Commissariati lungo l'intera legislatura regionale passata, gli enti intermedi siciliani, vale a dire le ex nove province regionali,
oggi denominate Città Metropolitane (Palermo, Catania e Messina) e Liberi Consorzi di Comuni (Agrigento, Caltanissetta, Enna, Ragusa, Siracusa, Trapani), continuano a vedere il loro ritorno ad un pieno funzionamento, sotto il profilo democratico oltre che istituzionale, ancora in una prospettiva dai contorni sfumati.
Dalla famosa promessa di Crocetta in diretta televisiva Rai, in cui l'ex Presidente della Regione annunciava che la Sicilia sarebbe stata la prima regione a "riformare" le province, siamo giunti all'attuale Presidente della Regione Musumeci, eletto nel novembre scorso, che ha dovuto obtorto collo reiterare il commissariamento dei nove enti, affinché l'iter complessivo della "riforma" possa finalmente pervenire alla tanto agognata conclusione, con la Regione siciliana – alla fine – ultima fra tutte le regioni italiane.
Cosa si aspetta? Si è in attesa che la Corte Costituzionale si pronunci sulla questione relativa all'elezione degli organi di vertice politico-amministrativo di tali enti. Se il governo centrale nazionale vorrebbe imporre anche alla Sicilia un'elezione indiretta come per le altre regioni, in ossequio alla normativa dettata dalla "Del Rio", il governo Musumeci per contro si è pronunciato in linea con la maggioranza delle forze politiche presenti all'Ars, favorevolmente ad un ritorno all'elezione diretta, in ossequio all'autonomia speciale statutaria dell'isola: e la Consulta, per l'appunto, è chiamata a pronunciarsi in proposito nei mesi a seguire.
Ma come si è arrivati a tale pastrocchio? Tutto parte dalla sopra richiamata dichiarazione di Crocetta, all'inizio del suo mandato, ospite della trasmissione "L'Arena" condotta la domenica pomeriggio da Giletti. Una "boutade" bella e buona: Crocetta non poteva nemmeno fare, figuriamoci mantenere, quella promessa perché la riforma spetta all'Ars e l'ex europarlamentare e sindaco di Gela, eletto da una minoranza di siciliani, non aveva una maggioranza certa in assemblea, la quale manifestava da subito di essere trasversalmente contraria, inaugurando, con una “legge cornice”, una pantomima che si trascina fino ai nostri giorni. La L.r. 7/2013, infatti, si limitò a sopprimere le “province regionali” ex L.r. 9/1986, rinviando ad altro atto legislativo, l’istituzione la disciplina dei nuovi enti territoriali intermedi sostitutivi.
Crocetta ci riprova l'anno dopo, ma in un gioco perverso ed insano fatto di veti e controveti, nel passaggio articolo per all'articolo in aula, il disegno di riforma originario deliberato dalla giunta regionale, viene letteralmente stravolto, arrivando a produrre, per l'appunto, con la L.r. 8/2014, un vero e proprio obbrobrio giuridico. In questo clima di surreale schizofrenia legislativa, l'apice viene raggiunto con lo sdoppiamento delle ex province regionali di Palermo, Catania e Messina, in tre Città metropolitane ed altrettanti Liberi consorzi. Mentre, cioè, nella stessa legge si fissavano paletti insormontabili per la creazione di nuove enti intermedi, a strenua difesa dei nove collegi elettorali preesistenti, probabilmente senza manco accorgersene, ne aumentavano il numero complessivo portandoli a dodici.
