Politicamente scorretto/ Siamo tutti presunti mafiosi

Politicamente scorretto/ Siamo tutti presunti mafiosi

Sono sempre più convinto che gli eccessi e i guasti della burocrazia siano il più grande freno alla crescita dell’economia.

Il bello è che ogni qual volta si strombazza un provvedimento di “semplificazione”, chissà perché, le cose si vanno a complicare.
Ma è normale: chi fa parte del sistema burocratico deve per forza rendere le cose difficili, per giustificare la propria esistenza: se tutto fosse facile e comprensibile, la burocrazia sparirebbe, e con essa quei funzionari e quegli impiegati (non tutti, per fortuna) impegnati giornalmente a creare difficoltà ai cittadini

Per quanto è dato sapere, l’imprenditore gelese Riccardo Greco si è suicidato, qualche giorno addietro, dopo che alla sua azienda erano stati revocati importanti appalti sulla base di una interdittiva antimafia rilasciata dalla Prefettura di Caltanissetta. Greco aveva lottato, aveva fatto ricorso al Tar, avrebbe potuto lottare ancora, ma evidentemente la sua forza di combattere contro quel muro di gomma era ormai finita. Ha così compiuto un gesto definitivo, magari sperando che potesse essere di monito ad altri.

Ma parliamo di questa interdittiva antimafia, frutto di una normativa fatta male e di una sua applicazione, da parte delle prefetture, fatta ancora peggio.
E’ per me amaro dovere ricordare che, da questa rubrica sul “Corriere di Gela”, sollevai il problema nel febbraio 2006, ossia tredici anni fa, senza che nulla sia cambiato. Ne riparlai qualche anno dopo, ponendo l’accento sulla formula “non si può escludere che”, formula abbietta e vergognosa in uno Stato di diritto quale l’Italia crede di essere.

Un funzionario della prefettura può distruggere un’azienda semplicemente scrivendo, anche in mancanza di dati concreti, di prove, di condanne: “non si può escludere che l’azienda possa essere oggetto di tentativi di infiltrazione mafiosa”. Inconcepibile.

Ma scusate: soprattutto dopo l’affare Montante, per il quale sono indagati uomini delle forze dell’ordine e delle istituzioni, potrei affermare “non si esclude che il Prefetto di Caltanissetta sia il reggente di Cosa Nostra in provincia”? Oppure “non si esclude che il Presidente della Corte d’Appello di Caltanissetta sia a capo del racket della droga in Sicilia”? E’ fin troppo facile emanare provvedimenti con la formula del “non si esclude che”, bravi i burocrati della Prefettura.

Burocrati che, nel ridicolo tentativo di difendersi (ma ormai il danno era fatto), hanno diffuso un comunicato stampa per spiegare che le due interdittive antimafia nei confronti della Cosiam (l’azienda di Greco) hanno origine da “risultanze di indagine e processuali nate sulla scorta di dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia e riscontri probatori” relativi a gare d’appalto svolte tra il 1990 e il 1996. Dieci anni dopo Greco denunciò gli estortori, le estorsioni sono state provate e dall’ipotesi di collusione Greco è stato assolto. Dunque, Greco era “pulito”, il Tribunale gli aveva restituito decoro e dignità.

Ma c’è sempre un “ma”, perché la Procura Generale – ci fa sapere la Prefettura – ha impugnato la sentenza di assoluzione (udienza fissata per il 3 aprile) ed ecco perché, anche se assolto e quindi “pulito”, secondo i burocrati “non si può escludere che”.

Mi vergogno di una classe politica – senza distinzione alcuna – giornalmente impegnata nella strenua difesa del proprio potere, dei propri voti, dei propri orticelli, dei propri privilegi, che in tanti anni non ha trovato il tempo per modificare una normativa antimafia sbagliata e assurda, tra l’altro usata alcune volte anche per eliminare dal mercato imprese sgradite.

Mi vergogno del fatto che una simile normativa considera ogni cittadino “presunto mafioso” fino a prova contraria. Perché con il “non si esclude che” siamo tutti mafiosi in pectore. Inclusi prefetti, questori e magistrati. Scusate se è poco…