio in una cabina di proiezione dove si respiravano l'aria e gli odori tipici del cinema (anche la pellicola aveva un suo odore caratteristico) che diveniva facile sognare anche l'impossibile. Ricordo, che il primo film vietato ai minori di anni 14 lo potei vedere proprio grazie a Lionti, e non si pensi a chissà quale pellicola scandalosa. Il film si intitolava Il ritorno di Ringo e protagonista di quello spaghetti western era il mio mito di gioventù, Giuliano Gemma.
Così, quando nel 1988 vidi (e proprio al cinema Mastrosimone!) per la prima volta Nuovo Cinema Paradiso, non potei non avvertire i brividi lungo la schiena, e non essere grato a Tornatore per come aveva saputo raccontare la sua storia che però era un po' anche la mia storia. Non a caso nel 2010, in una tesi di laurea discussa da un giovane aspirante regista, intitolata Quelli di Nuovo Cinema Paradiso, veniva menzionata pure la mia attività cinematografica, sicuramente debitrice nel suo sviluppo, di quella grande stagione che vide primeggiare con i vari De Sica, Fellini, Rossellini, Visconti il nostro cinema nel mondo.
Ecco allora che io e Peppuccio – quest'anno vincitore del David di Donatello per il documentario Ennio dedicato a Morricone, che molto contribuì al successo del suo capolavoro – siamo diventati “cinematografari”, come dicono a Roma, per queste confluenti esperienze che si sono trasformate presto in una “vocazione” (senza questa il “mestieraccio” del cinema non si può fare), e ci hanno poi proiettato in quella dimensione magica che è pensare, scrivere, girare un film.
Certo, Tornatore, grazie ai suoi film di successo (Il camorrista, L'uomo delle stelle, Malena, Il pianista sull'oceano, Baaria, La migliore offerta, etc.) è oggi famoso in tutto il mondo e gli americani forse lo adorano più degli stessi italiani. La mia carriera invece è stata meno eclatante. Ma anche se io non ho vinto l'Oscar come il mio più famoso collega, comunque mi ritengo ugualmente un privilegiato non solo perché sono riuscito a fare da grande il lavoro che volevo fare da ragazzino, ma anche perché – a Dio piacendo – l'anno venturo saranno 40 anni nel cinema, e non mi si dica che questo non è un bel traguardo.