Domenica 4 marzo 2018, milioni di italiani si recheranno alle urne, al netto di coloro che decideranno di restarsene a casa, per rinnovare i due rami del Parlamento, attraverso l'elezione di seicentotrenta “onorevoli” rappresentanti del popolo alla Camera dei deputati e trecentoquindici al Senato della Repubblica.
In occasione di queste elezioni politiche si terrà a battesimo la nuova legge elettorale, recentemente entrata in vigore, con alcune insidie che la stessa, per sua natura, non riesce a nascondere e che si palesano a livello locale nei vari collegi elettorali, fra i quali anche quello gelese.
Il nuovo sistema elettorale, noto come “rosatellum”, prevede l'attribuzione solo di 1/3 dei seggi attraverso i collegi uninominali dove cioè si vota il candidato (non sempre espressione del territorio, anzi) e vince semplicemente chi prende più preferenze dagli elettori.
Preferenze che sfumano fino a scomparire del tutto nelle liste “bloccate” per i collegi plurinominali, destinate ad occupare ben 2/3 degli scranni parlamentari. Un qualcosa con tutta evidenza maldigerito dai “territori” che si vedono catapultati, benché in liste brevi, tantissimi candidati che non conoscono.
In Italia l'eventualità di un'assenza delle preferenze nel sistema elettorale è vista da decenni con sofferenza dall'elettorato e la ragione è ben precisa. Si chiama “partitocrazia” e quella italiana è nota in tutto il mondo occidentale. Una partitocrazia invasiva che ha colonizzato tutto quanto era ed è di dimensione pubblica.
Una partitocrazia che passa al vaglio del cittadino, chiedendogli per l'occasione una sorta di “delega in bianco”, solamente alle urne. Ecco allora che il cittadino-elettore, giusto a quella chiamata, vorrebbe rispondere con una propria scelta, del tutto personale ed individuata nella “preferenza”, illudendosi magari di poter essere decisivo. Almeno in quello. Ad acuire l'insofferenza, negli ultimi tempi, ha contribuito non poco la netta involuzione in cui sono entrati i partiti, sempre più “romani”, sempre più distanti dalle periferie e sempre meno radicati nei territori. Sicché non solo il cittadino-elettore, ma anche la stessa “base” dei partiti, i “militanti” insomma, quelli che ci mettono la faccia a livello locale, hanno a malincuore contenuto il loro disagio per le diverse candidature decise nella capitale.
In alcuni casi il disappunto è sfociato in aperta polemica. Proprio a Gela è partita la “ribellione” estesasi a tutti i circoli democratici del nisseno e dell'ennese, nonché di buona parte dell'agrigentino contro la selezione dei candidati all'uninominale e soprattutto la composizione delle liste al plurinominale, con in particolare la scelta, avversata ed accusata di essere “dinastica”, di posizionare a capolista l'uscente Daniela Cardinale. Un'autentica rivolta con chiusura dei circoli e minacce tutt'altro che velate di non votare il partito. A Gela ci si chiede cosa succederà il 5 marzo.
L'allora capogruppo comunale del Pd, Enzo Cirignotta, se ne andò, sbattendo pure la porta, prima di essere defenestrato dalla segreteria per aver appoggiato alle elezioni regionali un candidato non piddino. Se i dirigenti ed i tesserati di questi circoli ribelli non voteranno Pd, alla cui guida, ben salda, dovesse rimanere Renzi, cosa succederà?
Sebbene represso, il malessere è però diffuso ed alberga anche altrove. Nel centrodestra, ad esempio, i duemila gelesi ed i loro “grandi elettori” che hanno voluto dare una spallata a Pino Federico alle elezioni regionali, per farlo fuori dalla scena politica votando l'avversario forzista Mancuso, sono rimasti spiazzati dalla candidatura di Federico all'uninominale per la Camera. Indagando in questi ambienti abbiamo riscontrato a livello confidenziale che c'è chi, imperterrito nella linea, sembrerebbe disposto financo a votare l'avversario grillino.
E non manca chi si è già rassegnato all'idea di ingoiare il rospo e votare il simbolo, pur sapendo che ricade anche sul candidato, sperando che quest'ultimo non ce la faccia comunque, o qualora ce la facesse, si allontani dal territorio. Ma se chiedi loro una dichiarazione pubblica, mettono immediatamente a riposo la lingua riparandosi dietro il classico “no comment”.
Persino nel Movimento 5 Stelle locale non mancano i mal di pancia. Stuzzicandoli anche in questo caso a livello confidenziale, qualche fastidio emerge, per quanto gli attivisti continuino tendenzialmente a pensare ed ad agire come un corpo chiuso. La conferma della candidatura della Cancelleri a capolista al plurinominale, scontatissima pur attraverso il beneplacito di “Rosseau”, non è passata inosservata e quando ne chiedi conto la risposta più frequente è un sorriso di circostanza, se non proprio amaro.
Le stesse candidature agli uninominali di Pignatone e Lorefice sono state successive alle parlamentarie, dove si sono cimentati per i plurinominali piazzandosi decisamente dietro altri. Il regolamento sottoscritto era chiaro, ma se doveva essere Di Maio a decidere, perché non farlo prima sottraendo i due dalla competizione per le parlamentarie e non imponendoli successivamente, calando tali candidature dall'alto, giusto come nello stile dei partiti? Ma se poi chiedi loro di esporsi con una dichiarazione ufficiale, si chiudono subito a riccio. Bocche cucite per l'appunto, ovunque, sarà la matita infatti a parlare nel silenzio della cabina elettorale.