l’Editoriale/Quanto credito oggi ha la pace: A Gela, nel 412 a.C, qualcosa cambiò

l’Editoriale/Quanto credito oggi ha la pace: A Gela, nel 412 a.C, qualcosa cambiò

Chi non dimentica niente ha una memoria sofferente, i ricordi invadono il presente, corrompono la visione del presente e ci tolgono la capacità di progettare il futuro.

Saper più di quanto serve può essere una trappola, impedire di vivere. L’oblio è un Giano bifronte, una medicina e un veleno, il pharmakon greco. Spetta all’intelligenza umana confezionarne e misurarne le pozioni, stabilire fino a che punto abusare o disporne. Non è affatto facile, la memoria non si gestisce, spesso si subisce. Abbiamo sotto i nostri occhi una catastrofe umanitaria provocata dalle guerre (Ucraina, Palestina-Israele).

La memoria breve ha tradito Israele e la sua storia vecchia, il ritorno alla casa dei Padri, dilapidandola in divisioni laceranti, giochi di potere, strategie miopi. Ci sono accadimenti che giungono con passo silente. Passi di colomba, li chiama Nietzsche. Non li senti arrivare nemmeno quando hai sul collo il loro respiro, la voce del loro silenzio sottile. Imparare a scordare sembra una assurdità, un paradosso, non essere la medicina ma il veleno, e farci correre un rischio mortale.

Quale è la memoria utile? Quella che viviamo come cronaca quotidiana, verrebbe di rispondere. E l’altra, che ci insegnano a scuola, come ci ricorda Massimo Recalcati: la storia di una infinita serie di guerre, “Sembra che siamo fatti per fare la guerra”, osserva Recalcati. 

Se non ci credete rivolgetevi al libro dei libri, la Bibbia, per gli Ebrei la Torah, che comincia, guarda caso, con l’assassinio di Caino, che ammazza il fratello Abele, un uomo buono. Crimine efferato lo definirebbero i cronisti del nostro tempo, invero è qualcosa di peggio, perché rivela la nostra natura oscura: la presenza dell’Altro, il secondogenito, è una presenza intollerabile. Caino crede di essere l’unico figlio di Eva e si oppone con la violenza all’Intruso. Invano Dio rifiuterà il dono di Caino ed accetterà solo quello di Abele perché capisca che vivere significa condividere. Caino tace, e uccide il fratello. Quando finiscono le parole, non resta che la violenza, la guerra. 

Il mondo, la parte del mondo a noi più vicina, non solo l’intelligence ebraica, è stato colto alla sprovvista da un’azione terroristica di terribilità inaudita compiuta da Hamas, una entità politica sedimentata su strati di storia millenaria, che si è data oggi uno scopo: cancellare l’Intruso, l’enclave occidentale che vive con il peso di una storia collettiva tremenda, la Shoah. Hamas sa di non potere vincere, il suo obiettivo è solo l’annientamento dell’odiato nemico, anche a costo di distruggere il suo stesso popolo. 

Tempo fa mi è capitato di leggere un profetico articolo di Bernard-Henri Lévy dedicato agli effetti della ritirata americana dall’Afganistan su Repubblica (27 Agosto 2021). L’ho custodito gelosamente, come faccio con le letture eccellenti. Bernard-Henri Lévy disegna la mappa delle potenze mondiali, partendo, appunto dall’abbandono di Kabul. Una disfatta per l’Occidente, secondo Bernard-Henri Lévy. Un’altra ragione, forse meno rilevante, ha acuito il mio interesse. 

L’autore compie un esemplare excursus sugli eventi che hanno cambiato la storia due millenni or sono. E’ un elenco di guerre sanguinose: dal massacro a Luta, in Beozia, di quattrocento spartiati (gli “uguali”), che rappresentò il principio della fine di Sparta, a Cheronea, trenta anni dopo, che segnò il declino della potenza ateniese, alla vicina battaglia di Pidna in Tessalonica che cambiò le fortune di Alessandro Magno e fu il primo trionfo dei Romani.

E poi, la battaglia di Adrianopoli, che valse la caduta dell’Impero Romano. Infine, con un singolare balzo temporale, l’abbandono di Kirkuk in Irak da parte degli Usa, che si disfa dei preziosi alleati curdi, per concludere con Joe Biden, che abbandona al suo destino l’Afghanistan, decretando nell’immaginario talebano la sconfitta del “grande Satana”, gli Usa. 

La carrellata di Bernard-Henri Lévy di fatto cuce un “arazzo” didattico dedicato alla storia antica dell’Occidente. Inaspettatamente ci coinvolge. L’autore non ricorda un evento cruciale per la storia greca antica, la Pace di Gela, presenza economica culturale, politica e militare di rilievo. Tre secoli dopo Cristo la Pace mise d’accordo sicelioti greci, siculi e sicani dopo la sconfitta di Atene nel 415 a.C. Perché Bernard-Henri Lévy omette l’evento? La Pace, non la pace di Gela, non merita di essere ricordata, non cambia il corso della storia, è l’evento più tradito. Perciò ha perso credito. Quante volte, da Camp David ai recenti accordi di Abramo, palestinesi ed ebrei si sono stretti la mano? 

