Dalla terra al petrolio, l’ascesa del polo petrolchimico dell’Eni e l’abbandono della Gela rurale

Dalla terra al petrolio, l’ascesa del polo petrolchimico dell’Eni e l’abbandono della Gela rurale

Un’economia fondata sulla terra

Prima dell’insediamento industriale, Gela era una cittadina profondamente legata alla terra.

L’agricoltura rappresentava il cuore pulsante dell’economia locale, con il grano, il cotone e altri cereali a dominare i campi. La vita dei gelesi ruotava attorno ai ritmi delle stagioni, ai cicli delle colture e alle fatiche della terra. Era un’esistenza dura, ma radicata in una tradizione secolare di lavoro agricolo che garantiva una relativa stabilità economica alla popolazione. La proprietà terriera era il principale indicatore di ricchezza, e le famiglie erano solitamente coinvolte in attività agricole che andavano dalla semina alla raccolta, passando per la manutenzione dei campi e degli attrezzi.

Il contesto economico e sociale di Gela in questo periodo era caratterizzato da una forte coesione comunitaria, tipica dei centri rurali, dove le relazioni interpersonali erano scandite da valori tradizionali e da una visione del mondo ancorata alla religione e alle usanze locali. La vita quotidiana si svolgeva all’interno di questo microcosmo, in cui ogni individuo aveva un ruolo ben definito nella società.

L’arrivo dell’Eni: l’alba di una nuova era

Il panorama economico e sociale di Gela iniziò a cambiare radicalmente negli anni ’50, con l’arrivo dell’Ente Nazionale Idrocarburi (Eni), che decise di impiantare un complesso petrolchimico nei pressi della città. Questo evento segnò l’inizio di una trasformazione epocale, che avrebbe cambiato per sempre il volto di Gela.

Il polo petrolchimico, inaugurato nel 1960, portò con sé la promessa di modernità e sviluppo. Agli occhi di molti, rappresentava un’opportunità senza precedenti: la possibilità di abbandonare le dure fatiche della terra per un lavoro stabile e meglio retribuito all’interno dell’impianto industriale. La prospettiva di un “posto fisso” divenne il miraggio per cui molti gelesi decisero di lasciare le campagne e abbracciare la nuova economia industriale. Il passaggio fu radicale: in pochi anni, Gela vide un massiccio esodo di contadini dalle campagne, attratti dalla sicurezza economica offerta dall’industria.

Il numero degli abitanti di Gela raddoppiò nel decennio 1960-1970, passando da circa 40.000 a oltre 80.000 persone. Questo aumento vertiginoso della popolazione fu accompagnato da un cambiamento altrettanto repentino nel tessuto sociale della città. Famiglie intere si trasferirono dai piccoli centri rurali e dalle campagne verso Gela, portando con sé speranze e aspettative, ma anche generando nuove sfide per una città che non era preparata a gestire un’espansione così rapida.

L’abbandono delle campagne e il caos urbanistico

L’abbandono delle campagne da parte dei contadini non fu solo un fenomeno economico, ma anche un dramma sociale e culturale. Le terre che per secoli avevano sostenuto la comunità locale venivano progressivamente lasciate incolte o vendute a prezzi stracciati. Questo spopolamento delle aree rurali contribuì a modificare profondamente il paesaggio agrario della regione, con vasti terreni che divennero presto preda di speculatori fondiari.

Verso nord, ampie aree agricole vennero acquistate da imprenditori senza scrupoli, che le suddivisero in piccoli lotti di terreno, venduti come aree edificabili a prezzi esorbitanti. L’urbanizzazione di queste zone avvenne in maniera caotica e disordinata. Nacquero nuovi quartieri privi delle più elementari infrastrutture urbane: niente fognature, acqua corrente, illuminazione pubblica o scuole. Questi insediamenti abusivi crebbero senza alcuna pianificazione, trasformando il paesaggio di Gela in un mosaico di edifici precari e disorganizzati.

