Ma le regole vanno rispettate? Sempre? Vediamo un po’, perché qualche distinzione va fatta. “Dobbiamo imparare bene le regole, in modo da infrangerle nel modo giusto” – dichiarava tempo fa il Dalai Lama.
Le “regole”, di qualunque tipo esse siano, non sono qualcosa di marmoreo ed immutabile, ma sono soggette a modifiche ed evoluzioni, che quasi sempre si verificano perché c’è chi le contesta e le trasgredisce. Sono espressione dei gruppi di potere dominanti (siano essi politici, militari, religiosi, ecc.) ed è ovvio che ci sia chi non è d’accordo.
La liberazione degli Stati Uniti dalle leggi razziali iniziò quando una donna nera rifiutò di seguire le regole vigenti e andò a sedersi, su un autobus, in un posto riservato ai “bianchi”.
E proprio Martin Luther King ci insegna che “un individuo che infrange una legge che la sua coscienza gli dice essere ingiusta, e che volentieri accetta la pena del carcere in modo da svegliare la coscienza della comunità sulla sua ingiustizia, sta in realtà esprimendo il più alto rispetto per la legge.”
Ringrazio il destino che mi ha fatto nascere in Italia, un Paese che pur con tante difficoltà e problemi riesce ancora a mantenere spazi di libertà: con la testa dura che mi ritrovo, se fossi turco sarei probabilmente rinchiuso in un tetro carcere di Istanbul, se fossi russo sarei in un campo di correzione in Siberia, se fossi venezuelano forse sarei già morto.
Dunque, trasgredire le regole si può e si deve se si ritengono ingiuste (e ovviamente badando bene a non danneggiare il prossimo).
Chi trasgredisce di solito viene punito e sanzionato dal potere costituito. E’ quello che è avvenuto a Milano, dove i ristoratori disperati per due mesi di chiusura protestavano chiedendo di potere tornare a lavorare. Erano in una grande piazza, tutti con le mascherine. Ognuno seduto su una sedia a due metri di distanza dall’altra.
Non hanno trasgredito le regole in vigore sul distanziamento fisico, ma i solerti Vigili Urbani hanno comunque multato tutti per “assembramento”. Perché chi protesta, nonostante si attenga alle regole, è comunque da punire e schiacciare. State zitti e non disturbate.
E non può mancare un accenno alla questione delle province siciliane. Qui il discorso è da indagine psichiatrica: i politici regionali stabiliscono le regole e poi, loro stessi, non le rispettano. Da manuale.
Passiamo, come sempre, al nostro giardinetto gelese. Dal 4 maggio centinaia di gelesi, come impazziti, sono usciti dall’isolamento per invadere le vie cittadine (con spiccata preferenza per il Lungomare).
Tutti vicini, con e senza mascherina, a chiacchierare, ad abbracciarsi, a baciarsi. Il tutto senza seri controlli da parte delle forze dell’ordine, e con gravissimi rischi per la salute pubblica. Gli assembramenti proseguono incessanti di fronte alle banche e di fronte a tanti bar, in barba alle regole per evitare i contagi da coronavirus.
Quindi i gelesi sono un popolo di trasgressori delle regole? Certo, ma non per motivi di coscienza, come diceva Martin Luther King, ma per motivi di incoscienza. Cervelli in fuga, non perché emigrati, ma perché da tempo hanno abbandonato le teste che li contenevano. Un misto di superficialità e di strafottenza verso sé stessi e gli altri.
Ci avviamo, si spera, alla riapertura delle attività imprenditoriali. Gela dovrà ripartire iniziando da una situazione già abbondantemente compromessa, e non sarà facile. Non cvi resta che sperare.