Nel 1980, ricordo si era in autunno, accompagnai una mia giovane amica attrice al Teatro Brancaccio dove Gigi Proietti (nella foto) stava facendo delle audizioni in preparazione di un nuovo spettacolo.
Ne approfittai per allungare al popolare artista un mio testo teatrale che si chiamava Morte di un guitto. Penso che l’attore non lesse mai quel copione. Tuttavia non ho più dimenticato i suoi occhi mobili ed irridenti, la sua trascinante simpatia, la sa “gajarda” (si direbbe a Roma ) stretta di mano, e infine quel “in bocca al lupo” con il quale accompagnò il suo saluto.
L’avere appreso lunedì scorso 2 novembre, festa dei defunti, della sua morte, e proprio nel giorno in cui egli avrebbe dovuto festeggiare 80 anni, mi ha immediatamente riportato a quel lontano ricordo della giovinezza, ma a considerare pure cosa Proietti ha rappresentato per lo Spettacolo italiano. Con la sua dipartita è venuto a mancare un gigante assoluto della scena e un fine intellettuale, a prescindere da coloro che con sufficienza non ne avevano mai considerato anche questo aspetto. Non vi è dubbio infatti che il suo essere stato – come egli stesso amava definirsi – un attore popolare, anti-divo, spesso “dissacrante”, non lo accreditò mai presso il mondo ufficiale della cultura come un intellettuale. Gli ha però reso giustizia il Presidente della Repubblica Mattarella, riconoscendone invece, non solo il grande talento artistico, ma anche il suo essere una persona colta, di lucida capacità critica e di alta tensione morale.
Nato a Roma il 2 novembre 1940, sposato con la signora Sagitta Alter e padre di Susanna e Carlotta, Proietti iniziò la sua carriera come musicista. Innamorato in particolare della musica jazz, già da ragazzo imparò a suonare la chitarra, il pianoforte, il contrabbasso e la fisarmonica. Ed è con questo “nutrito bagaglio tecnico” e la sua inconfondibile voce che già alla fine degli Anni ‘50 egli cantava nei night-club per mantenersi all’Università (studiò Giurisprudenza ma non si laureò mai). Poi venne preso dalla passione per il Teatro e apprese i rudimenti del mestiere con maestri della recitazione del calibro di Arnoldo Foà, Giancarlo Sbragia e Giulietta Masina. Impossibile parlare della sua lunghissima attività che lo ha visto impegnato per 60 anni sulle tavole del palcoscenico, o davanti alla macchina da presa, o negli studi televisivi, e persino alla radio.
Certo, è d’obbligo citare la sua più grande performance teatrale che fu A me gli occhi, please, messa in scena nel 1976 e tante volte replicata, sempre con un successo immenso. Io stesso potei vederne l’ultima replica, nel 2000, in uno stadio olimpico esaurito in ogni ordine di posto. Ma il 1976 segnò per l’artista anche un grande successo cinematografico, quando girò Febbre da cavallo di Steno, dove interpretò l’ormai mitico personaggio di Mandrake. Il film ebbe poi nel 2002 un remake – Febbre da cavallo, la mandrakata – girato da Carlo Vanzina, figlio di Steno, che portò Proietti a vincere un Nastro d’argento come migliore interprete protagonista. C’è da dire però che l’attore romano, pur avendo girato una cinquantina di film, ed essere stato chiamato anche da grandi registi stranieri come Lumet, Tavernier, Altman, al cinema non ottenne mai una vera consacrazione, diversamente dalla televisione dove lavorò tantissimo come conduttore, show man, intrattenitore, e naturalmente da attore.
Molte le fiction di cui fu protagonista, ma tutti ricordano in particolare la serie Il maresciallo Rocca, girato nel 1996 da Giorgio Capitani, e riproposto anche in successive serie, l’ultima delle quali andò in onda nel 2008. Certo, quel personaggio di carabiniere coraggioso, integerrimo, ma anche molto umano, rinverdì ancor più la sua popolarità. Nel 2010 Proietti interpretò pure la splendida figura di Filippo Neri, il santo romano per eccellenza, nella miniserie della Lux Vide Preferisco il Paradiso. Ma egli ci ha lasciato anche “brani” e “canzonette” molto popolari. Vorrei qui ricordare la ballata de “La Baronessa di Carini”, colonna sonora dell’omonimo sceneggiato televisivo, o il disco “Me so magnato er fegato”, feroce e divertente satira su un ménage matrimoniale fallito.
Artista generoso, aperto nel volere rivelare ai giovani i segreti del suo inarrivabile mestiere, egli nel 1978 creò presso il Teatro Brancaccio il Laboratorio di Arti sceniche, palestra di molti attori di talento come Flavio Insinna, Chiara Noschese, Giorgio Tirabassi, Enrico Brignano e Massimo Wertmüller, solo per citarne alcuni. Agli inizi degli anni Novanta però il Brancaccio – che Carlo Verdone ha proposto di dedicare a sua memoria – fu per Gigi motivo di sofferenza, quando la direzione artistica passò a Maurizio Costanzo. Ma la risposta di Proietti non si fece attendere ed egli nel 2003 costituì Il teatro scespiriano Silvano Toti Globe Theatre, di cui è stato direttore artistico sino alla morte. In queste vesti diresse nel 2017 un epico Romeo e Giulietta, e sempre in quell’anno recitò l’"Edmund Kean" di Raymund Fitzsimons, rievocante la vita e i successi dell'omonimo attore inglese, personaggio che era già stato uno dei cavalli di battaglia di Vittorio Gassman.
Nel 2003, alla morte di Alberto Sordi, Proietti venne chiamato a recitare l’elogio funebre dell’Alberatone nazionale, l’ altro grandissimo attore romano con il quale condivise in egual misura l’affetto di una intera città.
Attore funambolico e trasformista, paragonato al “magico” Leopoldo Fregoli che egli interpretò nel 1981 in televisione, ma ritenuto anche l’erede del geniale e sardonico Ettore Petrolini, l’artista grazie a questa sua singolare versatilità (egli doppiò pure autentici miti del cinema come Robert De Niro, Sylvester Stallone (in Rocky), Charlton Heston, Dustin Hoffman, Richard Burton, Marlon Brando, Paul Newman, etc.) è divenuto una figura unica nella storia del Teatro e dello Spettacolo italiano più in generale; un attore che oggi è d’obbligo accomunare ad altri immensi interpreti della scena quali furono Totò, Vittorio Gassman, Carmelo Bene, Eduardo De Filippo, Dario Fo, tanto da potere essere considerato a pieno titolo l’ultima grande maschera della Commedia dell’Arte.
E in quanto tale Proietti non lascia eredi. Il fatto poi che egli se ne sia andato nel giorno del suo ottantesimo compleanno, quasi a volersi fare un regalo che lo affrancasse dal dolore e da un mondo in cui probabilmente non si riconosceva più, va forse interpretato come il desiderio di congedarsi con un’ultima goliardata; di “defungere” – per fare il verso a Petrolini di cui Gigi fu “clone perfetto” – con quella leggerezza che è stata poi la caratteristica vincente di tutta la sua esistenza.