Nella mia ultratrentennale carriera ho avuto la fortuna e il privilegio di conoscere alcuni fra i più grandi personaggi del cinema italiano, da Federico Fellini a Nanni Loy, da Pupi Avati a Franco Zeffirelli, da Vittorio Gassman a Peppino De Filippo, da Cesare Zavattini a Suso Cecchi S’Amico, da Giancarlo Giannini a Giuliano Gemma.
Ho il rimpianto però di non avere mai incontrato Alberto Sordi (nella foto con Monica Vitti). Le nostre vie non si sono mai incrociate, neppure per una stretta di mano.
In compenso, nelle mie tante visite fatte a casa del prof. Mario Verdone, mio carissimo amico e papà di Carlo, appresi come proprio quella casa sul Lungotevere fosse stata a lungo frequentata dall’Albertone nazionale. Infatti, soprattutto il sabato, alcuni “big” del cinema si riunivano lì per giocare, divertirsi, fare teatro in un piccolo palcoscenico improvvisato. Così, oltre a Sordi, in quel magico appartamentino si ritrovavano spesso Vittorio De Sica, Federico Fellini, Mario Monicelli, Ennio Flaiano. Qualche volta anche Gassman.
E fu proprio a causa di quelle estemporanee esibizioni – racconta Carlo Verdone – che egli si innamorò del cinema e dell’arte del recitare, spiando dal buco di un vetro rotto ciò che accadeva nel salotto di casa. In particolare Carletto venne colpito dal vulcanico Alberto Sordi, di cui da adulto sarebbe divenuto un ideale “continuatore” nel raccontare costumi, vizi e virtù degli italiani. Sebbene, possiamo ben dirlo, Sordi come Totò, entrambi artisti unici ed universali, non potranno mai avere eredi degni di questo nome.
Romano di Trastevere, che non è dettaglio trascurabile, Alberto Sordi, nato il 15 giugno del 1920, è stata quindi una stella di prima grandezza dello spettacolo italiano, dato che egli si è cimentato con successo nel varietà, nella canzone, nel ballo e persino alla radio, dove divenne famoso per il personaggio di “Mario Pio”. Grazie alla sua straordinaria voce fu anche il doppiatore italiano del grande comico Oliver Hardy, dopo avere vinto nel ’37 un concorso bandito dalla Metro Goldwyn Mayer. Ma l’attore romano prestò la voce pure ad altre star del cinema americano come Anthony Quinn e Robert Mitchum. La vera fama Sordi la deve però al cinema, che gli diede successo, guadagni e imperitura celebrità.
Il suo esordio sullo schermo avvenne nel 1937 come comparsa (faceva il soldato romano) nel mitico “Scipione l’africano” di Carmine Gallone. Ma dovette girare almeno 20 film prima di interpretare la sua prima pellicola da protagonista che aveva per titolo Mamma mia che impressione (1951) di Roberto Bavarese. Da lì a poco avrebbe girato Lo sceicco bianco (1952) di Fellini che, nonostante l’insuccesso commerciale, diede una notevole spinta alla sua carriera, grazie soprattutto a 2 film di Steno: Un giorno in pretura (1953) e Un americano a Roma (1954) dove Sordi sviluppò mirabilmente la figura di Ferdinando “Nando” Mericoni, un giovane, nullafacente, innamorato dall’America. E fu tale il successo derivatogli da quel personaggio da varcare i confini e giungere sino negli Stati Uniti d’America, dove nel 1955 l’ attore venne invitato dalle autorità di Kansas City, e nominato cittadino onorario e governatore onorario dell' American Royal alla presenza del presidente Eisenhower..
Successivamente Sordi iniziò importanti collaborazioni con i più grandi registi italiani del tempo. Ora qui sarebbe impossibile fare una disamina critica o anche una semplice elencazione dei quasi 200 film da lui girati (un record!). Ma certo è che nella sua sterminata filmografia Sordi ha dimostrato di essere non solo un grandissimo comico, ma anche maschera drammatica quanto il copione lo richiedeva”. Basti pensare a La grande guerra (1959) di Mario Monicelli, Tutti a casa (1960) di Luigi Comencini, Una vita difficile (1961) di Luigi Zampa, Detenuto in attesa di giudizio (1971) di Nanni Loy, sino ad arrivare a Un borghese piccolo piccolo (1977) di Monicelli.
