Il gioco è da sempre oggetto di studi approfonditi, in particolare per ciò che riguarda gli svaghi dalle origini più antiche, come nel caso dei giochi di carte.
E’ la spia della cultura popolare, la cartina di tornasole delle tradizioni, perfino della mentalità, le abitudini e le consuetudini prevalenti. Non è solo passatempo, è tanto altro. Il gioco delle carte, in particolare, segna meglio di ogni altro gioco, la vivacità, il senso comune e i sentimenti più semplici.
Ogni popolo, ma anche alcune comunità, si distingue anche per la tipologia delle carte. Ci sono i tarocchi le carte siciliane e napoletane, quelle veneziane e dalmate eccetera.
Le carte siciliane si ispirano, per esempio, ai Paladini di Francia. Una stranezza, perché questa preferenza non è affatto indice di buona considerazione verso i francesi, che nella storia siciliana sono ancora “quelli del Vespro2, contro i quali i siciliani di Palermo, e non solo, si sollevarono dando inizio ad una rivolta sanguinosa.
Con le carte regionali siciliane è possibile giocare a briscola, scopa, scopone scientifico, tressette e tutti gli altri. Il Tressette, la T maiuscola gli spetta, perché è il gioco che più di ogni altro regala alla diligenza, alla memoria, ed alla “speculazione” dei giocatori vantaggi consistenti nella ricerca della vittoria. Accanto allo scopone scientifico, la scopa e la briscola, possiede un linguaggio parlato e delle locuzioni dialettali proprie, anche con il tempo si sono trasferite nel linguaggio comune. La più celebre è sulità è santità.
Letteralmente significa che la solitudine è una scelta santifica, cioè buona. A patto tuttavia che il giocatore solitario faccia bene i calcoli con le sue carte prima di proclamarla (non si può tirare indietro), guadagnandosi il vantaggio di scambiare alcune carte con quelle non distribuite. Una valutazione essenziale che permette di confrontarsi con gli altri giocatori, due o tre generalmente, con buone possibilità di successo.
La scelta giusta ed il gioco intelligente non assicurano la vittoria, però. L’imprevisto resta un elemento che concorre, seppure in misura contenuta, a determinare la sorte della partita, ed è grazie all’imprevisto (il favore delle carte), non solo alla qualità del giocatore, che il Tressette mantiene il suo fascino.
A Gela negli anni del dopoguerra fino agli anni ottanta, il Tressette è stato il gioco preferito, specie nei circoli e nei luoghi di incontro (nei circoli dei “civili”, invero, si privilegiava il ramino, con tutte le sue tipologie, che si gioca con carte francesi). Naturalmente in città come Gela, si giocava anche all’aperto, come altrove, spesso con puntate in denaro sonante. Scommesse clandestine? Gioco d’azzardo?
Niente di tutto questo, il Tressette è un’esperienza di socializzazione, prevale il gioco, le opportunità che esso offre ai giocatori per misurarsi con l’avversario, il divertimento, il piacere di trascorrere il tempo libero senza mettere a riposo la mente. Per queste ragioni, il Tressette affascinava anche i giovani, non solo gli adulti e le persone anziane, ricchi di anni e di esperienza.
La litigiosità, per gli errori dei compagni o altro, era ammessa, ma contenuta in un contesto di buone relazioni. Volava anche qualche parola grossa, ma la tensione si scioglieva presto senza lasciare traccia.