Goal e capitali, il libreria il volume di Alessandro F. Giudice

Goal e capitali, il libreria il volume di Alessandro F. Giudice

Si dice spesso che nel calcio giri troppo danaro e che non è più un gioco, ma un business che con i suoi interessi (economico-finanziari) ha compromesso la spontaneità e, quindi, la bellezza del gesto sportivo. Si dice pure che le cifre attorno certi ingaggi dei calciatori sono financo immorali, tanto sono eccessive. Che le società spendono troppo per sostenerne i costi. Ci sono poi gli avidi procuratori, da tanti additano come la vera rovina del calcio. Insomma, si disprezza quello stesso business che si alimenta con l’abbonamento alla pay tv, se non ancora allo stadio per le partite casalinghe, l’acquisto delle ultime divise ufficiali o dei più disparati gadgets della propria squadra del cuore, nella disciplina sportiva più amata nel mondo. 

È quanto si legge nell’incipit dell’introduzione al libro “La Finanza del goal, come si crea valore nel calcio” (McGraw-Hill, 2020) del gelese Alessandro Giudice. Un’introduzione che cattura già l’attenzione del lettore, dopo la curiosità solleticata dalla prefazione a cura del prof. Maurizio Dallocchio, docente di Corporate Finance all’Università Bocconi: «l’idea di trasferire nel mondo del calcio – scrive il prof. Dallocchio – i principi più radicati (e raffinati) della finanza e più in generale dell’ordinata gestione aziendale, mi è piaciuta e mi ha subito conquistato». 

Il volume, il primo del genere in campo editoriale, si sviluppa lungo 15 capitoli nei quali oltre ai modelli applicati, non mancano i “case studies”: quello dell’Arsenal ad esempio, come quello della Juve con l’investimento nello stadio di proprietà e l’affare Ronaldo, il “turnaround” del Borussia Dortmund, il riposizionamento strategico del Lione, la Roma che “vale” più della Lazio, la perdita di valore di Milan e Inter, il fair play finanziario, il post-covid. 

Diversi gli snodi cruciali, gli argomenti, i parallelismi, i punti di domanda, le ipotesi interpretative: come si ottiene il valore finanziario di una squadra; come capire la strategia dei club senza essere esperti di finanza; perché capita di non vincere pur tenendo i migliori in squadra; con Ronaldo la Juve ci sta perdendo o guadagnando; come si misura il valore finanziario dello Juventus stadium; come Milan e Inter possono rientrare nella top ten internazionale; come nel calcio si guadagna di più perdendo soldi (il caso Manchester City) che guadagnando soldi (il caso Arsenal); il fairplay aiuta o danneggia il calcio; perché i follower determinano il futuro del tuo club; quanto vale per il club il tuo profilo Fb/Istagram.

Volendo, per fare un esempio, provare ad approfondire uno di questi temi, non potendolo fare per tutti a causa di evidenti problemi di spazio, non possiamo esimerci dall’affrontare l’argomento di estrema attualità: vale a dire il covid-19. Senza avventurarsi in acrobatiche argomentazioni e rischiare salti nel vuoto, Giudice non esclude diversi sbocchi nel post-covid, a causa della totale incertezza che si è aperta nello scenario. Ciò che ci convince è l’assunto da cui parte il manager gelese, cioè che il calcio ha vissuto negli ultimi anni un periodo di costante crescita: nei fatturati, negli sponsor, negli ingaggi. Tutte queste componenti sono nel tempo costantemente aumentate. All’improvviso, un evento imprevisto ed imprevedibile, non endogeno (interno) ma esogeno (esterno) al sistema, interrompe tale crescita e provoca perdita di fatturato, per tutti. Inevitabile il clima di incertezza che ne deriva. 

Così come ci trova d’accordo, del resto, l’analisi del calcio pre-covid, con tre fasi: pre-televisiva, televisiva, digitale. Nella fase pre-televisiva, il marketing era rappresentato dal costo del biglietto, dagli sponsor nella cartellonistica o negli annunci dello speaker: era tutto incentrato sullo stadio e la tv anzi era vista come una nemica che poteva distrarre ed indurre i tifosi a disertare gli spalti. Ad essa è subentrata poi la fase televisiva con relativo marketing, unidirezionale. Il calcio inglese fa la sua fortuna con i club che lasciano la federazione e creano la premier league, dividendone gli esorbitanti introiti e anticipando tutti gli altri.

In Italia non a caso a dominare è il Milan di Berlusconi, che ha fatto la televisione commerciale e che più di tutti ha capito l’importanza del mezzo televisivo e della pubblicità televisiva in tutti i campi, anche quelli di calcio chiaramente. Infine, con la globalizzazione è arrivata la rivoluzione digitale anche nel calcio, con un marketing che diventa pluridirezionale ed una platea che si allarga.  Dal tifoso passivo con pop-corn e birra davanti la tv, si passa al tifoso che ovunque si trovi, con l’app nel suo telefonino riceve ed inoltra informazioni, condividendole nel suo blog o nella pagina social. Un tifoso che dall’altra parte del mondo, nella fase pretelevisiva aveva un valore pari a zero per il club e che oggi, tracciandolo nel digitale e raccogliendone le informazioni in un database, lo rivendi a partner e sponsor. 