Abbiamo poi il Sordi della Commedia all’Italiana, il Sordi che dagli Anni ’50 agli Anni ’90 ci ha raccontato “come sono fatti gli italiani e come si sono evoluti (o involuti) dal dopoguerra ad oggi. Ricordiamo così: Il vigile (1960) di Luigi Zampa, Il boom (1963) di Vittorio De Sica, I complessi (1965), film ad episodi dove interpretava in maniera straordinaria Guglielmo il dentone diretto da Luigi Filippo d’Amico; e poi ancora Il medico della mutua (1968) di Luigi Zampa, Il malato immaginario (1979) e L’avaro (1990), entrambi tratti dalle commedie di Jean Baptiste Molìère, e girati sotto la direzione di Tonino Cervi. Ma c’è ancora da raccontare un altro capitolo del grande cinema di Sordi che fu il suo impegno nella regia.
Egli esordì dietro la macchina da presa nel 1966 con Fumo di Londra, che portò al successo anche un brano orecchiabile “Breve incontro” composto dallo stesso Sordi e cantato divinamente da Mina; una canzone che ogni qualvolta la si ascolta fa venire i brividi. E fra i tanti altri film diretti dal nostro attore-regista sono certo da ricordare Polvere di stelle (1973) girato con la sua partner cinematografica preferita, la grande ed insuperata Monica Vitti. Ed ancora Il Marchese del Grillo (1981), In viaggio con papà (1982) dove volle accanto Carlo Verdone nel ruolo di un figlio imbranato da svezzare. E poi ancora Il tassinaro (1983) dove l’Albertone nazionale riuscì in maniera geniale a fare recitare uno dei grandi protagonisti storici della politica italiana, l’on. Giulio Andreotti, che facendo spiritosamente il verso a se stesso, insieme all’attore-regista diede vita ad un inedito e formidabile siparietto.
L’ultima apparizione di Sordi sul grande schermo come attore e regista è del 1998. La pellicola si intitolava Incontri proibiti, un film decisamente brutto, che però non fa testo rispetto ad una carriera che non ha eguali. Piuttosto, un impegno importante di Sordi regista fu la serie televisiva Storia di un italiano, dove attraverso il sapiente montaggio di sequenze dei suoi film più significativi, realizzò, si potrebbe dire, la sua opera omnia, riassumendo in tre distinte serie (1979, 1981 e 1986) il lavoro di 50 anni vissuti sul set.
Innumerevoli e prestigiosi i premi vinti in carriera da Alberto Sordi. Egli fra l’altro, nel 2002, ricevette anche una laurea Honoris causa in Scienze e Tecnologie della Comunicazione conferitagli dalla Iulm di Milano e una – sempre nel 2002 – in Scienze della Comunicazione conferitagli dall’Università degli Studi di Salerno.
Sordi, pur amando molto le donne, non volle mai sposarsi e non ha avuto figli. Si è dedicato con dedizione, forse come nessun altro artista, al suo pubblico cui regalò risate e divertimento, ed anche qualche spunto amaro di riflessione. C’è una scena che è rimasta nell’immaginario collettivo e che potrebbe sintetizzare la sua arte? Sicuramente tante, ma mi piace ricordare il finale de I vitelloni di Fellini, quando l’attore grida ad un gruppo di operai rimasti in panne “Lavoratori!” e fa il braccetto ad ombrello. Ebbene, lì c’è tutta l’irriverenza, l’egoismo, ed anche il cinico infantilismo che è comune a molti italiani. E queste sono state le caratteristiche pregnanti e vincenti del personaggio costruito da Sordi, vigliacco ed eroe al tempo stesso, come nel caso del “romano” Oreste Jacovacci, il protagonista de La grande guerra, fucilato dagli austriaci insieme all’amico milanese” Giovanni Busacca, interpretato da Vittorio Gassman.