E’ risaputo che per ottenere i migliori risultati, in ogni campo della vita umana, è opportuno “fare squadra”, aggregarsi, unirsi per aumentare le forze.
Ma questo a Gela difficilmente avviene, perché a dominare è l’individualismo: ognuno tende a creare il proprio “orticello” nel quale si erge a padrone e non tollera intrusioni di sorta.
Questo avviene nella vita politica locale, dominata da una serie di capi e capetti, ciascuno col proprio codazzo di amici, parenti e clienti a supporto, ciascuno in rappresentanza di un partitino o di un non meglio precisato “movimento” che non si capisce che cosa abbia di diverso dagli altri se non la necessità di “marcare il territorio”, conservare un pizzico di potere da barattare nel migliore dei modi.
Unirsi? Aggregarsi per combattere insieme contro i guasti e i disservizi, per risolvere i problemi della città? Ma neanche per sogno, figuriamoci: ognuno, nel suo piccolo (o piccolissimo) ha la propria ricetta, e si continua a remare ognuno per proprio conto.
L’infezione dell’individualismo ha contagiato anche il calcio gelese, che vedrà al via dei prossimi campionati, in prima e seconda categoria, ben tre compagini. Ovviamente non ci resta che augurare a tutte e tre le squadre il migliore successo, ma tre squadre di Gela nei superdilettanti mi sembra proprio una barzelletta.
Perché, come detto, anche nelle squadre di calcio manca la capacità di “fare squadra”, di unirsi, di realizzare un progetto forte che riporti Gela nei palcoscenici che le competono, ovvero nei campionati di Lega Pro: se ne riparlerà, se tutto va bene, fra cinque o sei anni, ammesso che in questo lasso di tempo si riescano ad ottenere le quattro o cinque promozioni necessarie.
Personalmente ho smesso di frequentare i campi sportivi nel 2011, quando il Gela di Angelo Tuccio (che avrà avuto le sue buone ragioni) ha rinunciato alla Lega Pro per ripartire da zero. Mi sono ripromesso di tornare a seguire la squadra cittadina soltanto una volta che fosse tornata in Lega Pro, e ho sperato che il momento potesse arrivare presto. Ma la rinuncia dei fratelli Mendola mi riporta alla casella di partenza, come il gioco dell’oca: chissà se potrò, prima o poi, tornare al “Vincenzo Presti”.
Certo è che, se nella nostra città continuiamo a dividerci anziché unirci, a pensare all’io anziché al noi, non vedo grande futuro per la comunità. E non solo nel calcio.