Il referendum sull'autonomia differenziata non è solo una questione politica o amministrativa: è una bomba a orologeria pronta a esplodere e a spaccare l'Italia in modo irreversibile.
Le conseguenze potrebbero essere devastanti, portando a una disgregazione economica, sociale e politica che rischia di compromettere il futuro stesso del Paese. Ad innescare la bomba, un paradosso politico ed ideologico, è il governo guidato da Fratelli d'Italia, partito di ispirazione sovranista e patriottica, alleato con la Lega, partito che ha recentemente abbandonato la sua vocazione secessionista per sposare un centralismo estremo, a riprova delle contraddizioni interne della politica italiana, dove obiettivi ed alleanze di convenienza prevalgono su ideologie e programmi coerenti.
Fratelli d’Italia abdica alla sua natura, la Lega ritorna alle origini, appena ripudiate, e detta l’agenda politica e parlamentare nel momento di maggiore debolezza politica a causa di una netta perdita di consenso. Il tallone d’Achille dei governi di coalizione, nei quali a dettar legge, letteralmente, sono talvolta minoranze striminzite. Una piramide di paradossi.
La recente approvazione definitiva della legge sull’autonomia differenziata in Parlamento ha acuito le tensioni tra maggioranza tripartito (FDI, FI e Lega) e opposizione (PD, M5S,Verdi e Sinistra), portando quest'ultima a trasferire la protesta dalle aule istituzionali alle piazze ed annunciare la raccolta di firme per un referendum abrogativo. Il confronto non sembra lasciare margini a compromessi. Il referendum potrebbe rappresentare il momento storicamente più difficile per la storia unitaria del Paese.
L’ondata di dissenso, che si è allargata ai governatori della maggioranza di governo, riflette una preoccupazione diffusa: che l’autonomia differenziata possa intensificare le disparità storiche tra Nord e Sud, accentuando le disuguaglianze in termini di servizi pubblici, bisogni insoddisfatti e qualità della vita. Le regioni settentrionali, con economie più robuste e una maggiore capacità fiscale, potrebbero beneficiare ulteriormente di un'autonomia ampliata, gestendo in modo autonomo le proprie entrate e spese. Al contrario, le regioni meridionali, già penalizzate da una minore capacità fiscale e da un'economia più fragile, rischierebbero di vedere ridotte ulteriormente le risorse a loro disposizione.
L'Italia ha una storia di disparità regionali radicate, con il Nord economicamente più avanzato e il Sud che soffre di arretratezza infrastrutturale ed economica. Questa dicotomia ha sempre alimentato tensioni, spesso strumentalizzate politicamente. L'Italia, sin dalla sua unificazione nel 1861, ha sempre dovuto confrontarsi con una marcata disparità tra le regioni settentrionali e meridionali. Il Sud è stato storicamente percepito come arretrato e dipendente da sovvenzioni statali, mentre il Nord è visto come il motore economico del Paese.
La realtà non lascia scampo alle motivazioni strumentali, offrendoci una fotografia impietosa delle due Italie. Secondo i dati dell'Istat, il PIL pro capite nel Nord Italia è significativamente più alto rispetto al Sud. Nel 2022, il PIL pro capite della Lombardia era di circa 38.000 euro, mentre in Calabria era di appena 17.000 euro. Questa disparità economica si riflette anche nella capacità fiscale delle regioni, con il Nord che contribuisce maggiormente alle entrate fiscali nazionale. La qualità dei servizi pubblici, inclusi sanità ed educazione, è variabile tra Nord e Sud. Le regioni settentrionali vantano infrastrutture sanitarie più avanzate e una maggiore efficienza nei servizi scolastici.
Le regioni settentrionali, con economie più robuste, vedono l'autonomia differenziata come un'opportunità per gestire meglio le proprie risorse senza dover contribuire eccessivamente al fondo perequativo nazionale. Le regioni meridionali temono che questa autonomia possa ridurre ulteriormente i trasferimenti fiscali, accentuando le disuguaglianze già esistenti. Un'autonomia differenziata potrebbe consentire alle regioni più ricche di investire ulteriormente in questi settori, lasciando indietro le regioni più povere.