Il caos urbanistico che ne derivò portò a gravi problemi sociali e ambientali. La città, chiusa a est dal colosso industriale dell’Anic (Azienda Nazionale Idrogenazione Combustibili, un’azienda controllata dall’Eni), a ovest dal quartiere residenziale di Macchitella – costruito per ospitare le famiglie dei tecnici e degli ingegneri provenienti dal Nord Italia – e a sud dal mare, trovò come unica via di espansione possibile il nord. Ma l’espansione fu talmente rapida e disordinata che la città faticò a mantenere il passo con le necessità della sua crescente popolazione.

I cambiamenti sociali e le nuove dinamiche urbane

La trasformazione di Gela da cittadina agricola a centro industriale portò anche a profondi cambiamenti nelle dinamiche sociali. La città, che aveva vissuto per secoli in una relativa tranquillità, si trovò improvvisamente immersa in una nuova realtà fatta di traffico, inquinamento e alienazione urbana. Le vecchie relazioni di vicinato, fondate su legami di sangue e amicizia, si allentarono sotto la pressione di una nuova struttura sociale più complessa e stratificata.

L’arrivo di centinaia di tecnici e impiegati provenienti dal Nord Italia contribuì a creare una società divisa: da una parte, i nuovi arrivati, con il loro bagaglio di conoscenze tecniche e una mentalità più orientata al progresso e alla modernità; dall’altra, la popolazione locale, che cercava di adattarsi ai cambiamenti senza però perdere le proprie radici culturali. Questa divisione si manifestò anche a livello urbanistico, con Macchitella che divenne una sorta di enclave per i tecnici del petrolchimico, dotata di servizi e infrastrutture migliori rispetto al resto della città.

Parallelamente, la rapida crescita della popolazione portò alla creazione di nuovi quartieri che, pur nascendo per rispondere all’emergenza abitativa, finirono per trasformarsi in zone degradate. Le famiglie che si insediarono in queste aree dovettero affrontare enormi difficoltà, vivendo in case costruite in fretta e senza i servizi essenziali. L’assenza di una pianificazione urbanistica adeguata generò quartieri privi di spazi verdi, scuole, negozi e luoghi di aggregazione, contribuendo ad un aumento del disagio sociale.

Una città tra speranza e declino

Il sogno di un futuro prospero, alimentato dalla nascita del polo petrolchimico, lasciò presto spazio a una realtà ben più complessa. L’industrializzazione di Gela, pur portando benessere economico a breve termine, creò nel lungo periodo problemi strutturali difficili da risolvere. La mancanza di una visione di sviluppo sostenibile fece sì che le nuove generazioni crescessero in un ambiente caratterizzato da disuguaglianze, degrado urbano e alienazione.

Il quartiere di Macchitella, progettato per essere il simbolo della modernità e del progresso, finì per rappresentare una divisione sociale profonda, con un netto contrasto tra chi poteva permettersi di vivere in un ambiente curato e dotato di servizi, e chi, invece, era relegato in periferie abbandonate a sé stesse. Le aree a nord, nate dall’urbanizzazione selvaggia, divennero il simbolo di una città che aveva perso il controllo del proprio sviluppo, con gravi conseguenze sul piano sociale ed economico.

Le conseguenze ambientali e l’eredità dell’industrializzazione

L’impatto dell’industrializzazione non fu solo sociale ed economico, ma anche ambientale. L’insediamento del polo petrolchimico portò con sé un inquinamento senza precedenti, che incise profondamente sulla salute degli abitanti e sulla qualità dell’ambiente. L’aria, l’acqua e il suolo furono contaminati dalle attività industriali, con conseguenze che si fecero sentire negli anni successivi. Le malattie respiratorie e i problemi di salute pubblica aumentarono, mentre l’inquinamento del suolo rese impraticabili molte delle vecchie aree agricole.

(In’art 1 – continua)