Giovanni Altamore, educatore e filosofo

Giovanni Altamore, educatore e filosofo

La memoria di Giovanni Altamore (nella foto) – docente, preside, filosofo, scrittore, uomo politico – non è stata cancellata.

Ed è un miracolo in una città, Gela, che non ha mai espiato grave i peccati, numerosi, di omissione. E’ stato istituito un premio per neolaureati a suo nome, ed è stata intitolata una strada. Ma c’era bisogno di qualcos’altro, seguire il suo esempio. E questo non è avvenuta.

Conclusa la seconda legislatura nel Parlamento siciliano, è tornato alla scuola, per la quale era nato. Una scelta che la politica compie assai raramente. Giovanni Altamore, tuttavia, è sfuggito all’oblio grazie ai figli. Sono loro che hanno realizzato, con i files trovati nel computer del padre dopo la scomparsa (2004), l’opera postuma – “Hybris e follia” – forse quella di maggior merito. 

Giovanni Altamore è stato deputato dieci anni. La politica l’ha, inevitabilmente, distratto dagli studi e dalla scuola, ma non al punto da dismettere i panni dell’educatore. Perché questa è stata, a prescindere dal contesto, la sua vocazione vera, sia nel campo professionale, politico, sia da uomo delle istituzioni. Qualunque fosse il suo compito, fu soprattutto un uomo di cultura, un intellettuale e un uomo di scuola.

Era nato e vissuto per la scuola. Ed è grazie a questa vocazione e disposizione d’animo che si è guadagnato una stima unanime, non solo nella sua città. L’altra virtù è stata il tratto umano, sensibile, disposto all’ascolto degli altri. La normalità, come sigillo del suo stare al mondo.

Capita raramente, invero, che si posseggano le stimmate della normalità, pur avendo molte buone ragioni per non sentirsele addosso, quando avviene, significa che l’individuo è riuscito a restare se stesso. Una specie di miracolo.

Temo che le lacune della memoria, impoveriscano il ricordo dell’uomo, farò di tutto per evitarlo, dedicando spazio ai pensieri e alle opere di Giovanni.  Lo scopo che mi sono posto, è di restituire la storia di un uomo dabbene e di un maestro a Gela ed alla Sicilia. Giovanni ha insegnato storia e filosofia al Liceo Classico Eschilo, è stato preside del Liceo scientifico, ed ha scritto opere di grande pregio, a cominciare da quelle dedicate alla sua città, Gela.

Ha ricostruito la storia meno conosciuta della città, quella legata a Federico II, tra l’altro. Le pubblicazioni dotte dedicate al periodo greco di Gela riempiono gli scaffali, ma quelle dedicate alla città di Terranova sono rare e, generalmente, frutto di improvvide motivazioni. Giovanni Altamore ha colmato, quindi, una lacuna. 

Gli interessi culturali di Giovanni Altamore, tuttavia, hanno varcato i confini di Gela. La sua preoccupazione prevalente, in ognuno degli scritti, sia quelli finiti nelle librerie, che gli altri, destinati all’attività parlamentare, è stata quella di stanare dalle nicchie culturali e dalla pigrizia e l’immobilismo, i lettori e i suoi occasionali interlocutori. Cattedra o scanno parlamentare, ha combattuto la forza inerziale delle abitudini, l’astinenza creativa suscitata dalle frustrazioni, l’impotenza rassegnata, l’atteggiamento aristocratico del genius loci. 

Nelle sue speculazioni, da filosofo, ha riflettuto sulla duplicazione del mondo, la scissione fra il mondo abitato dall’uomo e il mondo abitato dall’anima, la scissione fra anima e corpo. Si è confrontato su questo sentiero impervio con il nichilismo valoriale, che, a suo avviso, ha eroso i fondamenti del contratto fra Stato e cittadini e fatto scivolare in basso la giustizia, a garanzia dell’eguaglianza.