Le disparità economiche e sociali tra Nord e Sud non sono un problema nuovo, ma l'autonomia differenziata potrebbe aggravarle a livelli insostenibili. Il Nord, con le sue economie robuste e le infrastrutture avanzate, è destinato a trarre vantaggi significativi da una maggiore autonomia. Questo lascerebbe il Sud, già svantaggiato, in una situazione di declino irreversibile.
Le regioni meridionali, con risorse già limitate, vedranno ulteriormente ridotti i fondi per i servizi essenziali come sanità, istruzione e trasporti. Questo non farà che peggiorare la qualità della vita, alimentando sentimenti di abbandono e ingiustizia. La fuga di cervelli e capitali dal Sud verso il Nord si intensificherà, lasciando il Meridione sempre più impoverito e privo delle risorse necessarie per risollevarsi. La possibilità di mobilità sociale è significativamente più alta nel Nord rispetto al Sud. I giovani delle regioni meridionali affrontano maggiori difficoltà nel trovare lavoro e opportunità di carriera.
Le regioni meridionali rischiano di diventare aree marginali, economicamente depresse e socialmente instabili. Questo non solo aggraverà le disuguaglianze, ma creerà sacche di povertà e disperazione che potrebbero alimentare fenomeni di criminalità e disordine. La frattura tra Nord e Sud diventerà sempre più profonda, erodendo la coesione nazionale e mettendo a rischio la stabilità dell'intero Paese.
Una volta avviato il processo di autonomia differenziata, tornare indietro sarà estremamente difficile, se non impossibile. Le regioni settentrionali, beneficiarie del nuovo assetto, non avranno alcun interesse a rinunciare ai vantaggi acquisiti, mentre il Sud, ulteriormente impoverito, non avrà la forza politica e sociale per rivendicare una redistribuzione equa delle risorse.
Il referendum abrogativo rappresenta una minaccia concreta e imminente per l'unità dell'Italia, rischiando di esacerbare le divisioni storiche tra Nord e Sud fino al punto di rottura, innescando una serie di conseguenze devastanti. Le tensioni latenti tra le regioni potrebbero esplodere in aperti conflitti, e una radicalizzazione delle posizioni politiche, mettendo in discussione la stessa esistenza dell'Italia come stato unitario
La narrativa di un Nord prospero e autosufficiente contro un Sud dipendente e inefficiente alimenterà sentimenti di rancore e divisione che potrebbero degenerare in movimenti secessionisti. L’autonomia differenziata, introdotta per la prima volta con la riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001, intendeva rispondere alla crescente domanda di decentramento amministrativo, favorendo una maggiore responsabilità locale nella gestione delle risorse.
Il Sud sarebbe stato inondato di denari pubblici, sprecandoli; il Nord avrebbe pagato tale drenaggio di risorse, che sarebbero state prodotte dallo spirito imprenditoriale e dalle migliori intelligenze del Paese. L’autonomia differenziata, dunque, costituirebbe paradossalmente un atto di riparazione. Antichi luoghi comuni, nati anche a causa di politiche dissennate.
Luoghi comuni che penalizzano, ingiustamente, aree del Meridione d’Italia, come Gela, dove si sono riversate ingenti risorse che avrebbero dovuto cambiare tutto. Gli investimenti non sono stati decisi e governati dalla politica e dal management locali e regionali, cui sono state concessi privilegi di comparaggio, ma dall’establishment settentrionale, alla guida delle partecipazioni statali e degli Interventi Straordinari nel Mezzogiorno.
Che nome darle, se non Belzebù? Il campo di battaglia sarà largo quanto l’intero Paese, Gela lo vivrà in prima linea. Gela smentisce la narrativa consolatoria dei fautori dell’autonomia differenziata. Il grande investimento pubblico (uno spreco per la vulgata leghista) non ha cambiato il futuro di questa area del meridione, che ha pagato i costi altissimi della provvista energetica del Paese. Chi fa i conti del dare e dell’avere trascura la salute e l’ambiente devastati.
Se c’è un processo che deve essere fatto, è quello che vede “parte civile” la comunità gelese e sul banco degli imputati i zelanti fautori dell’autonomia differenziata eredi di una stagione opaca e ipocrita.