Sessanta giorni di tempo sono i termini che la Corte dei Conti ha concesso al Comune di Gela per apportare i correttivi onde evitare il default.
Due mesi che equivalgono grosso modo ad otto settimane e mezzo. Ne è già trascorsa una, la prima, con il nulla di fatto quale esito scontato, o quasi, considerato che forse solo qualcuno, se non proprio nessuno, ne è rimasto sorpreso.
L’amministrazione doveva presentare il rendiconto 2021 entro il 17 marzo ma non ha ancora concluso l’accertamento dei residui che ne è la base. Il consiglio comunale, o meglio l’opposizione che è maggioranza qualificata (2/3 del consiglio) non ha apprezzato. Per cui, sui correttivi come su Pef e Tari, a chi governa (amministrazione) tocca fare le proposte, a chi controlla e valuta con delibera (consiglio), tocca approvarle o meno.
Al di là delle parole e presunte aperture, cioè, le posizioni rimangono distanti tra chi (amministrazione) non porta documenti ed atti e chi (consiglio) non vuole limitarsi a una successiva ratifica al buio degli stessi. In un intreccio “mortale” tra la questione dei correttivi, quella del Pef e persino quella della Ghelas.
Ma se per il Pef/Tari e la Ghelas, si possono riproporre le stesse pezze degli ultimi anni, cioè le proroghe dei contratti, per i correttivi non c’è possibilità di proroga. Di questo passo, il dissesto è alle porte. Il sindaco, l’assessore al ramo, i consulenti ed un settore senza ancora un vero dirigente a capo, devono presentare un pino di rientro annuale, dal deficit attestato nel consuntivo 2021. Ovvero, in alternativa, un piano di riequilibro, altrimenti definito “predissesto”, la cui condizione necessaria è però l’approvazione anche del rendiconto 2022 (che vale anche come bilancio di previsione) entro il 30 aprile.
Una situazione a dir poco ingarbugliata che il consiglio comunale avrebbe potuto benissimo evitare di affrontare interrompendo lo scorso autunno quest’esperienza amministrativa, per ridare voce ai cittadini, attraverso la sfiducia al sindaco. Diciamola tutta, un’intera città è in attesa di conoscere tali correttivi, se e quando saranno ufficializzati, anche per capire cosa ci saremo evitati rispetto ai correttivi più o meno gravosi che avrebbe proposto il commissario straordinario, visto dalle forze politiche come il male assoluto da evitare.
Un capitolo, quella della sfiducia, che è tornata a riaprire la Dc di Cuffaro, con le dichiarazioni possibiliste sulla decima firma rilasciate dal coordinatore cittadino, Natino Giannone, cui però ha fatto subito da contraltare la titubanza mostrata dal consigliere Vincenzo Cascino a mettere il proprio autografo.
Del resto, quella firma l’avrebbe già dovuta mettere il consigliere di “FdI”, Giuseppe Caruso (nella foto) che però, dal giorno del giuramento (in surroga alla dimissionaria Sandra Bennici) ad oggi, non si è più mai visto in aula consiliare.
Sono passati 9 mesi come quelli per mettere al mondo nuove vite. Così tanti mesi da farlo diventare un caso: “il consigliere fantasma”. La domanda che un po’ tutti si pongono, è d’obbligo: dopo 9 mesi di assenza continua, perché Giuseppe Caruso è ancora consigliere comunale? Perché non è decaduto? Perché alimentare tra i più maliziosi il sospetto che la non decadenza del “consigliere fantasma” convenga al sindaco per evitare così di andare incontro alla mozione di sfiducia sul suo operato?
Noi la domanda l’abbiamo girata al presidente del consiglio comunale, Totò Sammito. «Glielo spiego – ha replicato Sammito – con le stesso parole che ho utilizzato nella mia risposta scritta alla stessa domanda che mi ha posto il primo dei non eletti in “Fratelli d’Italia”.
Il consigliere Caruso ha motivato sempre le sue assenze, o per lavoro, o per malattia, a volte per entrambe le cause ostative, con cui ha comunicato, giustificandosi, l’impossibilità a presenziare. Il regolamento – ha poi specificato –dice che dopo 5 sedute consecutive sullo stesso ordine del giorno, ovvero tre sedute consecutive con ordini del giorno diversi, su richiesta di uno o più consiglieri comunali, ovvero ancora su proposta del presidente, può essere portata in aula e messa ai voti l’eventuale decadenza. E fino ad oggi, ad ogni convocazione, il consigliere – ha concluso Sammito – ha presentato puntuali e motivate giustificazioni».
Alla luce di ciò, potremmo definirlo un caso limite a tutti gli effetti. Ma si potrebbe obiettare che un consigliere comunale che non mette piede in consiglio per un lasso di tempo congruo, giustificato o meno, la decadenza dovrebbe scattare automaticamente. Basta solo mettere mano al regolamento e provvedere: non si può, a nostro avviso, lasciare il civico consesso monco nella rappresentanza … a tempo indeterminato.