Nel frattempo, altresì, in ossequioso rispetto di quanto previsto dalla L.r. 8/2014, sotto la spinta e l'azione propulsiva del Comitato per lo sviluppo dell'area gelese (Csag) e degli altri comitati promotori niscemesi e piazzesi, i comuni di Gela, Niscemi e Piazza Armerina, ai quali si affianca anche Licodia Eubea, decidono di intraprendere l'iter di passaggio da un ente intermedio (di partenza) ad un altro (di arrivo). Attraverso delibere consiliari approvate a maggioranza qualificata (2/3) e referendum popolari confermativi che hanno visto i "Si" vincere con percentuali altissime, vicine all'unanimità, Gela, Niscemi e Piazza Armerina scelgono di aderire al Libero Consorzio di Catania mentre Licodia Eubea sceglie di aderire a Libero consorzio di Ragusa. Passaggi la cui regolarità, circa la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge in vigore, viene accertata dall’Assessorato Regionale delle Autonomie Locali e della Funzione Pubblica ed attestata con pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana (Gurs).
E' il 2015 e con L.r. n.15 l'Ars riporta gli enti intermedi da 12 a 9, coincidenti con le ex province regionali e relativi collegi elettorali. Al fine di salvaguardare la volontà popolari espresse direttamente dai cittadini attraverso i referendum, la stessa L.r. 15/2015, impone un'ulteriore delibera da approvare a maggioranza assoluta. Tali delibere sono state approvate e immediatamente comunicate all’Assessorato Regionale delle Autonomie Locali. In palese ritardo e solo a seguito della notifica di un atto stragiudiziale di diffida da parte dei comitati promotori, il Governo regionale delibera i quattro disegni di legge contenenti le variazioni territoriali che vengono vengono trasmessi nella primavera del 2016 in I Commissione, “affari istituzionali”, la quale ultima adducendo motivazioni pretestuose e richiamandosi ad una presunta lacuna in termini di istruttoria, in barba alla copiosa relazione tecnico-illustrativa assessoriale che accompagnava i quattro ddl, propone il non esame degli articoli, con l'approvazione di Sala d'Ercole, affossando di fatto quelle che in ogni manuale di diritto vengono definite "leggi provvedimento", attraverso cui il legislatore siciliano avrebbe dovuto semplicemente ratificare la volontà di territori che avevano puntualmente e correttamente seguito ciò che lo stesso legislatore aveva disposto.
Una pseudo riforma, tutto sommato, che ha visto l'Ars intervenire ripetutamente in cinque anni, consumando tutta una legislatura, tenendo in stallo ben 9 enti intermedi, con l'aggiunta di quattro comuni sospesi in un limbo tra l'ente d'appartenenza da cui hanno deciso di staccarsi e l'ente d'approdo. Una patata bollente ereditata da Musumeci e la sua maggioranza, notoriamente a favore dell'elezione diretta dei Sindaci metropolitani e dei consigli metropolitani così come dei Presidenti e dei consigli dei Liberi consorzi, laddove invece la “Del Rio” prevede la coincidenza tra Sindaco metropolitano e Sindaco della città capofila, nonché l'elezione indiretta di Presidenti e consigli (provinciali e metropolitani).
Cosa può succedere a questo punto? Se la Corte costituzionale non dovesse accogliere l'impugnativa del Governo nazionale, si va dritto alle elezioni provinciali e metropolitane, ma non prima di autunno di quest'anno con i cittadini chiamati alle urne. Se la Corte decidesse di accogliere l'impugnativa del Governo nazionale, gli attuali tre Sindaci metropolitani sarebbero autorizzati ad indire già l'indomani della sentenza, l'elezione indiretta dei consigli metropolitani con il Presidente Musumeci, a quel punto, costretto ad accodarsi con l'indizione dell'elezione indiretta di Presidenti e Consigli dei sei Liberi Consorzi. A meno che, si tenti un vera riforma che ridefinisca il numero dei collegi elettorali, liberandoli dal vincolo di coincidenza con gli enti intermedi, in un disegno complessivo che si richiami magari nostalgicamente ad architetture amministrative passate come le “Tre valli” (islamiche), oppure attuali e proprie di altre Regioni autonome come il Friuli o il Trentino. Chissà.