L’invenzione del purgatorio è il capolavoro politico ed economico di tutta la storia della Chiesa.
Il Purgatorio ha una data e luogo di nascita, anche un ispiratore, colui che lo concepì, papa Gregorio Magno, e un padrino, papa Innocenzo III. Il nome che gli è stato dato, purgatorio, deriva da "purgatorius", che significa purificare. Il Padreterno gli ha affidato una missione assai delicata: le anime devono espiare i peccati commessi durante la vita terrena, prima di poter entrare in paradiso. Per i credenti che ne testimoniarono la nascita assomigliava a una servitù di passaggio. Una stazione di posta. Il cambio dei cavalli e la ripresa del viaggio. Non sorprende che sia stata oggetto di satira maliziosa. Ambrose Bierce lo percepisce come una “scomoda gattabuia dove le anime sono imprigionate finché un parente non le fa uscire pagando la cauzione”.
L’immagine percepita è controversa, come la sua esistenza, per via delle fiamme da un lato e della cattiva coscienza degli uomini dall’altro. Se i sondaggisti oggi se ne occupassero per registrarne la popolarità o impopolarità, non ho dubbi, il consenso stravincerebbe. Il Purgatorio è infatti un luogo affollato. Ricorda quei treni giapponesi sui quali tutti cercano di salire, arrampicandosi uno sull’altro. A mio parere, fatto l’esame di coscienza, nemmeno un sant’uomo sarebbe certo di andare in paradiso, e perciò meno male che c’è il Purgatorio, altrimenti si finirebbe dritti all’inferno e il giudice unico getterebbe la chiave tra le fiamme.
Non sarebbero bastati Gregorio Magno, né i sermoni domenicali dei sacerdoti a radicarlo nella coscienza dei credenti. Senza Dante Alighieri, un influencer ante litteram, e la Divina Commedia chi avrebbe cognizione del Purgatorio e dei suoi ospiti? Senza l’Alighieri dovremmo destreggiarci fra l’inferno e il paradiso. Un incubo. E’ stato il sommo poeta e teologo, viaggiatore nella terra degli inferi, ad imporlo e renderlo popolare e in qualche misura ben accetto nell’immaginario della Cristianità.
Il fatto che abbia messo radici, non significa tuttavia che si abbia una buona conoscenza della sua invenzione benefica. Sappiamo tutto sulla scoperta dell’America e su Cristoforo Colombo, non sappiamo nulla sulla scoperta del Purgatorio,. Ben accetto, proprio così. E’ più ragionevole dell’inferno, ragionava Giordano Bruno. Sebbene il fuoco fosse eterno in Purgatorio, la pena non lo è.
L’esistenza del Purgatorio non nasce con la predicazione del Messia, è evocato da Papa Gregorio Magno che ne aveva individuato l’ubicazione circa cinque-sei secoli prima che una bolla papale lo proclamasse. “Più che in tutti gli altri luoghi, è in Sicilia che si sono aperte le marmitte dei tormenti che sputano fuoco…”, fa dire Gregorio Magno al suo fittizio interlocutore, il monaco Pietro, nei Dialoghi, la sua opera maggiore.
Il sacrificio del figlio di Dio spalanca le porte del Paradiso ai credenti ed ai puri di cuore. La separazione fra Inferno e Paradiso scende come una scimitarra sulle anime dei cristiani. Nella metà del VI secolo non c’è ancora un aldilà per i peccatori redimibili. O l’Inferno o il Paradiso. Tertium non datur.
L’oltretomba cristiano, vigente il peccato originale, è uno solo, l’Inferno.. Le fauci dell’Inferno, di conseguenza, avrebbero continuato a lungo ad ingoiare le anime di quelli che non sono stati “del tutto buoni”. Tenebre e stridore di denti. L’aldilà infernale, tuttavia, non è mai stato uguale per tutti; ha – diremmo oggi – ospiti in classe turistica e altri sistemati più comodamente in business class. I giusti abitano i piani superiori dell’Inferno in attesa del Paradiso, gli ingiusti sono scaraventati nei piani bassi e patiscono punizioni severe a causa delle loro dissennatezze. Era il contesto, il tempo di mezzo con le sue ragioni, che reclamano il bisogno di un terzo sito.
Bisognava offrire una concreta speranza di redenzione. Stretto nella morsa fra il Paradiso e l’Inferno, che rende immutabile il destino degli uomini e superfluo il ruolo del sacerdozio, la Chiesa s’ingegna per cercare un nuovo aldilà verso cui dirigere le anime dei redimibili e concedersi così un ruolo concreto, di mediazione e impegno salvifico, così da offrire loro ristoro. E placare i sensi di colpa dei viventi.
