La farsa dell'abolizione delle province regionali, sostituite da sei liberi Consorzi e tre Città metropolitane, ha fatto sì che tutti e nove gli enti intermedi isolani, funzionino ai minimi termini da anni. Anzi, se vogliamo dirla tutta, di fatto sono fermi da un decennio.
L'immobilismo di quelli che dovrebbero fungere da cerniera tra comuni e regioni, è diventato un gran problema per la Sicilia. Oltre ai liberi Consorzi, in cui i commissari si sono stabilmente sostituiti a presidenti e consigli, anche le tre città metropolitane siciliane, praticamente non sono mai partite davvero perché, pur avendo i sindaci eletti, attendono di avere un consiglio eletto e non commissariato, per approvare i rispettivi statuti.
Se è vero che i commissari hanno approvato gli statuti dei sei liberi consorzi, è altrettanto vero che si è trattato, per larghissimi tratti, di un copia/incolla degli statuti delle ex province regionali, a conferma ulteriore che la riforma-farsa delle province regionali siciliane ha solo modificato la loro denominazione in liberi Consorzi comunali. Le Città metropolitane, invece, sono enti nuovi e diversi dalle province ed a quest'ultime - solo recentemente - si sono integrate nel disegno costituzionale. Nel caso delle tre città metropolitane, di conseguenza, non è possibile replicare gli statuti delle ex province regionali, ma è necessario riscriverli. Il che postula una discrezionalità politica che non può essere riconosciuta ad un burocrate (il commissario).
La verità di fondo, invero, è che la stragrande maggioranza della classe politica siciliana non ha mai digerito la "Delrio". L'ha sempre respinta, rigettata. E tale è stato il rifiuto, tanto da preferire l’abnorme commissariamento degli enti intermedi, nelle more di un agognato ritorno dei cittadini alle urne. Non è un mistero che nella precedente legislatura, la Sicilia ha prodotto una legge che ripristinava l'elezione diretta a suffragio universale, andando però incontro all'impugnativa del Governo nazionale, accolta dalla Corte costituzionale.
La Consulta ha detto "No" all'elezione diretta e popolare finché la legge "Delrio" resta in vigore, assegnandole "rango costituzionale" che però, beninteso, non ha contrapposto all'autonomia statutaria siciliana. E' la Regione siciliana che, piuttosto, ha rinunciato alla sua autonomia, limitandosi a chiamare liberi Consorzi, enti intermedi che sono rimasti copie fedeli delle province delle regioni di diritto comune. Al pari di quest'ultime, dunque, non possono che rientrare nella disciplina dettata dalla "Delrio". Un ragionamento, quello del giudice costituzionale, che non fa una grinza.
Altra verità, ammessa dalla stessa Corte costituzionale, è che la governance provinciale generata sulla base di elezioni indirette di secondo grado, è tracimata nell'inconcludenza e nell'inefficienza, oltre che nell'inefficacia. In tutto il paese. Se in Sicilia non funzionano senza organi eletti, nel resto del paese le province funzionano male e peggio di prima.
Quello di consigliere provinciale e soprattutto di presidente della provincia, non sono "mandati inutili" e non possono essere svolti a tempo perso, da chi è già consigliere o sindaco nella sua città. Sono ruoli che richiedono un impegno adeguato e senza rimetterci di propria tasca. Idem per gli assessori, per quanto non eletti ma nominati. Insomma, la democrazia ha i suoi costi. Ciò che vanno osteggiati non sono i costi, ma gli sprechi. La reintroduzione dell'elezione diretta popolare può diventare l'occasione per rivedere alcune funzioni ed alcuni compiti, nel rispetto del principio di sussidiarietà, rigenerando questi enti intermedi in aderenza allo spirito costituzionale.
