Il gelese Marcello Infurna non ce l’ha fatta nella corsa al consiglio regionale della Lombardia. Nel pieno del suo secondo mandato di fila da sindaco di Certosa di Pavia, Infurna si è piazzato al secondo posto nella lista del Partito democratico a cui non è scattato nessuno dei quattro seggi del collegio pavese, andati tutti ad appannaggio
della coalizione di centro destra (uno a testa per “FdI”, “Lega”, “Fi” e “Lombardia ideale-Fontana presidente”). In tutto il collegio, coincidente con la provincia di Pavia, sono state 2.947 le preferenze a suo favore.
Infurna ha immediatamente inviato un messaggio a parenti, amici e sostenitori: «voglio ringraziare di cuore – ha commentato a caldo - ognuno di voi per il sostegno e per l'affetto che mi avete sempre dimostrato, anche in questa incredibile avventura. Non posso nascondere – ha ammesso - un pizzico di dispiacere per non aver vinto nella Regione Lombardia con Majorino, dopo 28 anni di mal governo e, personalmente, nel collegio. Però, la netta sconfitta della coalizione ed il crollo dell’affluenza ci impongono una seria riflessione, anche se per quanto mi riguarda la performance è stata davvero importante con 3000 elettori che credono in una politica diversa e che certamente meritano una doverosa attenzione. Il Pd – ha proseguito - a Certosa con il 48,29% ha il dato più alto in provincia, grazie ai miei concittadini che mi hanno onorato di 632 preferenze, così come in tanti altri comuni e tante importanti e significative testimonianze di cari e grandi amici, amministratori e non solo, che ringrazio con infinita stima affetto ed enorme, enorme riconoscenza. Oggi si chiude un bel capitolo, di una storia che non ha ancora scritto la parola fine, ricarichiamo le pile e si riparte di slancio. Un grazie speciale – ha concluso – va alla mia dolce metà, meravigliosamente instancabile, che ancora una volta ha saputo dimostrarmi il suo amore e che donna straordinaria sia».
Alla presidenza della regione lombarda è stato confermato l’uscente Attilio Fontana, con il 54% dei voti, a capo della coalizione di centrodestra (“FdI”, “Lega”, “Fi”, “Lombardia ideale-Fontana Presidente” e “Noi Moderati-Rinascimento Sgarbi-Fontana presidente”) che ha incassato 49 (includendo lo stesso Fontana eletto di diritto) degli 80 seggi. Il principale avversario, Piefrancesco Maiorino, ha raggiunto il 34% dei consensi, a capo della coalizione di centrosinistra (“Pd”, “M5s”, “Patto civico Maiorino” e “Alleanza Verdi e Sinistra”) che ha conquistato 24 seggi (compreso lo stesso Maiorino eletto di diritto). L’outsider della vigilia, Letizia Moratti, ha sfiorato il 10%, candidata dal terzo polo (“Azione/Iv”, “Lista Moratti presidente”) a cui sono andati i restanti 7 seggi.
Quasi identifica la partita che si è svolta nel Lazio, anzi a dire il vero non c’è stata partita anche nella regione della capitale. Il nuovo presidente è Francesco Rocca che si è imposto con il 54% dei consensi, a capo della coalizione di centrodestra (“FdI”, “Lega”, “Fi”, “Lista Rocca Presidente” e “Noi Moderati-Rinascimento Sgarbi-Rocca presidente”) che ha ottenuto 30 seggi, contro Alessio D’Amato, fermatosi al 33%, sostenuto dalla coalizione di centrosinistra (“Pd”, “Azione/Iv”, “Lista D’Amato presidente”, “Democrazia solidale”, “+ Europa”, “Psi” e “Alleanza Verdi e Sinistra”) a cui sono stati assegnati 15 seggi (compreso D’Amato eletto di diritto). Abbondantemente sopra il 10%, infine, il dato di Donatelli Bianchi, candidata del “M5” e “Polo progressista” che si consolano con 5 seggi.
Il dato più eclatante rimane, in ogni caso, l’affluenza. Tra il voto in Lazio e quello in Lombardia, due campioni regionali altamente rappresentativi, sotto tutti i profili, la partecipazione alle urne è oscillata tra il 37% ed il 40%, con un crollo verticale di oltre il 30% rispetto alle elezioni precedenti. Un dato destinato a non passare inosservato nei mesi successivi, perché quando va a votare un terzo degli aventi diritto, comincia davvero ad essere troppo evidente, tanto da non poterlo più nascondere, che non esiste evoluzione e/o progresso in una società la cui autoreferenziale classe politica continua a balbettare ed incespicare sulle riforme, a 34 anni di distanza dal crollo del muro di Berlino e della “presunta” fine della “prima” Repubblica.