Laureato in pedagogia, insegnante e dirigente scolastico, nonché a sua volta formatore di docenti, con la passione per la letteratura coniugata alla musica, la predilezione per la poesia ed i sonetti in particolare e, non ultimo, il vizio della politica, sperimentato da consigliere comunale dapprima nella natia Milena e successivamente a Gela, città che lo ha adottato.
Nel mezzo, l’esperienza al Senato della Repubblica con la discesa in campo nel 1994 di Berlusconi. Oggi in pensione, Gioacchino Pellitteri (nella foto), personalità che non è certo passata inosservata nella Gela repubblicana, è tutto questo (e non solo) e ce lo racconta in quest’intervista.
– Cosa è stata, per lei, la scuola?
«La scuola, per me, è stata “vita”, anche palestra, laboratorio, esperienza, ma soprattutto “vita”. Considerato che non ho frequentato la scuola materna, sono stato dentro la scuola, includendo l’università, per 61 anni, dal 1958 al 2019, ma adesso mi hanno promosso alla pensione, anche se conservo contatti e collegamenti significativi. In essa ho appreso, insegnato e diretto sforzandomi di seguire una linea di continuità critica, per cui, considerata l’evoluzione dei tempi, ho imparato secondo i metodi del tempo, ho insegnato diversamente da come ho ricevuto l’insegnamento e, soprattutto, per 26 anni, ho diretto le scuole affidatemi, almeno credo, in maniera partecipata, democratica e aperta, con sensibilità e ascolto attivo, senza mai alzare la voce, senza mai offendere qualcuno e cercando di risultare simpatico a tutti, anche a quelli che non erano fatti per la scuola. Sì, la scuola è vita, infatti a scuola, quale che fosse la mia funzione, ho sempre continuato a imparare, da tutto l’ambiente e da ciascun operatore».
– Quanta soddisfazione le ha dato aver contribuito a formare moltissimi docenti?
«Tantissime. Due sono le definizioni in cui mi riconosco: sul piano professionale è quella di “formatore di formatori”, sul piano personale, invece, quella di “soluzioni, non problemi”. La prima mi faceva sentire, pur da moderato, rivoluzionario e innovatore, in quanto mi sforzavo di fornire ai docenti strutture culturali di riferimento e modelli pratici di comportamento.
L’obiettivo era, per un verso, guidare i giovani a comprendere la scuola, il suo funzionamento, i programmi-indicazioni-linee guida e, per un altro verso, di fare in modo che gli insegnanti non insegnassero come avevano ricevuto l’insegnamento, ossia in modo tradizionale, ma andassero oltre e sposassero le didattiche innovative. Spero di esserci riuscito, anche perché mi sono posto sempre a supporto di chiunque avesse bisogno di un consiglio».
– Quando nasce la passione per la poesia ed i sonetti in particolare?
«Ce l’ho da sempre, in virtù del senso innato per la musicalità e il ritmo. Quando ero piccolo, studiavo nel negozio di mio padre, che era una sorta di circolo culturale per analfabeti. C’era un vecchietto totalmente analfabeta (‘u zi Pinu ‘u fatturi) che ogni giorno si fermava e recitava infinite strofe di canti popolari, detti, poesie. La passione per i sonetti è dovuta a Trilussa, che coniuga sintesi descrittiva e riassuntiva, oltre che ironia».
– Cosa l’ha spinto a scrivere “Il Vangelo secondo San Remo con la benevola compiacenza di San Gennaro”?
«Come ha scritto nella presentazione l’allora vescovo di Piazza Armerina, S.E. Mons. Michele Pennisi, ogni buon cristiano dovrebbe scrivere un suo vangelo e personalmente l’ho fatto, benché in un modo un po’ anomalo, vale a dire utilizzando le musiche e i motivi di circa 300 canzoni di musica leggera (ma anche lirica, popolare e classica). Ne sono entusiasta, mi commuovo ogni volta che ne canticchio qualcuna e spero di riuscire a farlo rappresentare integralmente.
In fondo, mette insieme due aspetti delle nostre radici culturali: le canzoni e la vita di Gesù».
– La Politica tra passione ed esperienza sul campo. Cosa le ha insegnato?
