I trattori non sono armati di forconi. Non sarebbe stato possibile.
E hanno marciato su Sanremo, piuttosto che su Roma. Per non dissacrarne il ricordo di quella che ha fatto la storia, sospendendo la libertà degli italiani per venti lunghi anni, visto che a Roma c’è chi nel personale Pantheon ospita quelli che la fecero? O perché si parte uniti e si arriva sparpagliati, perché gli interessi del mondo agricolo sono di tale natura e entità che è impossibile trasformarli in una piattaforma comune?
Lo sanno anche le suorine di clausura che i piccoli agricoltori fanno la fame a causa della grande distribuzione, che non lascia niente a nessuno (i prezzi vengono gonfiati in corso d’opera in misura scandalosa), ma non c’è nemmeno l’ombra – tanto per fare un esempio – del salasso cui vengono obbligati i contadini dalle grandi famiglie che tirano le fila del trasporto e della distribuzione e vendita dei prodotti agricoli.
Basterebbe fare trasparenza sulla filiera del business vero – dal quale i piccoli imprenditori agricoli sono tagliati fuori - e dettare poche regole per dare ossigeno al settore, malato di gravi ingiustizie, come hanno fatto in Francia. L’ordine di scuderia è mettere nel mirino l’Europa, un bersaglio facile per via di una vecchia insofferenza e ed altrettanto vecchia intolleranza politica del sovranismo politico di stampo antico e contemporaneo.
Proviamo a lasciare il Continente e passare lo Stretto e andare indietro nel tempo, usando la lente di chi ne ha viste di cotte e di crude, cioè gli anziani che correggono la presbiopia per leggere ciò che si trova sotto gli occhi. Bisogna indossarla la lente che focalizza quello che si ha sotto gli occhi, se si vuole affrontare la materia. Andare in profondità significa soprattutto girare indietro l’orologio per rinfrescare la memoria e scoprire così che i vecchi problemi sono quelli di oggi e se non si è fatto nulla per affrontarli vuol dire che ci sono interessi grandi e grossi che non lo permettono e stanno dentro l’agricoltura italiana, non fuori di essa.
Si racconta che i militi della forestale, unico esercito regolare della storia della Sicilia per anni(prima che fossero accorpati all’Arma dei Carabinieri), siano stati sguinzagliati per trattorie e ristoranti dal Presidente della regione per svolgere controlli trinariciuti e puntuali, essendo arrivata a Palazzo d’Orleans, sede della Presidenza regionale, una soffiata, che nell’Isola si era infiltrata impunemente una partita di uova di pesce non siciliano perfino nel sancta sanctorum dell’autonomismo, Palazzo dei Normanni. Sede dell’Assemblea regionale siciliana.
Più che di soffiata, si deve dar conto in verità di una protesta, proveniente dai deputati regionali pentastellati, freschi di nomina e in preda ad una irresistibile eccitazione da prestazione, circostanza chge, com’è noto, non permette di andare a buon fine. La racontiamo in dettaglio, perché è istruttivo.
Alcuni anni or sono la bouvette di Palazzo dei Normanni, sede dell’Ars, è stata oggetto di aspre critiche, perché dei deputati regionali si sono accorti che consumava limoni su cui era stampigliata l’origine messicana. Che è una prova di onestà commerciale, ma per chi si fa strabico alfine di servire il tempo che vive, diviene una buona causa da combattere, utilizzando l’onestà commerciale come prova di un misfatto.
Beppe Grillo, a quel tempo, pontifica dai balcone e dalle piazze, Giuseppe Conte, il successore, non è stato nemmeno concepito. Noi facciamo le leggi per favorire la commercializzazione ed il consumo dei nostri prodotti, protestarono i parlamentari cinquestellati, e perfino all’Ars consumiamo alimenti americani? Fecero l’iradiddio. Ci sarà andato di mezzo il ragazzino della spesa, incaricato di acquistare i limoni, che della legge non sapeva niente, e nemmeno del marchio sui limoni.
La Camera di Commercio di Palermo deliberò la creazione di un marchio di tutela e pubblicità del prodotto siciliano, nell’ambito della lotta alla contraffazione alimentare. Tutela dell’autenticità uguale buona comunicazione? Ci vorranno soldi, molti soldi, così c’è chi si è chiesto se ne valesse la pena di investire nel “protezionismo”.
