Qualche giorno fa, alle 19,30 della sera. Passeggiata in Corso Vittorio Emanuele, tra pochi passanti e i soliti ragazzini che viaggiano ad alta velocità sulle biciclette elettriche.
Osservo la desolazione dei tanti negozi ormai chiusi: quello che qualcuno ancora considera “il salotto della città” non è altro che una sorta di villaggio fantasma, tipo quelli abbandonati dai minatori dell’Arizona dopo l’esaurimento delle miniere.
Che fare per invertire la rotta? Ed è a quel punto, come una folgorazione, che arriva la pazza idea. Sempre che sia veramente pazza. Vediamo.
Negli ultimi anni in Italia hanno chiuso i battenti migliaia di esercizi commerciali e di botteghe artigiane. Colpa in parte della crisi economica, ma è il gatto che si morde la coda. Se un esercizio chiude, il titolare non pagherà più le tasse che versava allo Stato, non avrà più dipendenti sui quali lo Stato incassa imposte e contributi, non muoverà più il proprio indotto di fornitori e servizi: le finanze statali e comunali si impoveriscono sempre più, aumenta la disoccupazione, aumenta anche ‘ulteriore esborso statale per reddito di cittadinanza o altri sussidi di qualunque genere.
A fronte di un’economia locale che si impoverisce sempre più, i giganti delle vendite on line prosperano e arraffano utili per miliardi di dollari o di euro. Certo, i prezzi di Amazon, Alibaba, Zalando e gli altri colossi mondiali sono più convenienti rispetto a quelli dei negozi. Poi le tasse le pagano in qualche paradiso fiscale e il gioco è fatto: non possono temere concorrenza alcuna.
Spesso il consumatore, che è furbo, si reca in negozio per provare un prodotto, poi saluta dicendo che “ci fa un pensierino”, e infine fa l’acquisto dai colossi on line risparmiando il 30 o 40 per cento.
Ed ecco l’idea pazza: una tassa fissa sulle vendite on line dei colossi, pari al cinquanta per cento del costo del prodotto acquistato. Ciò renderebbe non più conveniente l’acquisto on line rispetto agli esercizi commerciali reali, e comunque, in caso di vendita on line, lo Stato incasserebbe velocemente un bel po’ di tasse. Ma soprattutto, mancando la convenienza per gli acquisti on line, rifiorirebbe il commercio “reale”, nuovi esercizi aprirebbero i battenti, nuovi lavoratori verrebbero assunti, tante famiglie avrebbero di che vivere serenamente.
Gli studi in materia prevedono che il commercio on line dei grandi colossi aumenterà, nei prossimi anni, del 30 o 40 per cento all’anno: se non si ferma questa tendenza la crisi economica è destinata ad accentuarsi, e i centri storici saranno sempre più vuoti e desolanti. Tassare le vendite on line dei colossi diventa un modo per invertire la rotta.
E’ fattibile? Credo di sì: se Trump tassa tranquillamente con i dazi i prodotti europei (per favorire i produttori americani) non vedo perché non si possano tassare le vendite on line dei colossi commerciali.
L’idea forse è pazza, ma forse non tanto. Io la lancio, vediamo se qualcuno la raccoglie.