«Gli uomini si concedono alcuni e diversi vizi. Io amo dire: meglio la politica, che ho concepito come servizio agli altri per organizzare la vita dei cittadini e la società, che altri vizi. Anche la passione politica è nata in quel cenacolo culturale di Milena ed era, come è, basata sulla dottrina sociale della chiesa con aperture liberali e senza chiusure stataliste.
Sì, ringraziando quanti hanno creduto in me, ho potuto esprimere il mio “servizio sociale” da consigliere comunale tanto a Milena quanto a Gela; poi, grazie all’idea del mio amico Emilio Tallarita e al sostegno di alcuni suoi colleghi consiglieri provinciali sono stato candidato al Senato e sono stato eletto. Cosa mi ha insegnato?
Che non è fatta per le anime candide; che è meglio essere il primo in un villaggio che il millesimo a Roma; che ho creduto in un sogno liberale rimasto tale; che la Democrazia cristiana non andava smantellata; che Forza Italia andava affidata a politici aziendalistici come avvenuto in Sicilia; che non ci si può affidare a chi dice di essere onesto; che servono ideali e competenza. Potrei continuare…»
– Come spiega la sua recente adesione a Cantiere popolare?
«Premesso che sono nato democristiano (cresciuto all’opposizione interna al partito), avendo anche il riconoscimento di guidare il dipartimento regionale della formazione. “Cantiere popolare” è stata una costola di “Forza Italia”, quella moderata e centrista, quella popolare, quella non aziendalista.
Per me, essere centrista significa interpretare il significato profondo della Costituzione italiana (che, con dei miei figli, ho riscritto e commentato, ovviamente in sonetti), ossia assicurare libertà, uguaglianza e partecipazione, con il cemento della solidarietà. E credo che “Cantiere popolare” possa riuscirci, specie se, come propugnato da Saverio Romano, le tante cellule della diaspora democristiana riusciranno a unirsi per dare voce al moderatismo che è alternativo alla sinistra post-comunista, alla destra sovranista e al qualunquismo malpancista».
– Il “Civismo” deve essere alternativo o coesistere con il “partitismo”?
«Il civismo, quale si esprime soprattutto a livello locale, è una dimostrazione del fallimento dei partiti politici, la cui funzione oggi è messa in discussione sia per le vicende di “tangentopoli” sia per la mancata risposta a tutta una serie di problemi economici e sociali. Ma la soluzione civica è aleatoria, quasi qualunquista, localizzata.
Certo, i partiti stanno male, non sono percepiti efficienti ed efficaci, per cui la gente, quando può, preferisce organizzarsi in maniera alternativa ai partiti o costringendoli a seguirli a ruota. A livello nazionale, credo che i partiti debbano riprendere il proprio ruolo di guida del paese».
– Cosa ne pensa dell’attuale amministrazione Greco?
«Non ne sento parlare bene, ma ritengo che qualsiasi sindaco si troverebbe in difficoltà, specie per interventi esterni che sono mirati solo alle carriere e alle poltrone e non alla soluzione dei problemi. La conferma degli assessori ne è un esempio.
Un altro svantaggio di Gela sta nell’atteggiamento della politica palermitana. Vi sono partiti, come Forza Italia, che non si sognano nemmeno di dare sviluppo (temendo nuove guerre di mafia?) a Gela e, se devono fare qualcosa, si affidano a quelli che decide Miccichè, vanificando il voto che è stato dato ai locali, anche se nisseni, che a questo punto è anche superfluo votare».
– Gela ha un futuro?
«Gela ha certamente un futuro perché ha il mare, ha chilometri di costa, ha una campagna fertile, ha una cultura industriale in evoluzione, ha una storia e ha tante belle intelligenze. Confido molto nelle giovani generazioni, sperando che vadano oltre la miopia dei partiti e clan politici, dei piccoli vantaggi della poltrona, del rapporto vicinale, del voto clientelare.
Forse è il caso di stringerci fra noi, dialogare di più e impedire ai forestieri di illudere, promettere mari e …porti, prendersi i voti e poi cambiare i vecchi amici con nuovi amici, che saranno sostituiti con altri nuovi e così via, senza mai concretizzare progetti importanti, ma solo piccoli favori personali. Qui, il civismo potrebbe avere un senso».