Il tema, in definitiva, rimane l'abrogazione o quantomeno il superamento della "Delrio". Una prima accelerazione in tal senso si era registrata nei primi mesi dell'anno, ma in estate è arrivata la frenata da Roma, con il Governo nazionale propenso a rinviare il ritorno al voto popolare diretto nel 2025. Ma la Lega di Salvini, Calderoli ed altri, da sempre critica nei confronti delle elezioni indirette di secondo grado, non ha smesso di pressare gli alleati ed una nuova accelerazione si è registrata sul finire dell'anno.
E la possibilità che le Province e le Città metropolitane siciliane potrebbero andare al voto con l’elezione diretta degli organi già nel 2024, è tornata d'attualità: «in commissione Bilancio dell’Ars – ha commentato la capogruppo della Lega all’Assemblea regionale siciliana, Marianna Caronia – abbiamo dato il via libera e la copertura finanziaria al ddl che reintroduce il suffragio universale per l’elezione del presidente e del consiglio provinciale. Con 10 milioni di euro stanziati si potranno tenere le elezioni e finalmente saranno i cittadini a scegliere i propri rappresentanti.
Come Lega abbiamo spinto molto per arrivare a questo risultato, intestandoci anche un’azione forte a Roma dove in Parlamento è già stato approvato un emendamento del partito alla legge di Bilancio che elimina il taglio finanziario per gli enti locali. In pratica, grazie alla Lega, sono stati riassegnati 50 milioni alle Province e 100 milioni ai Comuni. In Sicilia, invece, con la legge che ci accingiamo ad approvare – ha concluso – determineremo le condizioni per rendere funzionali le ex province ridando la parola ai cittadini».
Mandare tutte le province alle urne significherebbe di per sé un test nazionale, assimilabile a quello delle elezioni politiche, che il governo Meloni vorrebbe rinviare alla primavera del 2025, ossia a metà legislatura. Ma all'inizio di giugno del 2024 ci sono le elezioni europee che, per la natura del sistema elettorale adottato, cioè proporzionale puro per singole liste (partiti) concorrenti, rappresenta comunque un test nazionale per tutti i partiti, specie quelli che governano il paese. Pertanto, l'occasione di un election-day che raggruppa elezioni europee, provinciali e comunali (con risparmio notevole nei costi), potrebbe rivelarsi alquanto ghiotta per un governo che continua a veleggiare col vento in poppa, stando ai sondaggi.
Nell'ultima media dei vari sondaggi sulle intenzioni di voto, infatti, ad un anno dall'insediamento del governo Meloni, Fdi continua ad essere il primo partito con una percentuale maggiore rispetto a quella registrata alle politiche. La Lega di Salvini, con quest'ultimo che veniva dato in netto declino, invece tiene botta.
Così come, a grande sorpresa, Fi nonostante la dipartita di Berlusconi. Sul versante opposto, stabile il Movimento 5 stelle, mentre nel Pd non c'è stato alcun effetto Schlein, semmai il contrario. Secondo la media degli ultimi sondaggi, quindi, il centrodestra è al 46,5%, il Centrosinistra al 25,4%, M5S al 16,5%, quello che fu il Terzo Polo (Azione e Italia viva) al 7,0%, Italexit al 2,0% ed Altri al 2,6%.
Numeri che se confermati all'interno delle cabine elettorali, consegnerebbero fra un semestre ad un centrodestra che si presentasse ovunque in coalizione, un successo enorme alle eventuali provinciali, con la possibilità di colonizzarle. E questa fortissima tentazione, potrebbe aver convinto Taiani e soprattutto la Meloni, a concedere il via libera per il superamento della "Delrio".
In ogni caso, la Sicilia potrebbe ottenere comunque da Roma una legge che superi la "Delrio", pur rinviando le elezioni al 2025 anziché al 2024, vincolando tutte le province delle regioni di diritto comune, ma non anche quelle a Statuto speciale come la Sicilia che potrebbe a quel punto far valere la competenza esclusiva in materia di enti locali, anticipando le elezioni provinciali al 2024, in ragione della condizione di commissariamento in cui vivono da un decennio i suoi enti intermedi. E, senza più l'ostacolo della “Delrio”, verrebbero meno le ragioni dell'impugnativa.