Quando ho appreso della tragica scomparsa di Rocco Vacca (nella foto), mi trovavo sul treno che mi conduceva a Roma.
Un viaggio nella capitale che di fatto mi ha poi impedito di assistere alle esequie del poeta. Ma se questo mi è molto dispiaciuto, la cosa che mi ha confortato è che il caso – o un disegno imperscrutabile di una regia che non conosciamo - abbia voluto che vedessi Rocco l'ultima volta il venerdì che ha preceduto la sua scomparsa. Un incontro fugace ma pregno di quella bella amicizia che ci ha legati per decenni.
L'ho visto sofferente Rocco, che già da un po' faceva la dialisi, ma sempre gentile e impeccabile nella sua ricercata eleganza. Notai che aveva sulla camicia una bella cravatta rossa. Mi disse : “Ti seguo sempre”. Nel salutarlo gli dissi espressamente: “Rocco ti voglio bene” Oggi sono contento di averglielo detto e ringrazio il cielo per avermi dato questa ultima possibilità di vederlo in vita. Se fossi passato un minuto prima o un minuto dopo da quella strada di fronte piazza San Giacomo, Rocco non l'avrei mai più incontrato.
Nato a Gela nel gennaio del 1945, l'anno in cui il mondo si lasciava alle spalle la Seconda Guerra Mondiale e tornava a respirare pace e libertà, Rocco è venuto al mondo con la vocazione della poesia. Che egli poi, a parte i lunghi anni di lavoro allo stabilimento petrolchimico, sia stato pure un uomo pieno di interessi e impegnato nel sociale, bene lo testimonia la sua attività sindacale che lo vide dirigente sindacale della Cisl e anche a capo del sindacato degli inquilini, sempre pronto a risolvere i problemi delle famiglie e delle singole persone.
Ma dicevamo che la sua vocazione è stata la poesia. Una vocazione non sterile, ma sostenuta da una grande sensibilità poetica e da un singolare talento nello scrivere versi. Il tutto supportato da una indubbia profonda conoscenza delle tradizioni popolari, intrisa da una intima convinta religiosità, e non disgiunta da una cultura importante, che la sua naturale modestia spesso celava. Vacca scriveva in vernacolo, ma neppure questo è stato per lui un limite, perché la sua bravura portava i lettori ad una comprensione immediata dei suoi versi, che certo erano ispirati dalla sua terra, ma che in realtà erano universali, come d'altronde è universale ogni autore che sa parlare al cuore degli uomini.
Innumerevoli le sue pubblicazioni che lo videro autore prolifico nella quantità e nella qualità. Citiamo fra le altre: “Cristu unna si” (1976) che fu la sua prima raccolta di liriche, e poi “E penzu a lu dumani” (1979), “Sonnu ccu l'occhi aperti” (1982), “Linzola stinnuti” (1984), “Scrusciu d'amuri “(1986), “Rina di mari” (1989), “Occhi senza velu” (1992), “Cosi di Gela” (1995), “Un pugnu di stiddi” (1996), “Vulari senz'ali” (2001), “Croce ,via della speranza” (2006), “Cca nasciu” (2009) “Poesie salesiane”(2014).
Fra le sue ultime opere “Amuri chi duna fruttu” (2017) dedicato al Convitto Pignatelli, sede dell'Opera Pia “Principessa Pignatelli” di cui egli è stato direttore sino alla scomparsa. E poi, di grande interesse etmologico, il suo “Sillabbariu”, vocabolario storico-culturale gelese italiano, scritto a quattro mani con Orazio Emanuele Fausciana, e pubblicato nel 2014 da Edizioni Solidarietà. Forse l' opera “testamento” del poeta che con questo volume, comprendente oltre 3.000 vocaboli della “lingua gelese”, diede conferma del suo infinito amore per la città che gli aveva dato i natali. Fui felice di avere contribuito personalmente alla stampa di quel volume con un piccolo sostegno economico che commosse Rocco.
Altrettanto felice e onorato di avergli potuto conferire nel 2020, a lui che tanti importanti riconoscimenti aveva ricevuto, il Premio “Laudato sì mi Signore” presso la Casa Francescana S. Antonio di Padova.
Il 31 dicembre 2021 Rocco mi scrisse gli auguri per un buon 2022 con questi versi “ Mi fazzu l'auguriu pi cangiari e comu l'annu divintari novu; se così boni sopra i mia nun trovu, vaiu di cui avi cori e mi po' dari...Mi fazzu st'auguriu tutti l' uri di dare sempri e sulamenti amuri”.
Certo, egli non poteva ancora sapere che questo terribile 2022 sarebbe stato per lui anche il suo ultimo anno. Ma rimane la sua grande eredità di appassionato cantore della nostra Gela, di un colto e gentile “menestrello” che come pochi ha saputo raccontare i vizi e le virtù della nostra gente, a volte con rabbia e indignazione, altre volte con graffiante ironia, a volte pure con benevola indulgenza. Sempre comunque con garbo ed estrema raffinatezza.