Si è chiesto che senso avesse ancora chiamare Stato quella pluralità di apparati, funzioni e istituzioni, che concorrono a formare decisioni, o non siamo piuttosto difronte ad un processo inarrestabile di estinzione del concetto stesso di Stato, come siamo abituati a conoscerlo sin dall’alba dell’Europa. Un interrogativo cruciale per la cultura e tragico per la politica. 

Le multinazionali finanziarie, le istituzioni sovranazionali, le istituzioni decentratici, le burocrazie, le autorità amministrative, le autonomie locali, ognuna con le proprie motivazioni, hanno ristretto il campo degli interventi, funzioni e competenze reali dello Stato.

In più, il rapporto fra individuo e società e Stato, inteso come percorso di progressiva emersione dell’individuo e della sua affermazione, ha lasciato emergere una tendenza egemonica dell’individuo a scapito delle libertà collettive (e i fatti di questi mesi segnalano un’anticipazione profetica).

Altamore confessa senza falsi pudori né infingimenti, un sentimento di delusione profonda del marxismo, incapace di superare, tra l’altro, il vecchio conflitto fra stato liberale da una parte e violenza autoritaria e giacobina dall’altra. 

Si sono inoltre incuneati, avverte Altamore, in un terreno pieno di trappole, alcuni principi, che egli chiama “meccanismo fisico” e “matematizzazione della natura”, e il trionfo, a vele spiegate, della tecnica e della scienza moderna e contemporanea, il dominio della razionalità tecnologica. 

La crisi della cultura occidentale, riflette Altamore, è figlia di ritardi gravi della cultura politica: la comparazione multietnica, lo svuotamento di significato di categorie storiche come democrazia e libertà ne sono una testimonianza. L’umanità, riflette ancora, ha certo concluso il suo lungo percorso storico iniziato con i greci, ma deve affrontare ancora il futuro della ricerca di un nuovo ordinamento mondiale. 

Le conclusioni apocalittiche di Hybris e Follia, di Altamore, mutuate in gran parte dal marxismo deluso, esprimono senza equivoci il distacco culturale dell’autore, dalla posizione filosofica-politica della sinistra ortodossa e originaria, sulla visione del futuro dell’Occidente, rispetto ai compiti nuovi cui è chiamato. 

Quanto alla Sicilia, Altamore si augura, con una felice espressione, che divenga finalmente metafora di qualcos’altro, piuttosto che dei consueti stereotipi. Pressante il suo appello affinché, proprio in Sicilia, “siano recuperati i valori borghesi dei diritti dell’uomo e del cittadino.

Diritti che in Sicilia sono stati sempre calpestati da una organizzazione della vita politica e sociale, ispirata al clientelismo più sfacciato anche se ammantato di solidarietà e di partecipazione affettiva.”

L’eredità di Giovanni Altamore non è costituita solo dai suoi testi. C’è dell’altro, e non va dimenticato; riguarda Altamore-uomo, la dirittura morale e civile, il senso del dovere e della responsabilità. E’ stato un privilegio averlo conosciuto e essere annoverato fra i suoi amici.

Ho avuto il piacere, e l’onore, di presentare il suo libro dedicato alla storia medievale di Gela, su suo espresso invito. Giudico questo invito un premio, non so quanto meritato. A Palermo, nella sede dell’Assemblea regionale siciliana, ho avuto la possibilità di seguire, per quanto possibile, la sua attività parlamentare.

Ha svolto il suo lavoro con grande dignità, era una mosca bianca. In quel campo minato occorreva un addestramento ad hoc, piuttosto che la buona educazione, la speculazione filosofica e la promozione dei grandi temi dell’umanità, a qualunque livello.

Ma niente si perde del tutto. Anche lì esistono gli sminatori. Bisogna cercarli con la lanterna, ma ci sono. Se domandate di Giovanni Altamore ad uno di loro, ne sono certo, scoprirete che sa quasi tutto di lui.