I migliori in campo per fermare il declino

I migliori in campo per fermare il declino

 Non vivo la città da tempo, non voglio fare esami a nessuno né dare lezioni a chicchessia.

So quanto sia difficile amministrare e governare e quanto, invece, sia facile raccogliere consensi blandendo il popolo, inventando soluzioni miracolistiche, proponendo l’impossibile, mettendosi di traverso su tutto.Mi è stato suggerito di leggere l’intervista concessa a questo giornale da Lillo Speziale (nella foto a destra e l'on. Arancio) l’ho fatto con curiosità ed interesse. Non vivo la città, ma non mi sento estraneo alle sue sorti.

Concordo con Speziale quando manifesta rammarico per il fatto che “nessuno sembra disposto ad interrogarsi sulla profondità della crisi sfociata con la chiusura dello stabilimento, cioè di una realtà produttiva ed occupazionale che aveva comunque definito un'identità, non solo economica, della città”.

Speziale vede, a ragione, una comunità smarrita, ed è persuaso che debba essere Gela a decidere le proprie sorti, il proprio destino, in un momento così delicato della sua storia. La via maestra sarebbe perciò “quella di coinvolgere questo piccolo cosmo di gente che fatica e porta la carretta in questa città, al fine di impegnarlo sul piano politico”.
Sono osservazioni che mi sento di condividere, ma costituiscono solo la cornice di una chiamata alle armi, non altro.

Le persone di forte ingegno, risolute e longeve, come Speziale, hanno l’obbligo – politico e morale – di guidare una mobilitazione dei saperi e delle intelligenze, senza infingimenti né timidezze, restando in seconda fila ove necessario. A me non indigna affatto, intendiamoci, alcuna autocandidatura se si hanno le carte in regola, ci si voglia arrotolare le maniche e tirare la carretta insieme ai tanti che a Gela fanno la loro parte nei luoghi in cui operano. A me non indigna nemmeno la politica, che è l’arte di ottenere il meglio nella condizione data, facendo gli interessi generali. Indigna il piccolo cabotaggio, l’intrigo, la rincorsa al gettone di presenza. Gela ha bisogno di dedizione, rispetto, serietà, competenza. Ha bisogno di creare il vuoto attorno ai quaquaraquà.

Deve battersi il petto, questo sì: ha molte colpe, ma anche molte attenuanti. E’ la metafora di tutto ciò che nel Mezzogiorno è stato fatto nel bene e nel male. Mentre i nostri alberi s’imbiancavano di veleno, le tute blu passeggiavano orgogliosi del ritrovato benessere economico lungo il Corso Vittorio Emanuele. Dall’oggi al domani maestri e braccianti sono diventati tecnici e operai specializzati, e sono andati in giro per il mondo a insegnare come si fanno le grandi opere…

Ci è stato richiesto di capire quel che avveniva sessanta anni fa, ed ora ci è richiesto di capire che cosa resta da fare per salvare dal declino irreversibile la città. Un declino che trova nel personale politico la sua rappresentazione. E’ paradossale che esso sia coinciso con la presenza di un cittadino di Gela alla massima carica istituzionale dell’isola.
Comprendo perciò la reazione degli elettori gelesi che hanno protestato e urlato la loro rabbia affidandosi al primo che capita, alle precedenti amministrative, purché non facesse parte della vecchia congrega. Ma ora la ricreazione è finita.

Solo i gelesi possono salvare Gela. Chi crede che non sia conveniente affacciarsi alla politica e dare una mano perché nuoce alla professione, al reddito, alla famiglia, commette un errore letale. Il declino impoverisce tutti, nessuno escluso: impoverisce imprenditori e professionisti quanto coloro che si arrabattono in cerca di fortuna. Vanno stanati i migliori e gettati nell’agone. Non è la fossa dei serpenti, ma il luogo in cui ragionare sul futuro.

Non è solo un problema delle èlite cittadine. Chi depone la scheda nell’urna per privilegiare un amico o ricambiargli un favore ricevuto, senza aver cura dei meriti che può mettere in campo, partecipa al declino quanto i mestieranti della politica.
Alle prossime amministrative si gioca una partita definitiva. Non si tratta dell’eterna emergenza da condividere e sopportare, ma di una agonia da interrompere. Occorre schiena dritta e voglia di verità.

Leggo sul Corriere di una interrogazione parlamentare, a firma di un deputato gelese, sulla delocalizzazione che l’Eni starebbe per compiere, realizzando negli emirati arabi una fabbrica che potrebbe restare a Gela. Quel deputato finge di non sapere, o non capisce, che l’Eni persegue i propri fini in un contesto internazionale, nel quale Gela è un granellino di sabbia. Non è su questo piano che si può vincere.

Voltare pagina vuol dire utilizzare le competenze tecniche e le risorse umane che la città ha saputo dare al Paese ed alle partecipazioni statali, realizzando ricerca e fabbriche del futuro, eco-compatibili, eco-sostenibili, d’avanguardia. Dovrebbero capirlo i caporioni dell’Eni che dopo avere sfruttato Gela, al pari della Nigeria o altro pezzo d’Africa, in maniera indecente, l’unico modo di venirne fuori con dignità per loro è aiutare la comunità a ridarsi una visione del futuro, con progetti concreti e tempi certi e rapidi.
Schiena dritta, dunque, e i migliori in campo. Si premi la forza politica che riesca a mettere da parte mestieranti, mezze tacche e imbroglioni. I candidati vanno “passati al setaccio” prima, e non dopo il voto.
Tutto il resto è noia.