Un anno fa (17 aprile 2022), in quel di Pinerolo, popoloso comune della cintura torinese dove aveva scelto di vivere, lasciava la sua intensa vita terrena Elio Cultraro(nella foto, ritratto nella redazione del “Corriere di Gela”, nel 2008) amico e collega.
Un fratello. Era il giorno di Pasqua, quando mi arrivò la telefonata del figlio Gianni, con il quale tenevo contatti costanti per seguire lo stato di salute del padre, aggravatosi via via per i postumi tardivi di un ictus che lo aveva colpito una decina d’anni prima. Mi trovavo in Abruzzo per festeggiare la Pasqua con la mia famiglia d’origine. Eravamo appena seduti a tavola. Gianni fu di poche parole: «Stamattina ci ha lasciati papà. Mi dispiace darti questa notizia e turbarti in un giorno di festa solenne». E così, tutti e due affranti dal dolore, ci trovammo io a consolare lui e lui a consolare me».
Elio non era solo un collega e un amico. Era un fratello con il quale avevo condiviso parte della mia vita, inseguendo con lui notizie, scrivendo di politica, di cronaca nera e giudiziaria, subendo minacce e attentati, svolgendo gli stessi ruoli per testate giornalistiche concorrenti. Scrivevamo le stesse cose in maniera diversa, ognuno col proprio stile, col proprio linguaggio.
Nei fatti di cronaca nera, Elio era il più bravo di tutti. Intuiva le dinamiche della guerra di mafia che di lì a qualche anno sarebbe esplosa in tutta la sua virulenza. E non di rado capitava che sui luoghi del crimine arrivava prima delle stesse forze dell’ordine, da lui allertate.
Era il tempo in cui il giornalismo in città era un altro giornalismo rispetto a quello di oggi. Si faceva per strada, rischiando in proprio, subendo minacce e attentati. E non c’è bisogno di ricordare che l’auto di Elio venne incendiata, come pure la mia e per due volte quelle di Franco Infurna. Elio addirittura scampò ad un agguato mentre era alla guida della sua macchina, contro cui un malvivente rimasto ignoto esplose un colpo di pistola, il cui proiettile per miracolo semplicemente trapassò i vetri laterali, soltanto sfiorando il suo capo.
Era un giornalismo ti fatica, di coraggio, di sacrifici. Era un giornalismo di frontiera, senza paracadute. Elio Cultraro lavorava per il quotidiano più diffuso in città (La Sicilia), Franco Infurna per Rai e Ansa (testate ereditate dal compianto prof. Giovanni Mangione), e chi scrive per il Giornale di Sicilia (testata ereditata da Salvatore Parlagreco, trasferitosi per altri incarichi a Palermo). C’era poi Valentino Alfieri, che si occupava di sport e sindacale per La Sicilia (anche lui ci ha lasciati prematuramente). Tutto qui, quattro giornalisti regolamente iscritti all’Ordine professionale. E poi il nulla.
Elio ha voluto riposare per sempre nella sua amata Gela, dopo una seconda vita trascorsa in giro per il nord Italia come direttore di sedi regionali della Siae. Non smise comunque mai di scrivere, collaborando di tanto in tanto con questo giornale, che aveva aiutato a muovere i primi passi sin dalla sua fondazione, quasi quarant’anni fa.
Manca tanto alla famiglia, al giornalismo locale, agli amici che ancora lo ricordano.