Finzioni, vizi capitali e un’ode alla scuola

Finzioni, vizi capitali e un’ode alla scuola

Giuseppe Cannizzaro, l’imprenditore gelese che ha ideato Gela in miniatura, ha annunciato che Marco Marchioni e Eyvind Hytten, i due sociologi che profetizzarono i disastri post industriali, saranno accolti nella città della memoria.

Ha già affidato ad un artista due sculture. E’ una preziosa opera di supplenza, che colma le omissioni e l’indifferenza delle autorità cittadine. Gela è migliore dei suoi rappresentanti nel massimo consesso civico?

La risposta richiederebbe una analisi complessa e, probabilmente in ogni caso lacunosa. La storia recente di Gela è la metafora del Mezzogiorno d’Italia, ma contiene pagine che appartengono solo alla comunità locale, composta oggi da una ricca e vivace presenza di immigrati del Nord Italia, che fa da contrappunto al fenomeno migratorio verso le regioni più sviluppate del Paese. 

L’oggi non ci piace affatto, e abbiamo avuto occasione di esternare il nostro dissenso; è un “oggi” segnato pesantemente da una classe dirigente esausta e modesta, che accompagna il declino politico della città: finte bandiere civiche, finte dimissioni, finte mozioni di sfiducia, finte promesse elettorali, finte appartenenze politiche, assalti alla diligenza, agguati nelle stazioni di corsa. Riti ripetitivi, banali, decadenti, né furbi né diligenti.

Le menzogne non fanno arrossire i bugiardi, né indignano quanti assistono con indolenza al modesto spettacolo. E’ così difficile trovare qualcosa da salvare che si finisce con il fare, more solito, di tutta l’erba un fascio, atteggiamento ingiusto e dannosissimo. Ne guadagnano i peggiori, che si avvantaggiano di una assoluzione urbi et orbi, mentre dovrebbero essere cacciati via a pedate e rincorsi fino a che non spariscono dall’orizzonte terracqueo. 

L’alternativa non è l’uomo della provvidenza, ovviamente, ma un onesto padre di famiglia (o madre di famiglia) che abbia competenza, passione e saldi valori morali per amministrare la cosa pubblica. L’identikit, utopica per quanto si vuole, ha il merito di ricordarci la ricetta, semplice, utile a curare la malattia del malgoverno, divenuta endemica. Mettere nero su bianco non basta, perché il farmaco ancora non è stato messo a punto, e nemmeno il vaccino: prevalgono i no vax dei mestieranti, che affollano le nomenclature e le botteghe dei partiti senza arte né parte, disancorati dai bisogni reali. 

Mentre censisco i vecchi vizi ed i nuovi vezzi, mi pare di sentire, forte e chiaro, il rimprovero delle anime belle, che avvertono, dietro le parole, i guasti del populismo. Rimprovero legittimo. Ma come si fa a suscitare il bisogno di cambiare le cose, senza mostrare com’è fatto il quadro di riferimento, il fondo della pentola scorticato e malsano. Resta da indicare la soluzione, la parte più difficile. 

L’alternativa non è dietro l’angolo, occorre cominciare da principio. Da dove? Apprendo che la scuola, a Gela, dà segni di indubbia vivacità e intelligenza. Le risorse, potenziali, stanno proprio lì. I giovani sono il futuro. Il riconoscimento della sua centralità sarebbe un punto di partenza. La scuola è tuttavia solo il contenitore, la cornice, dentro la quale si coltiva il sapere. E’ dentro di essa che nasce la conoscenza e la voglia di conoscenza, senza la quale non si apprende né s’impara a ragionare. 

Questa voglia di sapere non sorge d’incanto, per miracolo. L’abulia, l’indolenza, lo straniamento sono nemici della voglia di conoscenza, che viene dai maestri. Se i maestri non la comunicano, sui banchi prevale il tik-tok, con le sue brevi illusioni ed allusioni, la finta realtà, le finte amicizie. Competere con i social, video games e metaverso, algoritmi e intelligenza generativa, richiede tenacia, spirito missionario, risorse.

La scuola deve fare la scuola, dicono in tanti. Sono coloro che sentono la nostalgia di un tempo che non c’è più: la cattedra, la buona educazione, l’alleanza fra famiglie e maestri. Quella scuola merita rispetto, perché insegnava i fondamentali, la tecnica, in maniera che chiunque potesse volare alto. Hanno le loro ragioni i nostalgici, ma la creatività non è fatta di nozioni, è fatta di interessi, curiosità, attitudini. Ai maestri l’arduo compito di insinuare questi sentimenti e queste volontà in una realtà in cui si impara in digitale, con i click e la tastiera.

Ho fatto un volo pindarico, dalla politica alla buona scuola. Non me ne pento.  Non ci sarà mai una buona politica senza una buona istruzione, formazione, buona scuola. Come si fa ad avere buoni amministratori, se il bagaglio culturale è sprovvisto di valori, competenze, passioni, immaginazione; se non si usano tik-toc e FB per imparare, se diritti e doveri non scorrono lungo linee parallele, se il bene pubblico non viene custodito, se lo Stato è considerato nemico, la giustizia ingiusta, se dopo la scuola non si apre un libro, digitale o cartaceo che sia.

Quando si lasciano i banchi di scuola, non si lascia la scuola, non si deve perdere la voglia di sapere, la curiosità di apprendere ciò che accade attorno a noi e nel mondo. Non si finisce mai di occupare, seppur virtualmente, i banchi di scuola, anche quando si è davanti al piccolo schermo o semplicemente si ascolta coloro che ci offrono sapienza, esaudiscono curiosità. E più ampi sono i nostri interessi, maggiore sarà la voglia di sapere. 

Tutto questo ci regalerà il miracolo del perfetto amministratore pubblico? Non lo so, perché siamo noi a decidere chi ci amministra; è bene che ci assumiamo la nostra parte di responsabilità. La qual cosa significa che quanto pretendiamo dagli amministratori, dobbiamo averlo, in qualche misura, noi stessi. Se non si distingue fra il favore ed il diritto, si finisce con lo scegliere in modo maldestro il proprio rappresentante, e con il guastare le buone pratiche del buon amministratore. 

La predica è finita, andate in pace. Oppure, riversatevi per le strade, discutete fino allo sfinimento su ciò che bisogna fare per aiutare la città a uscire dal pantano. Altrimenti, con quale coraggio ci si può lamentare e protestare, sentirsi sedotti e abbandonati, vittime dell’insipienza, se alle urne, andiamo a mettere la croce sul candidato scelto, tanto per dire, a cena nella villa di Arcore.

Quella croce saremo noi a portarla sulle spalle, dopo avere consegnato alla peggiore parlamentare della legislatura la nostra preferenza. E’ una ossessione, forse è così, il ricordo di ciò che è avvenuto alle politiche dello scorso anno a Gela (e non solo), non è facile rimuovere dalla memoria un episodio così esemplare.

Ti propongono una tizia che ha saltato tutte le sedute d’aula per cinque anni, ed arriva dalle parti della Padania, e viene votata allegramente, ed il giorno dopo invece di cospargere di cenere i capelli  manifestate il cruccio per le cose che non vanno? Che cosa pensereste di una scuola che promuove un alunno che si è assentato tutto l’anno? Boccereste la scuola e l’alunno, ne sono certo. E allora? Sveglia, amici.