La campagna elettorale in vista del 4 marzo è in pieno svolgimento. Partiti e movimenti sono impegnati nel difficile compito di presentare le liste,
garantendo i seggi “sicuri” agli amici e a quelli che non romperanno le scatole nel nuovo Parlamento, con buona pace dei cittadini-elettori, che dovranno in buona parte fidarsi di un prodotto preconfezionato, prendere o lasciare.
Siamo accerchiati dalle promesse più incredibili. La Lega di Salvini vuole abolire la legge Fornero, ma nel frattempo riaprire le “case chiuse”. Berlusconi propende per la “flat-tax”, la “tassa piatta”, ovvero un’unica aliquota al 23% sui redditi, che dovrebbe far passare la voglia di evadere le imposte. I Cinquestelle annunciano che aboliranno quattrocento leggi inutili (o forse anche no, vedremo), che usciremo dall’euro (o forse magari no, vedremo), che resteranno solo pochi vaccini obbligatori (o forse anche no, vedremo). I “Liberi e Uguali” di Grasso vorrebbero abolire le tasse universitarie.
Chi evita le promesse scoppiettanti è solo il Pd, o quel che ne resta, che si affida a giornalieri comunicati istituzionali per farci sapere quanti posti di lavoro (precari) ha creato, l’aumento dei consumi dell’uno per cento (incredibile!) e le stime presunte dell’aumento del Pil dello zero e qualcosa per cento (ma il debito pubblico continua a crescere, chissà come mai…).
E con tutte queste promesse hanno fatto incavolare pure i vescovi italiani, che si sono sentiti minacciati da quella che è stata vista come una vera invasione di campo: la Cei ha tuonato “Basta con le promesse di miracoli”, rivendicando alla Chiesa il diritto esclusivo di occuparsi di apparizioni, miracoli, annessi e connessi.
Per il resto tutto è come prima, a iniziare dalla piattaforma Rousseau dei grillini che non funziona (o forse funziona fin troppo bene): gli iscritti votano on line ma tanti candidati, inspiegabilmente, spariscono dagli elenchi, novelli desaparecidos in salsa italiana. La spiegazione è semplice: chi controlla la piattaforma ha il diritto (naturalmente democratico, ci mancherebbe) di escludere a suo insindacabile giudizio i candidati su cui aleggia qualche dubbio, fondato o meno, o su cui non si posano le simpatie del padrone della ferrovia. E poi credono di presentarsi come un movimento democratico!
La vera battaglia democratica è quella che si sta svolgendo a Gela e nei collegi di Caltanissetta e Agrigento, dove i circoli locali del Pd minacciano fuoco e fiamme se i candidati non verranno scelti tra i “compagni” del territorio. Sembra infatti che i vertici di Palermo e Roma vogliano ricandidare Daniela Cardinale (a sinistra nella foto, con la grillina Azzurra Cancelleri, sorella del più famoso Giancarlo, deputato all'Ars)), figlia di quel Totò Cardinale, oggi factotum di Sicilia Futura ma in passato potente ministro democristiano.
La “figlia di” negli ultimi cinque anni si è vista ben poco nel territorio, non si comprende bene quale funzione abbia svolto in Parlamento, e quindi via con la battaglia contro il nepotismo: “Smettiamola con le candidature dei parenti, con il nepotismo” – hanno tuonato il deputato regionale Arancio, cugino di Speziale, e il segretario Pd di Gela Di Cristina, genero di Speziale. I quali hanno chiarito la protesta assicurando di avere un ottimo nome da candidare, ad oggi avvolto dal mistero: vuoi vedere che magari è proprio Speziale?
Più tranquillo il centrodestra locale: se andrà in porto la candidatura (e l’elezione) di Mancuso al Parlamento, Gela potrà festeggiare il ritorno all’Assemblea regionale di Pino Federico. Si ricomporrà quindi la coppia di deputati regionali, Arancio e Federico, che ha rappresentato Gela negli ultimi cinque anni e che tanti e importanti risultati ha ottenuto per la nostra città e per il comprensorio. Come? Non li ricordate? Ma fate uno sforzo di memoria, buon Dio, vedrete che qualcosa salterà fuori!