L’omissione è legittima. Eppure la Pace di Gela potrebbe insegnarci qualcosa. Tucidide ricorda Ermocrate, stratego della coalizione siciliana, in un celebre discorso rivolto agli alleati e i suoi guerrieri: “… mi sento più pronto ad assalire che a difendermi, prevedendone gli effetti, ma giudico più proficua una politica riflessiva, aperta anche a qualche concessione. […] Ebbene proclamo che secondo giustizia il mio contegno deve essere modello per tutti, che dobbiamo adattarci a qualche sacrificio tra noi per non favorirne il nemico.

Non è vergogna per uomini che abitano la stessa patria scendere a qualche concessione reciproca, Dori a Dori, Calcidesi a quelli dello stesso ceppo e, in complesso, tra genti vicine che abitano il medesimo suolo, lambito dal mare e distinto da un unico nome di popolo: Sicelioti”. 

Ermocrate sarà accusato di autoritarismo da Atenagora di Siracusa. Faceva più paura ai suoi amici, dopo la vittoria nella guerra, che ai nemici. E’ una pagina che andrebbe riletta e riflettuta alla luce di quanto accade. La storia può che essere una storia di conflitti armati? Hegel è radicale: tutto ciò che l’uomo ha imparato dalla scuola, è che non ha imparato dalla scuola niente. Una condizione disperante, perché il magistero dell’istruzione, in qualunque tempo e sotto qualunque forma, non ha alternative.

Serve, dunque, lasciare uno spazio alla volontà ed all’intelligenza. La pace e la cooperazione tra gli esseri umani hanno svolto un ruolo nella formazione delle società e nella promozione dello sviluppo umano. Nei tempi di conflitto, anche i più bui, gli uomini hanno prodotto cultura, arte, scienza, coesione sociale, libertà e democrazia.  Ci sono anche stati periodi di relativa pace, in cui le società hanno prosperato e si sono sviluppate. 

Il conflitto tra israeliani e palestinesi, tornando al nostro tempo, è questione troppo controversa profonda e complessa per farne il paradigma della natura umana, coinvolgendo territorio, religione, politica e storia. Le responsabilità dell’Occidente (colonialismo occidentale) possono essere pressoché equamente distribuite fra gli attori principale, ma ciò non può rappresentare una buona ragione per cacciarci in una sorta di neutralismo ignavo e paralizzante, equa distanza fra terrorismo e democrazia, tirannia e libertà, disumana ferocia e diritti umani. 

La pendoralità del pensiero occidentale, fra sensi di colpa e pulsioni vendicative, episodi di inaudita ferocia, aspirazione alla sicurezza e volontà dominante, rilascia sulla guerra arabo-israeliana onde emotive che suscitano paura, cancellando elementi ed opzioni di buonsenso. Minacciati dalla ferocia e frustrati da una quotidianità insolente, siamo guidati tra l’altro, dal sovranismo – psichico oltre che politico e generatore di consenso –, che “i padroni” del discorso pubblico predicano dalle loro cattedre spargendo virus letali, screditando scienza e ricerca. Il pharmakon è diventato veleno i camici bianchi della scienza sono screditati da una minoranza spaesata, impaurita, disancorata dalla realtà, in perenne guerra con l’Intruso. 

Nella società aperta minacce inesistenti trascurano quelle reali, facendo della nostra casa – famiglia o comunità – un fortino in cemento armato. Non più riparo, né santuario, il fortino che ci isola è il costo alto della ingannevole protezione. Non basta più il muro attorno al giardino di casa, protetto da un insopportabile egoismo.  Fuori c’è Abele, che ci toglie quel che ci appartiene. Non importa che la sua indole sia mite, può rubarci la fede, la vita così com’è, anche se non ci piace. 

Il limbo fra popoli in pace e popoli in guerra smarrisce, si è fatto limaccioso. Come possono parlarci ancora Ermocrate e la Pace di Gela? Farne memoria qui in queste giornate dure può apparire perfino pretenzioso o banale. Ad una modesta latitudine dalle nostre fortezze di cartone, il sangue scorre a fiotti e ci interpella; pretende almeno la dismissione dell’ignavia e proclami incarogniti. Pretende un’etica della responsabilità che non sappiamo declinare, perché non sappiamo più che cosa sia davvero. 

L’isolamento priva delle parole; quando si tace non restano che le armi. Magari dopo una tentennante febbrile attesa, durante la quale costruire, virtualmente, l’alibi, il rifugio salvifico: la difesa dei confini della patria protetta con le navi cannoniere, della fede nel Dio (tradito in ognuno dei suoi suoi insegnamenti), e della famiglia, rappresentata come una inesistente comunità patriarcale. Viviamo su una piroga trascinati dal flusso delle correnti leggere, come se ci riparassimo da una tempesta. Fuori dalla realtà.