E’ difficile. Difficile e pieno di responsabilità, il lavoro dei magistrati.
Spesso, a causa delle loro indagini penali, hanno pagato con addirittura con la vita la propria dirittura morale, spesso sono stati e vengono vituperati, attaccati, insultati per i loro atti. Meritano il rispetto e l’appoggio di chi ancora crede nella Giustizia con la “G” maiuscola, nelle regole di civile convivenza che troppo spesso vengono infrante da chi, con prepotenza ed arroganza, ritenendosi più forte o più bullo di tutti, tenta di imporre il proprio volere a chi ritiene essere più debole. Ma anche i magistrati sono esseri umani, e come tutti noi sono soggetti a sbagliare. Non c’è nulla di male, può capitare.
E’ grave quando ciò avviene con dolo come nei recenti fatti di Siracusa, mentre se l’errore viene compiuto per negligenza il cittadino può sempre ricorrere, e in qualche caso può avvalersi della normativa sulla responsabilità civile dei magistrati, introdotta nel 1988 dalla “legge Vassalli” (dopo il referendum popolare del 1987) e riformata nel 2015: una normativa però particolarmente difficile e farraginosa, e quindi poco utilizzata; il classico esempio “all’italiana” di presa in giro dei cittadini: la legge c’è, sulla carta, ma i paletti sono così enormi che di fatto non è applicabile.
Sappiamo tutti le gravi carenze di funzionamento dell’apparato giudiziario italiano: poco personale, pochi magistrati, atti processuali che si accumulano, fascicoli che spesso spariscono tra il disordine, faldoni spesso alla mercè di chiunque, la necessità di emettere sentenze prima che si verifichi la prescrizione. E talvolta i Giudici, nella fretta, si dimenticano di qualche elemento importante ai fini del giudizio, emettendo sentenze che generano grande sorpresa per le parti in causa. Ma ripeto, con magistrati oberati di lavoro e sempre in corsa con il tempo, può accadere.
Non dovrebbe invece succedere quel che è avvenuto in un giudizio civile che ha portato ad una sentenza che mi è capitata tra le mani. Un errore? Certamente, tant’è che la parte condannata ha dovuto proporre ricorso in Cassazione per potere avere il dovuto ristoro. Ma quello che mi ha sorpreso è stato il ragionamento seguito dal giudice, che forse nella fretta non ha letto bene la legge che doveva interpretare o peggio, pur avendola letta e citata, ha compreso fischi per fiaschi. Una sorta di “analfabetismo funzionale”, di cui soffre buona parte degli italiani, che porta, pur sapendo leggere e scrivere, a non comprendere il testo che si sta leggendo Ed anche all’”analfabetismo funzionale”, pur deleterio, siamo ormai abituati, ma che ne sia affetto un Giudice è qualcosa di terribile, che porta a riflettere.
Naturalmente non posso svelare né il nome del Giudice, né il Tribunale a cui appartiene. Ma nell’ambito di una auspicabile riforma del sistema giudiziario, credo che debba essere introdotta una norma che permetta, in caso di sentenze “improbabili” o in cui viene travisata la normativa, un iter snello teso al riesame di quella sentenza “in autotutela”. Un iter che il cittadino possa utilizzare facilmente e senza orpelli burocratici.
Perché abbiamo, ed è giusto che sia così, grande rispetto e considerazione per il gran lavoro dei magistrati, ma da cittadini pretendiamo uguale rispetto da parte del sistema giudiziario. E’ questo il significato e la funzione della Giustizia, senza la quale non ci sono né democrazia né regole di civile convivenza.