Ma chi è Alessandro Giudice. Manager e consulente aziendale, nasce nel 1969 e consegue la maturità scientifica all’Elio Vittorini. Dopo la laurea in economia aziendale all’Università Bocconi, ha conseguito alla SDA Bocconi il Global Executive MBA, con moduli in UCLA, Fudan University (Shanghai), Copenhagen Business School e Fundação Instituto de Administração (São Paulo). Ha quindi conseguito il Master in Finance alla London Business School. Dopo 15 anni di investment banking tra Londra (HSBC, Morgan Stanley, Chase Manhattan Bank), Lussemburgo (IMI) e Italia (MPS Capital Services) ha ricoperto incarichi direttivi in aziende di vari settori. Commercialista e revisore dei conti, Chartered Accountant (ACA) in UK, ha pubblicato per Franco Angeli “Il volo dei calabroni. Come le PMI italiane vincono la legge di gravità” (2011) e per ETAS “Operare con gli Eurobonds” (1993).

È oggi CFO di una startup aerospaziale e partner della società di fractional e interim management YourCFO. Autore di numerosi articoli e pubblicazioni in riviste di management e finanza (L’Impresa, La Repubblica-Affari e Finanza), insegna Finanza Straordinaria al Master in Business Finance di John Cabot University, Business Strategy alla Florence University of the Arts-American University of Florence. È sommelier professionista e ha corso due maratone. Parla fluentemente quattro lingue. 

NOTA DELL’AUTORE

«La finanza non gode di buona stampa. Viene spesso identificata con diaboliche manipolazioni finalizzate a ottenere rapidi guadagni da speculazioni di breve periodo, spostando capitali e sfruttando oscillazioni – talvolta irrazionali – dei mercati. Le crisi, causate in passato da rischi eccessivi scaricati sui risparmiatori per favorire l’avidità di pochi, hanno certamente giovato poco all’immagine della disciplina. Troppe volte simili fenomeni ne hanno fatto perdere di vista l’utilità.

La finanza d’impresa è un’altra cosa. Dimostrando che il valore non si crea modificando la struttura di capitale dell’azienda, la teoria contemporanea ha riportato al centro del dibattito temi molto concreti: l’ottimizzazione della produzione, i metodi di gestione del business, le qualità manageriali, le risorse, la strategia, la ricerca del vantaggio competitivo. Solo con questi ingredienti “umani” il valore può essere costruito. Le tecniche finanziarie servono poi a individuarlo, misurarlo, analizzarlo e la valutazione dell’azienda diviene il momento in cui l’intero processo viene sublimato in una tecnica che serve a scambiare sul mercato il valore creato dal management. La finanza aziendale che indaga il valore intrinseco (o fondamentale) incorporato in un business utilizza metodologie solide, non variabili psicologiche né volatili.

Tuttavia, i professionisti della finanza amano scambiarsi un gergo da iniziati che può intimidire e allontana chi non padroneggia certi concetti. Consapevole che un lessico troppo oscuro finisca per erigere barriere verso il pubblico potenziale di libri come questo, mi sono quindi sforzato di ridurre le distanze per stimolare la curiosità anche di chi non padroneggia specifiche nozioni finanziarie. Sperando di riuscirci, ma talvolta provando anche ad alleggerire la trattazione con qualche riferimento concreto ai temi del calcio giocato.

Questo è un libro per tutti. O almeno, per tutti coloro che abbiano interesse ad approfondire la dimensione del football come luogo di valore economico. Che vogliano comprendere alcuni meccanismi logici alla base di precise scelte gestionali dei club. Diversi passaggi rendono però inevitabile la conoscenza di una terminologia tecnica e – per quanto si voglia semplificare temi complessi – l’esposizione non può rinunciare a un lessico che presuppone qualche studio della materia. Diversamente si finirebbe per banalizzarla, scontentando quanti cerchino, in un lavoro come questo, contenuti stimolanti e qualche analisi rigorosa. Se, tuttavia, al lettore meno impostato risulterà indigesta qualche formula o qualche passaggio dell’analisi, basterà saltare e passare alle conclusioni “qualitative” proposte in ogni capitolo.

Il libro è concepito dunque in maniera “modulare”. Si può leggere ogni singola parte come un discorso a sé stante, con l’obiettivo di veicolare un messaggio autonomo rispetto al contesto. Anche nello stesso capitolo (e anche in quelli più “quantitativi”) si trovano paragrafi discorsivi e concettuali che tentano di spiegare, anche senza formule, i fenomeni finanziari sottostanti. Il lettore più attrezzato potrebbe trovare alcune definizioni ripetute più volte, cosicché anche coloro che scelgano una modalità di lettura “a blocchi” potranno comprenderne il senso, non rinunciando al supporto delle definizioni».