Non esiste legge elettorale che possa garantire governabilità ed il Rosatellum, al suo battesimo ufficiale che si terrà il 4 marzo, non dirà altro se non addirittura peggio.
Tra simulazioni, sondaggi e proiezioni lo scenario più probabile che tali indagini prefigurano è quello di una “non maggioranza” associata all'astensionismo. Un dato generale che non esita a palesarsi anche a livello locale. La gente non perde occasione per confessarci che non sa “chi votare” e soprattutto “come votare”. Dal comune cittadino allo stesso attivista militante nei partiti, è vistoso il malessere per candidature imposte dall'alto nelle liste bloccate, per quanto brevi. Mugugni nel centrosinistra, nel centrodestra e persino nei pentastellati. Mancano due settimane al voto e le incognite crescono, si accavallano.
Il “ribelle” Pd locale si riunisce e dichiara ufficialmente che voterà Pd, ma non si sa.
Sicilia Futura si riunisce privatamente per organizzare la campagna elettorale della Cardinale senza invitare ufficialmente i dem locali, ma si scopre che alcuni consiglieri comunali del partito democratico erano stati invitati ed erano presenti. Si vocifera che alcuni “ribelli” alla fine voteranno Lo Nigro della lista “Insieme” giusto per rimanere nei confini della coalizione, mentre altri, soprattutto ex crocettiani, sarebbero disposti a votare fuori dalla coalizione, propendendo per Franca Gennuso che corre nella lista Leu, anticipando in pratica una clamorosa migrazione verso la “sinistra del Pd” che avverrebbe all'indomani del voto, specie in caso di esiti elettorali confortanti.
Nel centrodestra si lavora per mantenere compatta la coalizione, il che andrebbe tutto a vantaggio dei forzisti gelesi Federico e Bartolozzi, rispettivamente candidato all'uninominale e capolista al plurinominale, ma negli altri partiti del cartello elettorale non si festeggia, anzi. Anche nel movimento 5 stelle, gli entusiasmi manifestati negli anni passati quando si era all'inizio di una campagna elettorale, appaiono un po' sopiti, con un approccio quasi in sordina. Segno che non poche certezze sul movimento iniziano a vacillare e/o che sia in atto un cambiamento, evolutivo o involutivo, a seconda dei pareri e dei punti di vista degli stessi attivisti e simpatizzanti.
Nonostante le tante sciocchezze che abbiamo dovuto ascoltare in quest'ultimo ventennio, quello italiano rimane un sistema politico che misurava la propria affidabilità sulla capacità consociativa di partiti di massa, vale a dire un qualcosa che continua letteralmente a fare a pugni con il sistema partitico post-ideologico, delineatosi inizialmente con un falso bipolarismo tra litigiose e tutt'altro che coese coalizioni di centrosinistra e centrodestra, tramutatosi ai nostri giorni in una dimensione tendenzialmente tripolare grazie alla nascita e rapida ascesa del Movimento 5 Stelle.
Non esiste una legge elettorale, a maggior ragione questa legge elettorale con le sue tante incognite, che assicuri governabilità, la quale può essere garantita nel suo interno solo dal sistema politico (la forma di governo) giunto - a nostro avviso da due decenni oramai - ad un punto di non ritorno. Manca peraltro una legge quadro che disciplini il metodo democratico con cui i partiti debbono selezionare le candidature, costringendoli ad aprire il più possibile alla società civile. Non ci stancheremo mai di ripeterlo finché non apparirà la luce dal tunnel.
Diciamolo con i numeri, allora. Ebbene, a novembre dello scorso anno, il centro studi e ricerche della Camera dei Deputati ha pubblicato una simulazione degli esiti del voto alle politiche 2018, basandosi sui dati ottenuti dalle liste alle precedenti elezioni del 2013, applicandoli alla nuova legge elettorale. Per questa via, alla Camera la coalizione di centrosinistra avrebbe ottenuto 216 seggi (di cui 122 al proporzionale nei collegi plurinominali e 94 al maggioritario nei collegi uninominali); il centrodestra avrebbe ottenuto 211 seggi (di cui 115 al proporzionale nei collegi plurinominali e 96 al maggioritario nei collegi uninominali); il Movimento 5 Stelle avrebbe ottenuto 148 seggi (di cui 107 al proporzionale nei collegi plurinominali e 41 al maggioritario nei collegi uninominali); mentre il tentativo di una quarto polo centrista avrebbe ottenuto una quarantina di seggi (tutti al proporzionale nei collegi plurinominali). Inutile aggiungere la simulazione al Senato. Già quella alla Camera basta per affermare che anche se si fosse votato 5 anni fa con il Rosatellum, nessuno avrebbe avuto la maggioranza e l'unica soluzione possibile sarebbe rimasta quella di un governo di larghe intese, con i partiti a quel punto liberatisi da ogni vincolo di coalizione.