I crateri dei vulcani siciliani nella geografia dell’oltretomba, dal VI al XII secolo, divengono le porte di un ambiguo inferno, in cui dimorano gli uomini che non avendo le carte in regola per andare in Paradiso e vantando concrete benemerenze presso la Chiesa per evitare l’inferno sono obbligati a sostare in una sorta di lista d’attesa. E’ un Purgatorio in embrione. Papa Innocenzo III, proclamandone l’esistenza, ne definirà compiti e funzioni con tanto di bolla Pontificia.
Lo storico francese Jacques Le Goff percorre le confuse fasi del suo concepimento in un’opera immeritatamente trascurata, La Nascita del Purgatorio (Einaudi, 1982). Grazie a Le Goff sappiamo che la mappa dell’aldilà è stata continuamente aggiornata durante i primi secoli della cristianità. Il luogo dell’espiazione infatti non è nato da un giorno all’altro, la ricerca della sua dimora terrena più propizia è faticosa, conosce vicende alterne ed un epilogo inaspettato, legato ai bisogni materiali e spirituali della Chiesa.
Papa Gregorio Magno guida il braintrust, del quale idealmente fanno parte Clemente Alessandro, Origene e Agostino. Per due secoli il volto del Purgatorio, ricorda Le Goff, muterà con il mutare dei bisogni materiali e spirituali; si alterneranno il Purgatorio infernale e il Purgatorio paradisiaco, senza che alcuno riesca ad insediarsi stabilmente. Questa incertezza fa sì che i vulcani siciliani ospitino durante la transizione sia le anime dei redimibili quanto quelle dei dannati.
Gregorio Magno ammonisce le anime prave servendosi del vulcano isolano, una sua visione mostra il nefandissimo re Teodorico sull’orlo del cratere dell’Etna mentre sta per essere buttato giù perché bruci in eterno. E’ una sorta di legittimazione del carattere infernale della dimora purgatoriale. E’una strada senza uscita, suscitata forse da un conflitto, quello di sempre, fra tradizionalisti e innovatori.
Gregorio non è solo un teologo ispirato, conosce la strada della verità e la percorre: l’Inferno non è uno solo, sono due. Gregorio ha anche una idea stravagante: il Purgatorio potrebbe assomigliare a una stazione termale, dove ci si ripulisce dentro e fuori, come le buone acque minerali. A chi vuole sfuggire o alleviare le fiamme del Purgatorio, servono le preghiere. Spetta ai vivi impetrare la salvezza dell’anima dei defunti, ed alla Chiesa stimolare la compassione dei sopravvissuti. In cambio di attenzione. E non solo. Il Pontefice apre così, timidamente, la porta alla speranza e alla misericordia.
Ma anche al Potere. Il cammino è accidentato e pieno di insidie. I viaggi immaginari nell’aldilà di monaci e teologi nei secoli a venire correggeranno e modificheranno la cartografia dell’aldilà. Giuliano di Valzery vede nella Sicilia il luogo della purgazione. “…i reprobi arsi dalla geenna”, e nel suo monito sulfureo, “sono chiamati etnici dalla parola Etna…e conosceranno travagli lunghi e penosi dopo la morte del corpo”. E il domenicano Stefano di Bourbon trascinerà il Purgatorio siciliano nell’Inferno, eleggendo l’Etna ad unico luogo dei castighi.
Ma il monaco irlandese Patrizio gli contrapporrà una ospitale e generosa caverna in terra d’Irlanda, conosciuta come il pozzo di San Patrizio, luogo di benessere e ricchezza. Fino a che arriva Papa Innocenzo III, che rompe ogni indugio nel XII secolo, proclamando l’esistenza del Purgatorio come luogo dell’espiazione (per i mediocremente buoni) e della propiziazione (per i mediocremente cattivi). L’antico Inferno, commenta Le Goff, sbarra la strada al giovane Purgatorio siciliano.
Passerà un secolo, prima che Dante Alighieri trasferisca altrove i luoghi dell’aldilà. Durante il suo viaggio di purificazione verso la salvezza il sommo poeta troverà il Purgatorio agli antipodi dell’Inferno, nell’emisfero australe, in mezzo al mare. Un monte a forma conica sopra la quale c’è il Paradiso. L’Inferno è sotto, la città di Gerusalemme. L’Etna, grazie a Dio, viene sfrattata dall’oltretomba, guadagnandosi la fama di unico vulcano misericordioso del pianeta. Ruggisce, borbotta, fa qualche danno, ma senza esagerare. Cane che abbaia, come si dice, non morde.