Domenica e lunedì gli italiani si sono recati alle urne in occasione del referendum costituzionale sulla riduzione dei parlamentari (da 930 a 600, di cui 400 alla Camera e 200 al Senato).
Ha votato poco più della metà dell'elettorato, il 53,84%, con la Sicilia che ha fatto segnare il dato di affluenza più basso, con il 35,39%. Hanno vinto i Sì con il 69,64%, contro il 30,36% dei No.
La riforma è dunque passata, ma nell'indifferenza di quasi la metà degli italiani elettori, in particolare nel sud e nelle isole.
Il dato è ancora più clamoroso a Gela che registra l'affluenza più bassa fra le maggiori città siciliane: il 28,38% (in città ha stravinto il Sì con l’82,82%; il No al 17,18%). Un dato fedelmente rappresentativo del quadro partitico attuale cittadino. Partiti che sopravvivono solo se sostenuti dai livelli superiori e che hanno abdicato a livello locale, denotando uno scarsissimo radicamento ed una rinuncia persino alla mobilitazione, lasciando spazio ad un civismo dietro il quale si camuffano, con l’effetto di condizionarne respiro (corto) ed azione (approssimativa). In città, l'assoluta assenza di dibattito pre-voto referendario e il successivo risultato dell'affluenza, lo confermano inconfutabilmente.
Il contestuale voto regionale attesta il modesto riscontro pentastellato, non solo nel correre da soli ma anche quando sperimentano l’alleanza con il centrosinistra nella Liguria di Grillo. A blindare il governo è invece il Pd che ha operato il sorpasso ed è il primo partito in Italia. Alle sue spalle la Lega e FdI. Il partito di Meloni è quello che è cresciuto di più sottraendo consenso nell’area di centrodestra a Fi. Il partito parlamentare di Renzi, Italia viva, rimane per lo più un’incognita.