Gianni Virgadaula approda quest'anno a 40 anni di attività cinematografica.
Lo incontriamo al Museo del Cinema “Pina Menichelli” da lui fondato nel 2015, per parlare della sua carriera, dei suoi percorsi di vita, del suo mondo.
– Gianni, quando hai scoperto di volere fare il cinema?
«Sicuramente quando papà Sebastiano, appassionato di cinema, mi fece trovare sotto l'albero di Natale una cinepresa super 8. E con quella ci girai un western di 3 minuti (allora furoreggiavano i film di Sergio Leone) che aveva per titolo “Dollari insanguinati”. Era il 1968, e questo vuol dire che la mia primissima pellicola la realizzai a 11 anni, ovvero 55 anni anni fa».
– E da allora mai ripensamenti?
«Il Cinema è uno dei mestieri più affascinanti ma anche più difficili e precari. Se non hai una grande passione non lo puoi fare. Se quindi non ho mai mollato è perché questa folle malattia quando ti prende non ti lascia più».
– Tu hai conosciuto molti grandi del cinema e dello spettacolo.
«Sì, ho avuto il privilegio di conoscere autentici mostri sacri, da Cesare Zavattini a Suso Cecchi d'Amico, da Federico Fellini a Franco Zeffirelli, da Marcello Mastroianni a Giulietta Masina, da Aldo Fabrizi a Giancarlo Giannini, ad Andrea Cammilleri. E sono stato amico di personaggi come Vittorio Gassman, Giuliano Gemma, Mario Verdone, Angelo Arpa, per non parlare dei miei maestri Nanni Loy e Pupi Avati ai quali devo tutto. Ma a questi aggiungere anche il salesiano don Giuseppe Costa e il prof. Enzo Giaccotto, che fu anche il segretario particolare di Tina Anselmi».
– Altri incontri di cui conservi un bel ricordo?
«Innanzitutto papa Francesco che incontrai in udienza alla Sala Clementina nel 2013 a pochi mesi dalla sua elezione. Poi, non dimenticherò l'intervista che feci a New York nell' 83 a Jack La Motta, la cui vicenda umana e sportiva venne portata sullo schermo da Robert De Niro in “Toro scatenato” di Martin Scorsese. Ancora, ricordo con emozione l'incontro romano avuto con Franca Faldini, la compagna dell'immenso Totò».
– Tu sei un cattolico praticante, molto vicino alla Chiesa.
«Mamma Maria era chiamata la “signora del rosario” e mi ha trasmesso sin da piccolo la fede cristiana. Le sarò sempre grato per i suoi insegnamenti. Credere è per me importante. Penso che un uomo senza fede sia un po' come una nave senza timone. Dal 1991 sono terziario francescano e sono altresì contento che attraverso la “casa oratorio” da me fondata nel '95 insieme ai frati cappuccini, e con la vicinanza dei vescovi mi si è dato modo di servire la comunità di Manfria. Un'esperienza condivisa con mia moglie Gabriella Cristina. Un percorso difficile ma arricchente, per certi versi prodigioso viste le mie imperfezioni e i miei limiti».
– Rimpianti?
«Non ho realizzato tutte le cose che avrei voluto, ma non mi sono mancate le soddisfazioni e i riconoscimenti da parte di straordinarie figure, che hanno detto e scritto su di me cose meravigliose. L'essere stato accostato da gente come Aldo Bernardini e Pupi Avati a maestri della “Settima arte” come Dreyer, Murnau, Bresson, mi fa venire la pelle d'oca».
– Cosa consiglieresti ad un giovane che vuole fare il cinema?
«Una volta Peppino De Filippo mi disse che per fare l'attore, prima ancora di imparare a recitare occorre lavare le tavole del palcoscenico, essere umili, studiare tanto. Io invece ho spesso conosciuto giovani presuntuosi e arroganti, già “arrivati” sol perché sono stati protagonisti di una recita a scuola o in un teatrino parrocchiale. Allora, il consiglio per tutti è quello di essere onesti con se stessi, essere coscienti dei propri limiti, e lavorare molto tenendo un basso profilo. Se in una persona ci sono dei talenti questi prima o poi si riveleranno».
– Se non avessi fatto il cinema?
