Con ritardo rispetto a quanto annunciato, l'accordo di programma per la riconversione e riqualificazione dell'area di crisi complessa di Gela sarà portato e discusso sul tavolo ministeriale dal sindaco Domenico Messinese, presumibilmente accompagnato dal vice Simone Siciliano che ha seguito l'intero iter passo dopo passo in qualità di assessore al ramo.
La delibera di Giunta è stata approvata e nei prossimi giorni il duo volerà verso la capitale, nel tentativo di affrettare i tempi. Messinese e Siciliano, senza padrini politici ed innanzi nuovi interlocutori istituzionali, porteranno con loro tanta speranza, ma altrettanta è la diffidenza che lasceranno in città. Una diffidenza, se si vuole guardare in faccia la realtà, ampiamente giustificata. Dalla firma del “Protocollo Eni-Sicilia”, falsamente fatto passare come “Protocollo di Gela”, sottoscritto il 6 novembre 2014, di acqua sotto i ponti ne è passata.
Gela è al collasso economico ed occupazionale. Una crisi anche sociale che investe numerosissime famiglie.
Una città che si svuota e che delle compensazioni, dell'hub logistico e dello stoccaggio del gnl, tutti citati nel “Protocollo di Santo Stefano”, ha visto ben poco, se non nulla. L'unica fattezza dai contorni sempre più nitidi è l'impiantino “green”, senza indotto.
Resta un vuoto enorme che questo accordo di programma molto ambizioso nei progetti e nei numeri, vorrebbe colmare nell'aspettativa che il tutto non si riduca, ancora una volta, ad altre chiacchiere su carta.
Con delibera approvata dalla propria giunta, il primo cittadino Domenico Messinese ha ottenuto il mandato per l'ennesima trasferta ministeriale a Roma, ma stavolta al fine di sottoscrivere, finalmente, quel tanto agognato accordo di programma per la riconversione e riqualificazione dell'area di crisi complessa di Gela, su cui ha lavorato insistentemente l'assessore al ramo e vicesindaco, Simone Siciliano.
Un accordo di programma ambizioso nei suoi propositi ma che sostanzialmente procede su due binari argomentativi che traggono la loro fonte d'ispirazione in due rispettivi documenti fondamentali: il “Patto per la Sicilia” da un lato ed il “protocollo di Gela del 2014” dall'altro. Due binari che si incrociano e si presuppongono a vicenda. Il primo è quello dello sviluppo del tessuto infrastrutturale in cui Gela e relativo comprensorio, a qualsiasi latitudine li si guardi, sono assolutamente deficitari. Ciò richiama alla logistica ed allo snodo previsto dal “Protocollo di Santo Stefano”, accanto il corredo produttivo-industriale da riconvertire e far ripartire. Quest'ultimo, a sua volta, postula investimenti, innovazione e ricollocazione occupazionale. Ma, soprattutto, portualità e gnl.
In questi termini, tale accordo di programma si presenta come un enorme calderone in cui dentro, in linea teorica, può starci di tutto e di più. L'assessore Siciliano, che ha seguito l'iter in ogni passo, ha dichiarato che le proposte di insediamento all'interno dell'area di crisi complessa, arrivate a seguito della “call” lanciata da Invitalia, sono diverse centinaia, con più formule previste (dal “contratto di sviluppo” alla “decontribuzione per fasce anagrafiche”, passando attraverso il “selfie employment”, l'alternanza “scuola-lavoro”, nonché agevolazioni ed incentivi fiscali vari).
Se ne dovranno prendere cura la Regione e lo Stato i quali, secondo quanto ha rivelato il vicesindaco, hanno messo a disposizione rispettivamente 10 milioni e 15 milioni di euro per un totale di 25 milioni di euro. Somma che sempre secondo Siciliano rimane suscettibile di ulteriore incremento, qualora le proposte pervenute ed approvate lo dovessero richiedere. Addirittura alcune proposte (poco meno di una decina), superano i 20 milioni di investimento complessivo ed a quel punto per coprirlo interamente, oltre a Regione e Stato anche il soggetto proponente dovrà essere pronto a mettere mani al portafoglio.
Senonché, dalla teoria alla pratica il passaggio non sempre è automatico. Anzi, l'esperienza insegna come accada sovente il contrario e fioccano gli interrogativi. Invero, questa città dal Protocollo del 2014 ad oggi cosa ha ottenuto, in cambio dello stop alla Raffinazione convenzionale? Cosa ha ottenuto Gela a fronte dello smembramento di tante famiglie, delle numerose saracinesche commerciali abbassate, del collasso di interi settori dell'economia locale? Cosa ha avuto questa comunità come corrispettivi compensativi, se non palliativi, per non dire nulla di concreto, in mezzo ad un oceano di chiacchiere?
Non solo. Mentre i tempi si sono enormente dilatati ed Eni sta per ultimare i lavori relativi alla “green refinery”, senza che passa un giorno in cui operai dell'indotto si danno il turno per incrociare le braccia piuttosto che armarle di sano lavoro, sono intevenute nuove elezioni, sono cambiati governi, presidente del consiglio, ministri, presidente della regione, assessori, maggioranze ed opposizioni. Basti pensare che a parte De Scalzi che è rimasto al suo posto in qualità di Amministratore delegato Eni (chissà per quanto ancora), tutti gli altri “noti” firmatari del Protocollo del 2014, non occupano più le rispettive poltrone.
Inutile nasconderlo, l'assenza di riferimenti politici ai livelli superiori, sia regionali che nazionali, ha pesato molto in generale e continuerà a farlo specie sui tavoli dove si discute di fondi da elargire e finanziamenti da sborsare, in una dimensione che non è meramente tecnica (magari lo fosse). Non poche camicie hanno dovuto sudare Messinese e Siciliano, nei tanti viaggi romani e palermitani, al fine di conquistarsi un minimo di credibilità presso interlocutori istituzionali che da qualche mese, però, hanno passato il testimone ad altri, lesti a subentare in staffetta all'indomani dei turni elettorali isolani e nazionali. Il rischio è che che dopo quasi 4 anni dalla firma del Protocollo, a parte le carte ed i documenti, sia rimasto ben poco e chissà, magari ritrovandosi nelle trattative, di fatto, a punto ed a capo.