Gigi Mangia, già presidente dell’Associazione pubblici esercizi di Palermi, chef raffinato e ristoratore di lungo corso, la pensava così:“Piuttosto che un marchio, bisogna organizzare i sistemi, pretendere buona qualità, fare opera di divulgazione fra i giovani, le famiglie, la scuola. Avere attenzione sui danni che il cibo senza identità procura alla salute dei consumatori, invece che puntare sul patriottismo. La cultura della legalità e della buona tavola non si ottiene attraverso il marchio…”
I soldati della forestale – non sapremmo come chiamarli altrimenti – eseguirono la disposizione del governo con scrupolo, ma non bastò perché la missione avesse successo. Anzi, pare che sia finita a malafiura. Era come cercare l’ago nel pagliaio. Immaginate la faccia dei ristoratori, cui venne chiesto di dimostrare la provenienza delle uova di pesce. Stupore, incredulità. O “scherzi a parte”?
Naturalmente ce la “mmiscarinu”, come si dice in dialetto siciliano. Il problema restava, tuttavia. La grande distribuzione da una parte, le misteriose strade della provvidenza dall’altra, resero impossibile aggiustare la cosa. Palazzo dei Normanni si dette una regolata, bandendo le uova di pesce, il prodotto siciliano restò alla mercé dei padroni del vapore. Ciò che accadde lo possiamo solo immaginare: si studiò una strategia che tracciasse i prodotti della terra e del mare. Un buon proposito, indubbiamente. Privo di rischi per il grande business, l’abuso e l’illegalità.
Non era – e non è ancora – una passeggiata scovare coloro che intrallazzano. Sono tanti e si trovano in ogni settore; perfino nel vino, che pure gode con pieno merito di grande considerazione, dopo alcune malandrinate di molti anni or sono.
Come si fa a sapere che cosa c’è davvero dentro una bottiglia di vino e se il vino è siciliano, del tutto o in parte? La chimica ha raggiunto livelli così sofisticati da competere con i vigneti, figuriamoci se ci si propone di scoprire l’origine del vitigno, o dei vitigni, che compongono “quella” bottiglia, e non un’altra. L’imprenditoria del vino si è fatta adulta ed ha provveduto da sé in Sicilia ad evitare guasti all’immagine di un prodotto da esportazione che ha consolidato il vertice dell’economia siciliana.
Ma il resto dell’agricoltura subisce le vessazioni della grande distribuzione, prevalentemente insediata nel Nord del Paese. E del prodotto contraffatto, cui viene negato il marchio di origine, o meglio: la sua protezione.
Qualcosa è cambiato, ma essendo il mercato nelle mani della grande distribuzione il rischio, è che si finisca con il regalare l’identità siciliana a chi non se la merita, sicché – qualcuno pensa – sarebbe meglio ritirarsi su un fronte più sicuro, come la bontà del prodotto fabbricato in Sicilia, cioè competere sulla qualità, la qualcosa significa disporre di risorse per promuovere e commercializzare. E così si torna alla casella di partenza. Certo, si può puntare su un mercato locale, il cosiddetto chilometro zero, il frutto genuino coltivato nella vicina campagna, un mercato economicamente marginale.
Che cosa accade se i gamberoni di Mazara del Vallo, la marineria più importante d’Italia, vengono dal Mozambico? Ci rifiutiamo di crederlo, ma se costa meno importare i gamberoni dal Mozambico piuttosto che pescarli sul canale di Sicilia, il rischio che i pescatori si trasformino in importatori esiste eccome. Del resto i pelati cinesi hanno invaso le pizzerie senza destare scandalo, e la pizza è rimasta siciliana al di là di ogni ragionevole dubbio.
Che fare, perciò? Gigi Mangia partiva da lontano nella sua antica paternale: “La lotta alla contraffazione è anche lotta all’illegalità. Che però non è solo mafia, così come la legalità non è solo antimafia. Se crediamo che i cattivi siano solo i boss e fuori ci siano angioletti, siamo proprio fuori strada.
L’alimentazione è il terreno giusto per capire quel che succede, quanto diffusa sia l’illegalità e la manipolazione, e quanto danno faccia alla salute dei cittadini. Occorre un codice etico nella somministrazione degli alimenti. E chi sbaglia paga”, conclude Mangia. “Saranno i consumatori a punire gli autori delle truffe, prima che i tutori della legge”. Parole sante.
I trattori senza i forconi sono tornati a casa. C’è chi ha ricordato che erano stati acquistati con i soldi dell’Europa e chi ha messo mani al portafogli (dei contribuenti), elargendo una mancia, la riduzione delle tasse per due anni nella fascia dei piccoli redditi, giusto per offrire a chi fa la voce grossa, come la Lega di Salvini, la possibilità di sbandierare una primazia sul fisco.
Che cosa è cambiato, se i broccoli sono venduti dai contadini cinquanta centesimi al chilogrammo, e acquistati dai consumatori tre euro e mezzo? Niente.