Tale indagine non è invece indicativa per quanto può succedere invece il 4 marzo. Il quarto polo centrista non esiste più, con Scelta Civica dissoltasi e quel che è rimasto dell'Udc a formare con altri centristi e moderati la “Quarta gamba” del centrodestra. Di quel Centrosinistra è rimasto solo il Pd, a cui si sono aggiunti radicali, socialisti, ulivisti e prodiani, ma con pezzi della minoranza Pd, Sel ed altri partiti della sinistra radicale nel frattempo confluiti in “Liberi ed Uguali”. Ed anche a livello di consensi, nel corso del quinquennio, di acqua sotto i ponti ne è passata. L'ultima media sondaggistica ci conferma un Movimento 5 stelle, primo partito, dall'andamento piuttosto stabile ed oscillante tra 27 ed il 28 percento; ma con la coalizione di centro destra in testa e con ampio vantaggio, seppur bloccatasi nella scalata attorno il 37 percento (a frenare sono più precisamente FdI - che torna decisamente sotto il 5%, avvicinandosi semmai al 4,5% – e Noi Con l'Italia-Udc – al 2,5% quindi sotto lo sbarramento del 3% -, mentre Fi continua ad attestarsi al 16,5%, e la Lega al 13,5%); la coalizione di centrosinistra al 27 percento (che potrebbe essere associato al solo Pd, il quale da solo si attesta al 23,5%, ma incasserebbe il 2,5% degli altri cespugli secondo la legge elettorale); infine Liberi ed Uguali poco oltre il 6 percento ed in leggero calo dopo una prima impennata.
Provando a fare una proiezione, sulla base di questi dati, considerata l'ottantina di collegi uninominali ancora incerti, alla Camera avremmo il M5S tra i 150 ed i 155 seggi, il Pd tra i 140 e 145 seggi, Fi tra i 125 ed i 130 seggi, Lega tra i 100 e 105 seggi, FdI non oltre i 40 seggi, Liberi ed Uguali attorno i 25 seggi, Noi Con l'Italia tra i 10 ed i 12 seggi, Insieme e Più Europa tra i 5 ed i 7 seggi; al Senato avremmo il M5S attorno gli 80 seggi, il Pd attorno i 70 seggi, poco meno a Fi tra i 65 e 68 seggi, Lega attorno i 40 seggi, FdI attorno 25 seggi, la metà a Liberi Ed Uguali cioè 12 o 13, la metà ulteriore cioè 6 o 7 a Noi Con l'Italia e analogo riscontro anche per Insieme e Più Europa che incasserebbero almeno 6 seggi.
Aggregandoli otterremmo: alla Camera centrodestra al massimo con 285 seggi, M5S al massimo con 155 seggi; centrosinistra al massimo con 153 seggi (ma con la possibilità di scavalcare addirittura i pentastellati qualora trovasse conferma il pronostico di un Pd in vantaggio nell'assegnazione dei 12 seggi degli Italiani all'estero), Leu al massimo con 25 seggi; mentre al Senato centrodestra al massimo con 140 seggi, M5S al massimo con 80 seggi, centrosinistra al massimo con 77 seggi (ma con la possibilità anche in questo caso di scavalcare i pentastellati qualora trovasse conferma il pronostico di un Pd in vantaggio nell'assegnazione dei 6 seggi degli Italiani all'estero) e Leu al massimo con 12 seggi.
Lo scenario che ne deriva confermerebbe la fisionomia tripolare del sistema partitico attuale, ma con nessuno in grado di vantare una maggioranza precostituita in alcuno dei due rami del Parlamento. A questo punto, le ipotesi più probabili le faremo all'indomani del 4 marzo con i numeri certi espressi dalle urne, con la verosimile necessità che appureremo - come di regola accade del resto da vent'anni, lo ribadiamo ancora una volta – di tradurre in discrezionali, esageratamente discrezionali, per i gusti di chi scrive, il potere ed il ruolo del Presidente della Repubblica. E, perché no, non sarebbe da escludere a priori un nuovo richiamo alla Corte Costituzionale: tutto perché ci si ostina a rimandare ciò che non è più da tempo procrastinabile, vale a dire la riforma costituzionale della forma di governo.