In un mondo globalizzato, nel quale muri barriere e pregiudizi non sono bastati a scoraggiare una grande mobilità ed una importante integrazione culturale, la perdita di migliaia di giovani può legittimamente provocare rammarico, perché sottrae intelligenze e risorse formate nel nostro Paese e regalate ad altri, ma non può sorprendere.
Niente può evitare che i giovani cerchino ovunque l’interesse che attitudini, bisogni, stimoli suscitano; niente, del pari, può indurci a guardare la mobilità come una malattia della quale guarire presto e comunque.
La cultura si arricchisce con il confronto, lo scambio, il dialogo, la conoscenza. La Sicilia vanta il tempio forse più importante del pluralismo culturale, un tesoro invidiato e magnifico, come la Cappella Palatina, che nel XII secolo venne realizzata da maestranze arabe, bizantine, normanne, pisane, e sollecitata e pensata da intellettuali di forte ingegno, capaci di anteporre alle loro tradizioni, la bellezza e l’arte. La ricchezza culturale di questo manufatto è diventato un messaggio unico ed incomparabile.
I giovani che lasciano il Paese sono tanti, i siciliani sono molti di più che il resto d’Italia, e Gela non è rimasta indietro in questa lista delle partenze, pur avendo pagato, con guasti ambientali e salutistici, un costo salato al lavoro che non c’era.
Il progresso, coniugato in termini di reddito, a Gela ha tradito la sua missione, e la città ne è la testimonianza più concreta nel Mezzogiorno d’Italia. I giovani gelesi vanno altrove e in alcuni casi incontrano il successo. Quando ciò avviene, l’officina culturale nella quale si sono formati non disperde completamente le sue eccellenze, ma le esporta e le trasforma, e di ciò si può legittimamente sentire orgoglio.
Quelli che rimangono, tuttavia, difficilmente possono soddisfare il più sacrosanto dei bisogni, il lavoro, e quando ci riescono, è raro che trovino ciò che più si adatta alle loro attitudini. In definitiva, rispetto alle aspettative ed ai bisogni, Gela offre poco.
Questa povertà di opportunità condiziona il percorso di una persona. Questo avverso contesto di partenza porta i giovani neet a coltivare rassegnazione ed arrendevolezza. O a sperimentare iniziative, in campo imprenditoriale, artigianale e commerciale, come ripiego. Forse è per questa ragione che il terziario a Gela si è sviluppato in modo significativo.
Lo spreco di risorse si realizza anche quando si rimane dove si è nati, perché non si ha istruzione e competenze utili, o si privilegia il giardino di casa. E’ una condizione che non viene sufficientemente rappresentata, a differenza della emigrazione delle risorse umane, nonostante costituisca l’orizzonte su cui lavorare per cambiare le cose.
Ho avuto occasione di soffermarmi sulle eccellenze della scuola di Gela, richiamando la grande capacità di accogliere studenti di ogni ordine e grado in qualunque disciplina. La popolazione scolastica di Gela è straordinariamente alta, sia perché accoglie studenti di un folto distretto, sia per la grande varietà degli insegnamenti e dei corsi di formazione.
E’ un patrimonio culturale sul quale autorità scolastiche ed amministratori locali, in collaborazione, potrebbero svolgere una preziosa azione di sviluppo, stavolta non in termini immediatamente reddituali: si tratterebbe di usare le risorse che la scuola possiede, le intelligenze che coltiva, le idee che produce, attraverso una pianificazione dell’istruzione, che comprenda l’insegnamento, lo studio, la ricerca di argomenti, questioni, personaggi, storie di interesse locale e nazionale. Gela è stata una delle cavie della politica di sviluppo.
La sua storia contiene tutto ciò che è avvenuto altrove attraverso i secoli. L’industrializzazione, anzitutto, che si compie in un decennio, cambiando tutto, perfino i pensieri della gente. Nemmeno lo sbarco degli americani, che ha modificato le sorti del conflitto mondiale e la geografia dell’Europa e del Mondo, ha fatto tanto.
Gela è un libro, le cui pagine non sono state lette. Eppure contengono la storia del Mezzogiorno, le risorse malamente impiegate, i cui frutti sono stati raccolti dall’intero Paese. Tante pagine, dunque, da leggere, ricche di argomenti di palpitante attualità. Ne scelgo uno: l’andamento demografico. Gela negli anni cinquanta era la città più prolifica d’Europa, ed oggi è una delle comunità siciliane in cui nascono meno bambini. L’equazione fra povertà e prole non spiega nulla.
Gela ha accresciuto il suo reddito con l’industria, smentisce che il reddito sia inversamente proporzionale alla prolificità. L’intuizione malthusiana non regge. Dentro c’è dell’altro, per esempio la cultura femminile, che si è evoluta: le donne non vogliono fare solo le mamme, studiano di più, rinunciando all’attività riproduttiva (ma non all’attività sessuale). I dati andrebbero letti in relazione al mutamento della soggettività femminile.
L’andamento demografico è solo un esempio, ma uno dei temi su cui sviluppare una ricerca di indubbio interesse nazionale. Gela è uno scrigno prezioso, ancora ignorato, sul quale la scuola può investire. Ciò presuppone che i governanti locali si dedichino alla scuola e che i dirigenti scolastici sappiano costruire sinergie in ogni campo, dall’arte allo sport, dalle scienze sociali alla storia, l’economia. Lavorare insieme attorno a temi comuni, seppure attraverso prospettive diverse. La scuola, così com’è, può riuscirci? E’ possibile realizzare un’oasi di fertile produttività culturale?
Il maestro e scrittore Franco Lorenzoni ha recentemente pubblicato un libro dal titolo Educare controvento, che ben si collega alle considerazioni fin qui fatte. Lorenzoni ricorda che la scuola è una incubatrice, il luogo in cui si forma ciò che ancora non si ha; il luogo in cui dotati e non dotati se messi nelle condizioni di ragionare, lavorare insieme, producono cultura.
Tornando con i piedi per terra, ma non troppo, ciò che può apparire un libro dei sogni, può divenire un programma di lavoro, che conti sulla grande popolazione scolastica e la straordinaria varietà delle discipline insegnate. Il libro di testo non costa niente: è Gela, cartina di tornasole delle grandi vicende nazionali, vissute dalla comunità locali.