Gela, vittima dei centralismi e di se stessa

Gela, vittima dei centralismi e di se stessa

Una delle modifiche più rilevanti del sistema elettorale vigente è l'abolizione delle preferenze multiple.

Cancellò le cordate elettorali che permettevano di quadruplicare il risultato e suggerivano fratellanze solide all’interno dei partiti. Le diversità e i linguaggi, legittimi e salutari in ogni schieramento, segno di una democrazia interna vivace e utile, persero forza attrattiva, e con il trascorrere degli anni si piegarono alla postura relazionale più utile per farsi largo.

Chi sta con chi, insomma, piuttosto che progetti e obiettivi. La cordata elettorale, strumento principe dei leaders, tagliava fuori gli esterni al sistema correntizio, inquinava la politica e apriva autostrade alla cooptazione nelle rappresentanze parlamentari.

Naturalmente le preferenze che la permettevano furono accusate di essere un bubbone, per alcuni il male assoluto. Favorivano le fratellanze strutturate e organizzate, impediva a chi non ne faceva parte di partecipare con qualche successo alla gara elettorale, faceva lievitare i costi della politica, promuovendo una onerosa competizione interna.

Mettere mani al portafogli divenne un rito cui era impossibile sottrarsi. Quale portafogli? Quello privato era in sufficiente e, in ogni caso, era preferibile lasciarlo fuori dalla liturgia. 

I rifornimenti erano frutto di relazioni personali, affidate agli “operativi”, in gergo coloro che si facevano il lavoro sporco, indispensabile per affrontare la contesa. La distribuzione delle risorse spettava alle segreterie politiche; oggi è compito dei gruppi parlamentari grazie al referendum che abolì il finanziamento dei partiti. In entrambe le circostanze la ricerca delle fonti ed il reperimento delle risorse si avvalevano di meccanismi ben oleati e sicuri tanto da suscitare una sensazione di impunità. 

Nonostante i pesanti addebiti assegnati alle cordate, oggi viene invocato il ritorno alle preferenze. Non mancano le ragioni. Si è passati alla sponda opposta; il potere di aggregare gli “eleggibili” è passato alle liste bloccate, si vota solo il simbolo del partito e così facendo si accetta la lista dei candidati predisposta da una ristretta cerchia di notabili.

Vengono eletti coloro che stanno nei primi posti della lista, a seconda dei quozienti che la lista conquista. Si può prevedere perciò con modesti margini di errore già alla vigilia, sulla base dei sondaggi, nome e cognome degli eleggibili e di coloro che fanno solo…tapezzeria. L’attuale sistema, privato delle preferenze, non ha accresciuto, ma diminuito in modo vistoso, il potere decisionale del corpo elettorale, dato che demanda a pochi plenipotenziari la scelta di chi andrà in Parlamento e di chi ne rimane fuori. 

L’abolizione del finanziamento ai partiti ha trasferito i cordoni della borsa ai gruppi parlamentari. I costi per l’erario pubblico sono aumentati vistosamente, senza ridurre il ricorso a mezzi illeciti per il reperimento delle risorse. Le tangenti sono desuete, si è preferito sostituirle con le fondazioni, le consulenze. L’uso improprio dei rimborsi elettorali ha fatto nascere scandali e feroci polemiche. 

Se compariamo il sistema elettorale della prima repubblica con quello vigente per trarne qualche indicazione sullo stato dell’arte nel collegi di Gela (camera e Senato), non si possono nutrire dubbi di sorta: si stava meglio di gran lunga durante la prima repubblica.

Semplificando possiamo affermare infatti che durante la prima repubblica erano i grandi partiti storici, con le loro storie e regole democratiche, a dettare l’agenda delle rappresentanze locali, mentre oggi sono oligarchie irremovibili a decidere l’accesso alle assemblee democratiche. 

Voltiamo indietro di qualche anno, le ultime politiche. 

Forza Italia ha scelto i candidati nella ristretta cerchia degli amici del Cavaliere, ancora vivente. Agli elettori gelesi è spettato il privilegio di mandare alla Camera una candidata che vive ed opera da sempre nel milanese e che nella precedente legislatura si era fatta notare per la totale assenza nella Camera dei deputati, dove era stata eletta anche allora per volontà di Berlusconi.

Sull’aventinismo spogliato dei contenuti della protesta gli elettori gelesi, che sono tanti, hanno apposto il loro suggello, facendosi complici di un simile scempio del buon senso e della democrazia. Meglio Gela che San Pietroburgo, dove si vota accanto ai mitra? Questo è sicuro. Meglio pure le cordate piuttosto che le liste bloccate per la qualità della democrazia. 

Naturalmente, gli elettori avrebbero avuto la possibilità di bocciare la candidata assenteista e distante dal territorio, la democrazia si fa male da sé. Le motivazioni che accompagnano dentro l’urna l’elettore, talvolta con riluttanza, non hanno nulla a che fare con il profilo del candidato. Concorrono infatti un numero infinito di fattori nell’adempimento del dovere-diritto di voto, ma non  il fattore qualificante, il giudizio di merito sul candidato. 

Torniamo alle cordate? La questione della reintroduzione del voto di preferenza in Italia suscita dibattiti accesi. Da una parte, alcuni sostengono che il voto di preferenza consentirebbe ai cittadini di esprimere una scelta all'interno del partito prescelto, dando loro maggior potere e controllo sulle candidature. Dall'altra parte, vi è il timore che reintrodurre le preferenze potrebbe favorire ancora una volta la formazione di lobbies e accrescere il potere degli apparati, a discapito della meritocrazia e della competizione democratica.

Una possibile soluzione potrebbe essere quella di introdurre il voto di preferenza in modo limitato, ad esempio consentendo ai votanti di esprimere solo una preferenza aggiuntiva, anziché più di una.

In questo modo si potrebbe cercare di bilanciare il desiderio di maggiore partecipazione e controllo da parte dei cittadini con la necessità di evitare gli abusi e le distorsioni che possono derivare dalle cordate elettorali.

Tornando a Gela, fino agli anni settanta, con qualche sparuta eccezione, il comune più popoloso della provincia di Caltanissetta, cioè Gela, non riusciva ad avere una rappresentanza parlamentare perché i due partiti egemoni avevano regole non scritte che svantaggiavano le candidature scollegate dal vertice provinciale. A dettare le disposizioni nel comune più popoloso erano i cacicchi del capoluogo, che disponeva a Gela di un nutrito numero di fedeli esecutori delle volontà dei capicorrente.

Da un lato perciò il centralismo democratico, così si chiamava il sistema di partecipazione assegnato ai militanti e dirigenti del Pci, e dall’altro il correntismo esasperato della Dc e, replicavano modalità simili, tagliando fuori Gela. Negli Anni Ottanta e Novanta, tuttavia, qualcosa è cambiato: Gela ha potuto annoverare una nutrita rappresentanza parlamentare. 

Oggi il centralismo provinciale ha ripreso fiato anche a causa di una esasperata frammentazione all’interno dei partiti. L’antico passepartout del centralismo democratico e il correntismo democristiano vecchio stampo vanno ricordati con benevolenza. Le parole d’ordine né le cordate non hanno penalizzato le rappresentanze del territorio più di quanto lo facciano i partiti oggi.

La piramide da scalare è la stessa: vede in sequenza il centralismo provinciale, quello regionale e l’altro, romano-milanese. Roba da alpinisti del Nepal: magnifici sherpa, scalatori provetti, eppure passati alla storia come maggiordomi degli eroi dell’Occidente, prolifico di eroi a qualunque latitudine.