«Non ho dubbi, senza il cinema avrei fatto il pugile. Ho combattuto sul ring negli anni della giovinezza. Sono stato per 24 anni nel Coni, e ho scritto di pugilato nelle migliori riviste specializzate (anche in un giornale giapponese). E in tasca ho pure un tesserino di istruttore. Insomma, ho sempre vissuto la boxe in maniera viscerale e totalizzante».
– E hai scritto pure un libro su Nino Benvenuti.
«Sì, il mio ultimo libro “Nino Benvenuti, un campione per amico” è un sentito omaggio al più grande dei nostri campioni e il progetto editoriale è stato patrocinato anche dalla Federazione Pugilistica Italiana».
– Hobby?
«Mi piace ascoltare musica. Soprattutto musica classica, musica sacra, ma sono anche un appassionato di jazz. Amo leggere e conoscere la storia. Ho inoltre la “sindrome del collezionista”, nel senso che colleziono di tutto, dai soldatini di piombo agli aeromodelli, dai trenini ai fumetti».
– Come sarà questo quarantesimo?
«Ho in progetto diverse cose. Un paio di settimane fa ho pure ricevuto un premio, non a Gela naturalmente, dove non a tutti sono simpatico. Perché poi io procuri a certuni così forti mal di pancia non lo comprendo, dato che sono una persona riservata, incapace di accendere conflitti. In verità, pur non essendo nato a Gela, ho tenuto questa città sempre sugli scudi, e forse dopo 40 anni avrei meritato pure la cittadinanza onoraria, ma la gratitudine...si sa...non è di questo mondo».
– E il futuro?
«Mio nonno materno, Giuseppe Terenzio, era un capitano di bastimenti, e mio nonno paterno Giovanni, fu un eroe della I Guerra mondiale, ferito due volte sul Carso. Ispirandomi anche un po' a loro sto lavorando ad un film che si chiamerà “Caro mamma, carò papà”. Una storia sulla famiglia e sui grandi valori perduti. Un altro progetto è invece proprio sul pugilato. In ogni caso in “vecchiaia” vorrei dedicarmi soprattutto alla scrittura. D 'altra parte, solo dal 2018 ad oggi ho pubblicato 12 libri, con la media di 2 titoli all'anno. Vorrei quindi mantenere questo ritmo».
– Il tuo sguardo sul mondo?
«E' quello di una persona delusa dall'imbecillità degli uomini. Stiamo uccidendo il pianeta, distruggendo la nostra cuccia ma a nessuno sembra importargliene. No, non sono ottimista sul futuro dell'umanità, né vivo bene la contemporaneità. Mi sento un alienato. D' altronde non ho mai nascosto di sentirmi un uomo venuto direttamente dal Medioevo. Chissà, forse ero proprio un contemporaneo di Dante, tanto l'ho sentito vicino nel film girato insieme ad Avati. E ci sono poi coloro che dicono (anche amici!) che sembro essermi fermato all' 800. Beh, li ringrazio. Complimento più bello non potrebbero farmi»!
Il «Chi è» di Gianni Virgadaula
Gianni Virgadaula, regista, scrittore, giornalista, è nato a Milano da genitori siciliani. Si è formato a Roma alla Libera Università del Cinema fondata da Cesare Zavattini. E' membro dell'Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema. Nella sua carriera ha collaborato con grandi registi come Fellini, Loy e Avati. Conosciuto come il “regista dei santi” ha realizzato film di successo. I suoi Agata di Cristo e Lucia di Siracusa hanno ottenuto più di 300.000 visualizzazioni sul Web, mentre Lèmuri, il bacio di Lilith (distribuito in Dvd negli Usa), La Domenica del Signore e Gelone, la spada e la gloria hanno ricevuto importanti premi e riconoscimenti. Notevole la sua attività letteraria con pubblicazioni sul cinema, il teatro, lo sport. E' stato consigliere nazionale dell' Unione Cattolica Stampa Italiana e presidente dell' Istituto Culturale di Sicilia per la Cinematografia-Onlus. Primo in Sicilia ad avere avviato corsi di cinematografia, anche nelle scuole pubbliche, nel 2018 ha fondato la Scuola di Cinematografia “Paolo VI”.